Estratto dell'articolo di Cristiana Allievi per “7 - Corriere della Sera”, 29 settembre 2023
“UN GIORNO ANDAI DA MIO PADRE E CHIESI ‘TI SEI MAI DROGATO? SEI BISESSUALE?’” – LUCA BARBARESCHI APRE LE VALVOLE E RICORDA LA MADRE CHE LO ABBANDONÒ A 6 ANNI: “UN GIORNO MI HA DETTO ‘SCUSA MA MI SONO STUFATA’. IO E MIO PADRE SIAMO RIMASTI SOLI, DUE UOMINI IN COMPETIZIONE” – LE DONNE: “SONO STATO UN DISGRAZIATO, UN INCOSCIENTE” – LA FINE DELLA STORIA CON LUCREZIA LANTE DELLA LOVERE: “LA SUA SOGLIA DEL DOLORE ERA PIÙ BASSA DELLA MIA, E STARE CON ME ERA COMPLICATO” – “IL MONDO POLITICALLY CORRECT MI ODIA PERCHÉ DIFENDO POLANSKI E LAVORO CON LUI” – VIDEO
[…] Luca Barbareschi è vestito di chiaro e i suoi occhi sono luminosi. È appena stato alla Mostra di Venezia in doppia veste, quella di produttore (e attore) di The Palace, la commedia nera di Roman Polanski, nelle sale da ieri, e quella di regista (e protagonista) del suo primo film americano, The Penitent. A Rational Man, adattamento di una pièce teatrale di David Mamet, un testo che sembra tagliato sulla misura della sua vita e che vedremo all’inizio del 2024.
Al centro c’è una storia ispirata a fatti veri, uno psichiatra ebreo che vede la propria esistenza e la propria carriera andare in rovina per aver rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente che ha ammazzato otto persone. «Ho contro tutta la stampa, a vedere il mio film ci saranno stati tre giornalisti», comincia a rotolare la valanga-Barbareschi.
Partiamo da The Palace , la satira di Polanski che a Venezia non ha convinto i critici: come l’ha presa? «Sentir dire le cose che ho sentito, con un film costato 22 milioni di euro, è surreale. Nella vita ho imparato che se qualcosa non mi convince non è detto che non sia valida, The Palace è lo specchio di una società di imbecilli che si scattano selfie, di gente rifatta e ricostruita. Ci sono Putin e qualcuno che vuole distruggere l’Europa, ma forse non sono i russi. E Polanski ha scritto il film prima della guerra in Ucraina, forse lo capirete fra vent’anni».
È il quinto lavoro del regista polacco naturalizzato francese da lei finanziato: difficile trovare fondi per un autore così? «Sono un eroe, e il fatto che io lo difenda e ci lavori insieme da 40 anni ha fatto sì che il mondo politically correct mi odi».
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Tecnicamente è oggetto di un mandato d’arresto internazionale emesso dagli Usa, non le crea problemi? «No, perché so come sono andate le cose, io c’ero, e gli americani sono dei figli di puttana. È tornato da Bora Bora e si è consegnato alla Polizia sapendo di aver fatto una cazzata. Non c’è stato nessuno stupro e tutto sarebbe finito con un’ammenda, considerato che erano gli anni Settanta, Samantha Geimer era consenziente e dimostrava più dei 13 anni che aveva.
Quando però Roman ha capito che il giudice avrebbe fatto una sentenza finta, per farsi pubblicità, se n’è tornato nel suo Paese d’origine. Sono 50 anni che la Geimer ripete “non sono stata violentata, Polanski mi piaceva”, pochi mesi fa ha rilasciato un’intervista con Emanuelle Seigner (moglie del regista; ndr ), dicendo “ci avete rotto..., noi due donne lo abbiamo difeso e perdonato”. Mi spiega perché si continua con questa storia di Polanski stupratore?».
Lei come se lo spiega? «Alla gente interessano le maldicenze, ma gli studi di epistemologia dicono che se nella vita hai una capacità di elaborazione affettiva e spirituale forte, il tuo Dna si modifica. Lo scopo della vita è migliorarsi, anche di un solo centimetro».
Lei lo fa? «A costo di litigare, e non mi importa risultare antipatico. Gli ultimi figli che ho avuto stanno meglio di come stavano le mie prime figlie, perché sto meglio io. Sono un privilegiato, non sono finito in un campo di concentramento, ho avuto sei figli meravigliosi da tre donne (la moglie attuale è Elena Monorchio, ndr.)».
Come Julian Schnabel, anche lui in questi giorni a Venezia. «Lo conosco bene, e a differenza sua io sono un padre affettuoso e non mi creo l’harem. Sono stato un disgraziato, un incosciente, ma quando finisce una storia, per me è finita. Ho avuto una donna a New York, la madre di mio figlio Michael (nato nel 1974, ma “scoperto” a vent’anni di distanza, ndr ), poi mi sono messo con Titta (Patrizia Fachini, ndr) e abbiamo fatto tre figlie. Ma mi sono innamorato di Lucrezia (Lante della Rovere, ndr) quando mia moglie aspettava il terzo figlio, se ci penso adesso... Ho perso la testa, Lucrezia aveva appena avuto due gemelle, siamo stati insieme 12 anni. Finché non mi ha lasciato, di colpo».
Perché? «La sua soglia del dolore era più bassa della mia, e stare con me era complesso».
Anche sua madre, Maria Antonietta Hirsch, l’ha abbandonata. Quando lei era un bambino. «Un giorno mi ha detto “Scusa ma io mi sono stufata, me ne vado”. Avevo sei anni, si era innamorata di un altro uomo e si è portata via mia sorella di un anno dividendoci per sempre».
Cosa ha detto a sua madre, mentre se ne stava andando? «”E io?”, ma mi ha risposto “Mica possiamo andare tutti in vacanza insieme...”. Era molto simpatica, spiritosa»
Spiritosa? «Mi ha dato un libro, Cent’anni di solitudine, dicendomi di leggerlo. Per tutta la vita mi ha mandato un libro ogni due giorni. Al telefono diceva “Sì sono via, sono a Copenaghen...”, “Sto andando in Egitto...” e poi aggiungeva “Ora cosa fai, piangi?”».
E lei? «”No, no, ciao mamma”».
Non vi siete mai ritrovati? «Non volevo più vederla. Difendevo anche mio padre, lo vedevo piangere: gli mancava sua figlia. Bel casino, insomma».
Francesco Saverio Barbareschi, ingegnere civile ex capo partigiano. «Era un uomo molto potente, parlava sei lingue, sciava benissimo, era persino un pianista strepitoso. Lavorava per la Edison, costruiva dighe e centrali termoelettriche, motivo per cui io sono nato in Uruguay. Quando mia madre è scappata siamo rimasti due uomini in competizione. Quando abbiamo litigato e me ne sono andato gli ho detto cose terribili. Gli è venuto un infarto».
Cosa avrebbe voluto da lei? «Che facessi l’economista, diceva che avevo una mente veloce. Ma ho dato solo tre esami a Losanna, poi un giorno sono andato da lui e gli ho detto “Ti sei mai drogato? Sei bisessuale? Hai mai fatto questo o quello?”. E lui, che era una belva, mi ha risposto di non permettermi...».
Lei cosa ha detto? «”Siamo diversi, vaffanculo, me ne vado”».
L’America è stata una fuga? «All’epoca l’Italia era molto cupa, Milano aveva i micro assegni al portatore, volevi suicidarti... Eroina e cocaina te le regalavano fuori dalle scuole, erano la droga di Stato per sedare una generazione. Andai con Oliviero Toscani, la prima volta in America: si immagini un diciottenne che si siede a tavola a Max’s Kansas City e incontra Mick Jagger, David Bowie, Lou Reed... C’era un’energia impensabile, io ero un povero cristo senza una lira ma andavo alle feste, giravo le case di tutti, vedevo aprirsi porte su porte».
Come si manteneva? «Facevo il cameriere e vivevo al ristorante Il cortile, una volta Coppola mi diede 100 dollari di mancia. Finivo la settimana e avevo mille dollari in tasca, avevo il mio loculo sopra un barber shop e toccavo il cielo con un dito. Non dormivo mai. Grazie a Steven Spielberg, che mi disse “Prendi una penna e scrivi, poi gira”, in America ho scritto sei film».
Quando ha rivisto suo padre? «Dopo 5 anni. Ma la competizione fra noi non è finita neppure alla sua morte».
E con sua madre c’è stata una riconciliazione? «No, ed è il problema più grosso della mia vita. Quando ho capito un po’ meglio le cose sono diventato suo padre, a 80 anni era ancora un’adolescente».
Quanta rabbia ha ancora in corpo? «Meno di un tempo. La mia è stata una rabbia terribile, figlia della solitudine. Una volta al mese devo riguardare il mio curriculum perché non penso di aver fatto davvero le cose scritte lì. Non ho mai la sensazione di meritarmi il successo».
Nel suo primo film americano, The Penitent.A Rational Man , lo psichiatra protagonista arriva alla conclusione che nessuno guarisce. Vero? «Ho fatto ipnoterapia, sono stato anche in cura per 8 anni da Matte Blanco, un analista cileno. Il problema non è guarire ma accettare i propri dolori. La ferita rimane dentro e ti rende consapevole delle difficoltà, ti tiene sveglio, ti fa ricominciare».
«Cos’è la malattia mentale? Un disturbo dell’anima...», sempre parole dello psichiatra del film. «Questa frase è mia, non di Mamet. L’anima ha delle fragilità, è leggera, basta poco per metterla in agitazione. Io più invecchio più mi sento fragile».
Fragile o sensibile? «Fragile e sensibile, tutto mi turba».
Le pare una novità? «Dentro mi sono sempre sentito così, ma indossavo una corazza, anche quando ero un cazzone e menavo le mani».
Quando lo ha capito? «Quando Lucrezia mi ha lasciato e mi sono reso conto di aver sbagliato io. Non c’era stato ascolto, la mia testa va talmente veloce che non mi accorgo di procurare sofferenza agli altri».
Quante volte le si è spezzato il cuore? «Tante, ogni volta che si è rotta quella stretta di cuore e cervello che speravo di aver creato con la persona amata. È come quel momento di fine agosto in cui cambia l’inclinazione del sole: di solito me ne sto a Filicudi. Sono meteoropatico, il cambio di stagione è un momento delicato».
Fa vivere il trauma dell’abbandono a chi le sta vicino? «Io lo creo, l’abbandono, faccio di tutto perché a un certo punto qualcuno mi lasci. I modelli di comportamento si ripetono».
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«So che mia madre voleva abortire, ha scritto una lettera a mio padre proprio 10 giorni dopo aver scoperto di essere incinta. Il feto ha ventimila neuroni che registrano tutto, e io ho registrato che non ero benvoluto».
È diventato attore per avere l’attenzione e l’affetto mai ricevuti? «Cercavo gli applausi ed è un bel passo avanti che oggi non mi interessino più. Da ragazzo ho usato tante droghe, oggi faccio volontariato al Centro Maraini per tossicodipendenti, andare tra persone che stanno peggio di me è un gesto di umiltà. Ho anche lavorato con una trainer per un deficit da mancanza di concentrazione che compenso facendo mille cose».
Al momento? «Studio composizione e direzione d’orchestra da 4 anni, scrivo un nuovo film, produco Black Out e altre 2 serie tv».
Ha paura del vuoto? «A Filicudi sto bene anche da solo».