La Lettura, 30 settembre 2023
Che cosa c’è dietro i digitale
Se il digitale fosse una nazione sarebbe la quarta più inquinante al mondo. Lo ha scritto il giornalista e documentarista francese Guillaume Pitron, autore di Inferno digitale (Luiss University Press, 2022) e keynote speaker nell’incontro Ambiente. La rete che consuma organizzato il 3 ottobre dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per l’anteprima della Milano Digital Week.
IA, metaverso, blockchain: l’impronta ecologica del digitale è destinata a moltiplicarsi?
«Lo sviluppo del digitale è sostenuto da una sorta di promessa: l’impatto zero. Avremo crescita, progresso e protezione ambientale: questo è il messaggio degli ultimi vent’anni. Il digitale, però, ha un costo e dobbiamo pagarlo, prima di tutto in termini di CO2. La emettiamo quando mandiamo un’email, un like o guardiamo un video in streaming. Ogni nostra piccola azione di per sé non pesa molto, ma proviamo a moltiplicare l’impatto per i miliardi di gesti online che compiamo ogni giorno sulla Terra. Circa il 10% della produzione mondiale di elettricità è necessaria per il digitale. In termini di CO2 parliamo del 4% delle emissioni globali. Una cifra destinata ad aumentare tra il 6% e l’8% entro i prossimi 10-20 anni».
C’è dell’altro?
«Dobbiamo anche pensare a un peso delle azioni digitali in grammi perché alla base del digitale ci sono i metalli. Lo smartphone e i server sono fatti di metalli, le costellazioni di satelliti sono metalliche, i cavi sottomarini sono di rame. Se vogliamo fare funzionare tutto questo attraverso l’energia pulita, abbiamo bisogno di metalli per i pannelli solari. L’attività mineraria è destinata a esplodere per andare di pari passo alla crescita di internet. Il costo materiale del digitale riguarda quindi tutte le risorse in gioco nel processo di produzione. Possiamo così calcolare il reale peso del telefonino. Lo smartphone che sto usando probabilmente pesa 150 grammi. In realtà, secondo i calcoli del Wuppertal Institut, centro di ricerca tedesco, il peso di tutti i materiali necessari è 182 chili. Servono quasi due quintali di materiale durante tutto il processo produttivo per rendere funzionante un telefonino di 150 grammi».
Lei scrive: «Internet odora di rancido, è salato, emette un suono simile a un alveare». Da dove nasce un identikit così puntuale?
«Tutte le azioni digitali che compiamo, dal messaggio alla foto postata, sono possibili perché c’è un’infrastruttura di data center, cavi, satelliti, miniere. C’è ma non la vediamo. Eppure sta diventando la struttura più grande mai costruita dal genere umano: è terrestre, anfibia, perché si inabissa negli oceani, spaziale per via dei satelliti. Ho fatto il giro del mondo per conoscere da vicino l’infrastruttura e relazionarmi con essa attraverso i sensi. Sono arrivato nel Nord della Cina, nelle miniere di grafite necessarie per la produzione delle batterie dei telefonini. Lì l’odore è di vecchio burro rancido. Ho anche ascoltato il rumore di internet nei data center in Lapponia. Ero circondato dai server che emettono una sorta di fischio, mi sentivo come dentro un alveare. Stavo ascoltando il cloud. Infine ho visto internet a Sines, in Portogallo, dove arrivano i cavi sottomarini. Sono salati come l’acqua dell’oceano. Internet è estremamente materiale, possiamo sentirlo, annusarlo».
Oggi consideriamo l’impronta ecologica dell’uomo: dovremmo valutare quella dei robot?
«Dovremo farlo. A Lancaster durante una conferenza ho ascoltato il professore Mike Hazas mentre spiegava che la produzione dati sarà sempre meno umana. I robot cominceranno a produrne sempre di più. Pensiamo già oggi a tutti gli oggetti connessi a internet, producono informazioni, le scambiano. Se pensiamo che il limite al funzionamento del digitale sia la nostra capacità fisica di essere in rete ci sbagliamo. La produzione dati continua, lo scambio va avanti. I robot supereranno gli umani per quanto riguarda la gestione di internet».
Facciamo una «spending review» tecnologica: di che cosa possiamo fare a meno in nome del pianeta?
«Partiamo dalla rivoluzione dei materiali. Oggi usiamo il litio per alcuni tipi di batterie dei telefoni. L’estrazione può avere un costo elevato per l’ambiente. Esistono materiali alternativi come il sodio, che non comporta problemi particolari di reperimento. Le aziende produttrici di auto elettriche stanno lavorando in questa direzione. Se sostituiamo un materiale con l’altro otterremo gli stessi prodotti a costi meno pesanti per l’ambiente. Un’altra soluzione prevede un cambiamento nel modo in cui usiamo i dispositivi. Abbiamo in mano processori straordinariamente potenti. Abbiamo davvero bisogno di tutta questa potenza di calcolo per l’uso che ne facciamo? I dubbi ci possono orientare nella scelta di adottare il prossimo modello o tornare a un dispositivo più semplice, con un atteggiamento low tech. Penso a Fairphone, l’azienda olandese che ha creato telefonini più facili da riparare con l’invito a usarli fino a otto anni. Non dico di smettere di utilizzare la tecnologia. Non lavorerei senza. Chiediamoci però quale sia il giusto equilibrio costi-benefici».
Ci sono Paesi in cui la sensibilità all’impronta ecologica del digitale è più sviluppata?
«La Francia, per esempio. Sono state approvate leggi in base alle quali i provider devono indicare all’utente nella fattura il consumo dati e il costo in termini di CO2. C’è un’altra legge del 2021 che, per quanto imperfetta, cerca di rendere i telefoni più facilmente riparabili allungando il tempo della garanzia».
L’attivismo green è in buona parte digitale, c’è un paradosso?
«La premessa è che il digitale è meraviglioso. Ho scritto un libro sui costi, ma non dimentico che può avere un potente impatto positivo sul pianeta. La generazione Z grazie ai social network è in grado di determinare un cambiamento di mentalità, ma è anche la stessa generazione che usa i dispositivi in modo molto impattante. In Francia un giovane tra i 18 e i 25 anni ha già avuto cinque telefoni: è necessario domandarsi se è possibile usare gli smartphone in modo così incoerente».
Come possiamo contribuire al cambiamento da domani mattina, come individui?
«L’inquinamento digitale è legato ai miliardi di apparecchi funzionanti sulla Terra ora. In media un utente usa lo stesso smartphone solo per un anno e mezzo. Se state pensando di acquistare un nuovo telefono, provate prima a riparare quello che avete già in mano».