la Repubblica, 29 settembre 2023
Intervista a Giovanna Mezzogiorno
«Digitando il nome di Giovanna Mezzogiorno la prima domanda che veniva fuori era “quanto pesa”». E così invece di un’intervista Silvia Grilli, direttrice di Grazia, ha pensato a un corto, scritto e diretto dall’attrice. Unfitting, nove minuti, prodotto da One More Pictures in collaborazione con Grazia e Bulgari, e sarà presentato alla Festa di Roma. Si racconta di un’attrice, interpretata da Carolina Crescentini, alla quale in ogni momento sul set o in tv, viene continuamente ricordato che la sua figura è “inadeguata”, dopo due gravidanze e alle soglie dei cinquant’anni. Nel cast Fabio Volo e Ambra Angiolini, la canzone di Tiziano Ferro. «Sono delusa da come è andato il MeToo in Italia – dice Grilli – è sembrato che nessuna attrice sia stata molestata, ma che, privilegiate, abbiano denunciato per farsi pubblicità. Quella verso Giovanna è stata un’altra forma di violenza, perché il suo fisico è cambiato, non era più la bella ragazza di L’ultimo bacio. Le attrici sono lavoratrici sottoposte, come tutte noi, al controllo del corpo».
Giovanna Mezzogiorno, com’è stato dirigere Unfitting?
«All’inizio ero sorpresa della proposta, ma ho scoperto, inaspettatamente, di saperlo fare. E la lavorazione è stata fluida, piena di empatia e armonia».
Perché questo argomento?
«Mi ha riguardato in prima persona. Sono stata molto criticata – non apertamente, non te lo dicono in faccia – quando avevo preso molto peso e non corrispondevo più all’immagine che le persone avevano di me. Ma non è un corto in cui ci si piange addosso, c’è grande ironia, bisogna saper ridere di cose che ci hanno fatto soffrire in passato».
Molte donne si identificheranno.
«Penso di sì, la maggior parte si è rotta le scatole di essere vincolata a questi modelli di bellezza. Il termine bellezza è opinabile, diciamo che questi modelli di pseudo perfezione fanno sentire la maggioranza delle persone – non tutti siamo modelli – in una condizione di disagio. A molti livelli: sul lavoro, in famiglia o tra amici».
C’è una bimba che nuota libera, ed è la libertà del corpo di quando, bambine, non dobbiamo ancora rispondere a certi canoni.
«Esattamente quello, è una rievocazione-ricordo di un’età di purezza, spensieratezza, in cui non abbiamo ancora ricevuto la valanga di fango che da adulti ci viene gettata addosso. Ho voluto suggerire che quel pensiero a cui tornare ti dà forza: siamo state anche quella cosa lì ed è una cosa che resta bellissima».
Che rapporto aveva con il corpo da bambina?
«Ero piccolissima, un grillo, magrissima, però ho avuto un rapporto buono, fino a quando non ho iniziato a capire che la bellezza veniva veniva anteposta alla bravura. Mi ha sconvolto».
Pur avendo avuto il dono della bellezza, non ne ha fatto un punto di forza sul lavoro.
«Conta sicuramente l’aspetto fisico, sarei una ipocrita se dicessi il contrario. Un attore è un personaggio di cui il pubblico si deve anche un po’ innamorare. Ma nel corso della mia carriera difficilmente è stata esaltata la mia prestanza fisica, non ho mai fatto ruoli che mettessero in risalto l’avvenenza, sempre poco trucco, semplici, quotidiani, normali».
Il cambiamento del suo corpo non ha avuto ripercussioni nella sua vita. Li ha avuti nella sua carriera.
«Sì, non mi ero resa conto di quanta falsità ci fosse intorno a me, registe che inneggiano di essere dalla parte delle donne e non lo sono affatto. In tanti hanno addirittura chiuso i rapporti. Poi sono entrate in campo le leggende, che ero malata – e tanti altri mi hanno scansata. Non importa, meglio. Alla fine è una presa di coscienza del fatto che le persone ti stimano e ti vogliono finché corrispondi alla loro idea e al loro canone. Non è che rendersene conto sia il massimo. Pian piano realizzi che è così. Ma non sono tutti così, molti mi vogliono bene. Ma nel film racconto una cosa oggettiva».
E oggi che rapporto ha con il suo corpo?
«Non sono una fanatica dello sport, sono pigrissima, ma ho il corpo che è giusto per una donna di quasi 49 anni, non posso pretendere di averlo come quando ne avevo venti, questa è la verità».
C’è una correzione continua del corpo, le inquadrature, il digitale...
«Una cosa che ormai ha assunto connotazioni ridicole. Neanche mi fa rabbia: mi annoia».
Un giovane collega nel film dice: “Ma ha avuto due figli, poveraccia”. E l’altro risponde “poveraccia no”.
«Perché la gente non comprende, non aspetta altro. Magari ti ha invidiato per anni, ti considera una privilegiata e quindi dice: ben vengano le critiche che ti stroncano».
Il proprio corpo non va giustificato, lei è una bellissima donna, poveraccio è chi impone il canone o lo subisce.
«Siamo d’accordo io e lei, ma questo non cambia la considerazione generale. Mi rivolgo agli uomini e alle donne che hanno comunque una grande responsabilità, vogliono emulare dei modelli e avallano il sistema».
E le campagne sulla diversità della bellezza, anche portate avanti da noti marchi?
«Sono tutte boiate. La realtà non funziona così. Le cose continuano esattamente allo stesso modo, proprio come racconta il mio Unfitting».