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 2023  settembre 29 Venerdì calendario

Intervista a Giampiero Mughini

Giampiero Mughini, chi è la persona più intelligente che abbia mai conosciuto?
«Dopo Norberto Bobbio?».
Dopo Norberto Bobbio.
«Indro Montanelli. Ha fatto Montanelli per tutta la vita; e ci voleva molto talento».
Cosa significava fare Montanelli?
«Stare al confine tra le due parti – Mussolini, la Dc, Berlusconi, e i loro avversari —, cogliendo sempre il momento giusto per schierarsi».
Qual è il suo primo ricordo?
«Firenze, 1944. Mio padre, fascista, con l’arrivo dei partigiani si era nascosto. Poi partimmo su un camion americano verso la Sicilia. Il viaggio durò 15 giorni».
I suoi genitori si separarono.
«Una cosa che non succedeva mai: mariti e mogli si facevano le corna, ma restavano insieme. A Catania l’unico figlio di separati ero io. Pranzavo da mio padre tre volte al mese. Un giorno mi disse: lo sai che tua madre frequenta un altro uomo? Risposi: “Ne ha pieno diritto”. Avevo tredici anni».
Suo padre aveva fatto la marcia su Roma, vero?
«Così diceva. Ma parlando con il suo grande amico di Marradi, il paese dove era nato, mi sono convinto che fosse una vanteria. Poco importa: stava da quella parte».
Com’era?
«Di una durezza che faceva paura. Diceva una parola ogni mezz’ora; ma era una parola che lasciava il segno. Ho impiegato tutta la vita a sentire più vicina a me la durezza della toscanità attiva di mio padre, rispetto al chiacchiericcio meridionale di mio nonno».
Chi era suo nonno?
«Pietro Battiato era comunista. Finì anche in galera, e mio padre lo fece liberare. Sul comodino aveva i ritratti di Marx, Engels, Lenin, Gramsci e Stalin. Dopo il ventesimo congresso del Pcus tolse il ritratto di Stalin. Mio padre aveva una sola foto, di Mussolini giovane. E sa qual è la differenza?».
Quale?
«Mio padre aveva un’esperienza personale di Mussolini giovane. Mio nonno di Marx, Engels e compagnia non sapeva nulla. Il nonno era un chiacchierone cui piacevano le belle donne».
Povero nonno.
«Lo adoravo. Fece anche il direttore di Giovane critica, la mia rivista, grazie al suo tesserino da giornalista pubblicista. Pure lui si separò dalla nonna, quando avevano settant’anni».
Mussolini ha sulla coscienza 440 mila morti italiani nella seconda guerra mondiale.
«Mio padre e i giovani fascisti non covavano i morti. Covavano quella che loro ritenevano la strada giusta per opporsi al bolscevismo».
Qual è il suo primo ricordo pubblico?
«Era il 25 aprile 1961, avevo vent’anni, parlai in piazza. Dissi che con gli ex fascisti dovevamo essere spietati; e non tenni in alcun conto che tra quegli ex fascisti c’era mio padre. Da allora sono passati 62 anni, e ancora me ne vergogno. Non perdonerò mai a me stesso di aver detto quella bestialità».
Anche lei però divenne comunista.
«Di sinistra accesa».
Fu tra i fondatori del Manifesto.
«Rimasi tre mesi, ma mi resi conto subito che era una follia vagheggiare un partito comunista a sinistra del Pci. Scrissi un articolo raccogliendo giudizi, anche critici, sulla nuova testata. Lucio Magri mi disse che lui quelle cose non le avrebbe scritte. Mi alzai, presi la mia borsa, e me ne andai».
Com’era Lucio Magri?
«Mi è sempre stato antipatico. Da quando ho saputo del suo suicidio, in una clinica svizzera, è per me un fratello».
Anche lei ha conosciuto la depressione?
«Sì. Fu un periodo in cui anche solo andare dal letto al bagno mi costava una fatica terribile. Pensavo di essere fuori da qualsiasi giro».
Come ne è uscito?
«Con le pillole. E con la consapevolezza che nella vita esiste il bianco ed esiste il nero».
Quale fu il suo momento bianco?
«Pubblicare Compagni addio fu uno spartiacque. Positivo, anche se doloroso. Paolo Flores d’Arcais non mi ha più rivolto la parola. Nanni Moretti neppure».
Lei per Moretti fu anche attore. Si racconta che abbiate litigato quando lui, in questa casa così piena di oggetti preziosi da essere ribattezzata Muggenheim, ruppe un bicchierino da whiskey con cui giocherellava.
«Nanni lo gettava in aria, lo faceva volteggiare, e lo riprendeva al volo. Prima volta: paf! Seconda volta: paf! Terza volta: crash! Ma non abbiamo certo rotto per questo, bensì per Compagni addio. Eppure, se oggi Nanni tornasse in casa mia, lo abbraccerei».
Lei Mughini ha vissuto una doppia vita. I futuristi, e la tv con Loretta Goggi. I designer, e i talk sul calcio di Piccinini e Pardo. Gli stilisti giapponesi, e Ballando con le Stelle. Qualcuno dice che lo fa per denaro.
«Il denaro è una motivazione importante, ma non certo la prima».
Altri dicono che lo fa per narcisismo.
«Questa è già un’ipotesi più calzante. Ma il vero motivo è fare una cosa per la prima volta, rientrare nel giro, mettermi in gioco. E il pop, dal cinema al fumetto, per me è parte essenziale della vita».
A Ballando le hanno dato zero.
«Davvero lei e io ci siamo incontrati qui oggi per parlare della giuria di Ballando?».
È vero che adesso va al Grande Fratello?
«Sì. Entro nella casa tra un paio di settimane. Senza cellulare e senza orologio. Porto la mia salsa per condire quella pietanza».
Come fu con Loretta Goggi?
«Era la prima volta che guardavo una macchina da presa e parlavo a milioni di italiani. Ho imparato che in tv hai pochi secondi a disposizione. Oggi leggo articoli che dopo cinquanta righe non hanno ancora detto nulla».
Loretta com’era?
«Straordinaria. Un giorno venne Klaus Dibiasi. Lei lo guardò stranita: “E questo chi è?”. Risposi: è il più grande tuffatore di tutti i tempi, oro olimpico dalla piattaforma a Città del Messico 1968, Monaco 1972, Montreal 1976. Un attimo dopo Loretta parlava con Klaus Dibiasi come se lo conoscesse da sempre, come se avesse assistito al suo duello con Greg Louganis a bordo piscina. Strepitosa».
Chi è il più grande sportivo di tutti i tempi?
«Roger Federer è per me un dio, ma ora ho capito la grandezza di Nadal. Tra gli italiani ho amato molto Pietrangeli e Alberto Cova».
Tra i calciatori?
«Marco Tardelli: il più moderno. La prima volta che lo incontrai ero emozionato come un bambino; ora lui e Myrta Merlino sono cari amici. La Juve tutta italiana del 1977 è per me la squadra più forte di sempre. In Argentina giocò un Mondiale favoloso. E mancavano Beppe Furino e Francesco Morini: due rocce».
E tra gli stranieri?
«Crujff era mostruoso».
Maradona? Platini?
«Non sono stranieri. Maradona è il più grande calciatore napoletano. Platini è diventato grande in Italia».
Come mai lei è diventato juventino?
«Perché da bambino giocavo con le figurine Panini e mi piacevano Giampiero Boniperti, che si chiamava come me, ed Ermes Muccinelli, che era piccolo e nervoso come me».
L’ipotesi del narcisismo guadagna terreno.
«Ma io mi sento minuscolo rispetto alle grandi intelligenze. A ripensarci, la persona più intelligente che ho conosciuto è Prezzolini. Lo intervistai quando stava per compiere cent’anni. Era il 1992 e mi raccontò un pranzo del 1926 a Firenze: “C’erano Tizio, Caio, Sempronio e... perbacco! Non mi ricordo il quarto!”».
E Sciascia?
«Forse il più intelligente di tutti è lui. Eravamo amici. Quando morì stava lavorando a una biografia di Telesio Interlandi, il teorico del razzismo. Il figlio di Interlandi mi propose di continuare io. Ci pensai 35 secondi e gli dissi di sì».
Lei ha intervistato anche Terracini, il comunista che firmò la Costituzione.
«Mi raccontò che ogni sera dei diciassette anni che passò nelle carceri fasciste infilava i pantaloni sotto il materasso, per averli stirati il mattino dopo. Un dettaglio meraviglioso, che dà l’idea della dignità, della forza morale. Ma quando rilesse l’intervista quel dettaglio lo trovò troppo borghese. E me lo fece togliere».
E Togliatti?
«Fu l’unico leader comunista a sopravvivere a Stalin. Lui, De Gasperi, Einaudi, Fanfani: giganti».
E la Meloni?
«Me la trovai davanti la prima volta che avrà avuto diciotto anni: non sbagliò una parola. Pure al governo ha iniziato bene; poi si è ingarbugliata. Anche a causa della sua squadra: se giocasse a calcio, sarebbe in serie C».
Voterà Meloni o Schlein?
«Certo non la Schlein. Nulla in lei mi suona, tranne qualche sillaba che mi ricorda tempi remotissimi. Se mi chiedessero di andare a cena con la Schlein o con Vannacci, sceglierei il generale».
Perché?
«Non mi pare uno sciocco. Non per il libro, ma perché ha avuto un comando di uomini in zona di guerra».
Di Berlusconi che ricordo ha?
«Non buono; buonissimo. Ero in una sua tv quando qualche leccapiedi disse: il presidente Berlusconi ha vinto l’Oscar. Risposi che l’Oscar l’aveva vinto Tornatore, con un film prodotto da Berlusconi. Il giorno dopo lui mi telefonò per ringraziarmi di aver corretto quell’importuno. Era la prima volta che lo sentivo in vita mia».
Craxi?
«Un altro gigante, che ha cambiato la storia della sinistra italiana».
Un condannato.
«Certo. Ma non meritava di essere straziato in quel modo, cacciato fuori dall’Italia dove si sarebbe potuto salvare, operato in condizioni spaventose, quasi condannato a morte».
Berlinguer?
«Brava persona, comunista banale».
Perché?
«La questione morale, il proclamarsi superiori, è una banalità da terza elementare. È banale aspettare il golpe in Polonia del 1980, quarant’anni dopo Katyn, per proclamare la fine della spinta propulsiva dell’Urss».
Le manca non avere figli?
«Non sarei stato all’altezza. È già stato tanto sposarmi, tre anni fa, con Michela».
Lei crede in Dio?
«No. L’aldilà non esiste».
Quindi la sua amata Brigitte Bardot non risorgerà?
«Purtroppo no. Ma è entrata talmente dentro di noi, che fino a quando sarà vivo un uomo della nostra generazione, BB vivrà».