la Repubblica, 9 gennaio 2018
Biografia di Ian Fleming
Raccontare la vita di Ian Fleming è come raccontare la storia di molti scrittori inglesi di ogni tempo: intelligentissimi, stravaganti, eccentrici, capaci di abitare sia nella vita quotidiana sia nelle vertigini della pura esistenza mentale. Alle sue spalle ci sono Shakespeare, Thomas Browne, Dickens, Chesterton. Fleming nacque nel 1908: studiò ad Eton, da cui fu violentemente cacciato. Andò in Germania e in Svizzera, conoscendo Adler e Jung: lavorò in una libreria antiquaria, fondando una piccola casa editrice. Per la Reuters raccontò i primi processi di Mosca; e chiese un’intervista a Stalin, che gli rispose di essere “sovraccarico di lavoro”. Nel 1939, quasi come James Bond, entrò nel Servizio Informazione della Marina: gli piaceva molto fare la spia. Immaginò piani militari fantasiosissimi: studiò gli U-boot e i quasi indecifrabili codici militari tedeschi: catturò l’archivio della Kriegsmarine; e finì per diventare il responsabile dei servizi esteri del Sunday Times.
Come racconta Matteo Codignola, nell’eccellente edizione di Casino Royale (Adelphi, 2012) e di Goldfinger (Adelphi, traduzione di Massimo Bocchiola, pagg. 295, euro 20), uno dei suoi migliori amici gli chiese nel 1944 cosa intendesse fare dopo la fine della guerra. “Che domanda, rispose secco Fleming, scriverò il più grande romanzo di spionaggio di tutti i tempi”. Così fece, precisamente, follemente, come un inglese del tempo di Elisabetta I. Il 15 gennaio 1952 entrò nel suo studio in Giamaica, e cominciò un romanzo che finì in sei settimane, Casino Royale - al quale seguirono molti altri. Disse: “Scrivo soltanto per distrarmi da altre faccende”, “il mio libro è di una banalità spaventosa”. Così aveva detto, molti anni prima Anton ?echov. I romanzi di Fleming sono molto belli, precisi, eleganti, geniali, ricchi di psicologia, realtà, immaginazione e, naturalmente, come nel caso di Dickens, a lieto fine.
Quando leggiamo i libri di Fleming, dobbiamo dimenticare i film che ne vennero tratti. Certo, riconosciamo James Bond: ha occhi grigio-azzurri: uccide, sebbene non ne abbia voglia: è cinico: il suo volto non tradisce emozioni: se a volte è gelato dal terrore, subito si riprende: veste in modo quasi innaturalmente elegante: ama la bella, morbida vita: le bellissime donne: il cibo fastoso e gli champagne costosissimi: il gioco, il golf: ha una grande memoria, nervi d’acciaio, una capacità di sopportare qualsiasi evento: una cura esasperata dei particolari; non tenta, ma conquista la fortuna. Detesta il tè – che ritiene responsabile della caduta dell’impero britannico. Ma non avevamo mai incontrato in lui, come qui, il candore: qualcosa che sta nascosto dietro le pagine. È colto: cosa che ignoravamo. Predilige il mistero e il segreto – più di Fleming, che cerca e qualche volta trova in lui il proprio mistero. Pensa, riflette, medita. Preferisce pensare ad agire: altra cosa straordinaria.
James Bond vive tra le donne: di solito belle e affamate d’amore, almeno per lui: come sant’Agostino (che conosce bene), pensa: “Signore, dammi la castità. Ma non subito”. Non gli importa molto che il suo grande capo, M., consideri sacrilega la sua attitudine erotica. Sa conquistare perfino le lesbiche, come Pussy Calore, che gli dice: “Credevo mi piacessero solo le donne. Finora non avevo mai incontrato un uomo”. Nelle donne Bond ama gli abiti preparati dai grandi sarti: ma, nel fondo, tutto ciò che è tenero e femminile gli resta profondamente estraneo.
In ogni angolo della terra ci sono i nemici. Ma il Diavolo esiste? “Per imparare ad essere buoni, c’è un libro, un libro con la L maiuscola: ma non c’è nessun libro in cui il Diavolo abbia proclamato i suoi dieci comandamenti”. “Dio – dice – è un’immagine nitida: puoi vedergli ogni pelo della barba. Ma il Diavolo? Che aspetto ha il Diavolo? Non esiste una banda di scrittori che abbia compilato la sua biografia. È stato condannato per mancanza di avvocati difensori, non sappiamo nemmeno come. Non c’è un libro da cui imparare la natura del male in ogni sua forma”. Ma, certo, se il Diavolo è invisibile, ci sono i malvagi: numerosissimi malvagi. C’è Goldfinger: il quale, più che malvagio, è l’incarnazione dell’oro. “Amo il suo colore, la sua brillantezza, la sua divina pesantezza. Amo la sua consistenza, la viscosità morbida che ho imparato con piacere a giudicare. E amo il potere che soltanto l’oro conferisce a chi lo possiede”. L’oro sembra dare a Goldfinger una proprietà miracolosa: quella di scrutare il mondo coi raggi X, proprietà che anche James Bond possiede. Goldfinger vorrebbe addirittura impadronirsi di Fort Knox: i suoi venti milioni di sterline non gli bastano. Sogna l’hénaurme, come Flaubert sulla scia di Rabelais.
Molto più importante di Goldfinger è la Smersh, l’organizzazione sovietica di vendetta e di morte, voluta dal Presidium del Soviet Supremo e sottoposto a Berija. Essa uccide, vende gioielli, liquida ville e bordelli: per un momento, stranamente, è alleata di Bond; incide le proprie iniziali sulla sua mano destra. Bond la contrasta dappertutto: a Londra, dove ha l’ufficio al settimo piano di un palazzo di Regent’s Park: lì risiede il suo capo possente, misterioso ed ironico, M; la combatte in Francia e in Svizzera, non dimenticando di coltivare i vini e i formaggi. Sovente viene sconfitto: nudo, coperto di lividi, torturato: niente è più terribile che l’inizio della tortura; e si accorge di amare tremendamente la vita. Ma Fleming, Dickens e i lettori vogliono ad ogni costo il lieto fine. Così James Bond salva il mondo, sebbene nel modo ironico che Fleming apprezza.