la Repubblica, 29 settembre 2023
Biografia di Oreste Del Buono
C’era mille volte Oreste Del Buono, detto OdB, principe della creatività propria, ma soprattutto altrui. Ha cominciato, realizzato e abbandonato talmente tante iniziative culturali e intellettuali da essere circondato da varie leggende: OdB non dorme mai; OdB non mangia; OdB vede poco ma ha un naso finissimo.
Questa dell’odorato è l’unica vera: a un certo punto, invecchiando, la sua sensibilità olfattiva aumentò di colpo. Notava profumi e puzze ben prima di chiunque altro gli stesse accanto. Mentre il resto della leggenda nasce da fatti: uno, la notevole energia psicofisica, che gli permetteva maratone alla macchina da scrivere e decine di incontri al giorno; due, una naturale, profonda e vivace curiosità, aggiunta alla velocità del pensiero, che lo spingeva negli angoli più remoti delle città, delle biblioteche, delle case editrici. Apparteneva a quel piccolo manipolo di persone delle quali si dice “Unico nel suo genere”.
Già, ma quale genere? OdB non si è fatto mancare nulla. Senza di lui, e senza il mensile Linus, del quale diventò direttore, portando tra i collaboratori, ad esempio, un giovanissimo Andrea Pazienza, ma anche Altan e Hugo Pratt, il fumetto ci avrebbe messo molto più tempo a uscire dall’angolo del parente povero della letteratura.
Dei gialli e dei noir è stato – con pochissimi altri editor italiani, come Marco Tropea e Laura Grimaldi – un cultore e un sostenitore appassionato. Anche qui esiste una leggenda speciale, che lega OdB a Giorgio Scerbanenco.
Scerbanenco, il “fratello maggiore” dei giallisti italiani, ha avuto, è noto, una sterminata e varia produzione narrativa. La popolarità internazionale e il vero successo arrivano però dal ciclo dei gialli con protagonista Duca Lamberti, medico radiato dall’albo e diventato un collaboratore della questura in indagini delicatissime. La scrittura di Scerbanenco, in questi romanzi pubblicati negli ultimi anni di vita, si fa più secca, nitida e feroce rispetto agli altri. Come mai?
C’era stato un editing, rimasto dietro le quinte, di Oreste Buono? Ed è vero che, come dice uno studioso, sempre a OdB si deve la paternità di due racconti che fanno parte della raccolta scerbanenchiana Cento delitti?
Risposte precise mancano. Né le si possono ricavare dalle biografie che Alan Scerbanenko, figlio della prima moglie di Giorgio, e Cecilia Scerbanenco, figlia della compagna Nunzia Monanni, hanno dedicato (notare la k e la c) al venerato padre. Ma che OdB fosse un grande talent scout e un genio del “taglia e cuci” editoriale, uno capace di fare in modo che la voce degli scrittori arrivasse forte e chiara, è più che accertato. Traduttore di circa duecento romanzi (tra i quali opere di Raymond Chandler, Arthur Conan Doyle, Robert Louis Stevenson, Marguerite Yourcenar, Oscar Wilde), collaboratore di moltissime case editrici e sia della Mondadori che della Rizzoli («bigamo legalizzato», veniva chiamato), saggista, critico di cinema e anche (per primo) degli spot pubblicitari, aveva come bussola la totale indipendenza intellettuale. Ed era un formidabile provocatore: da co-dirigente dei Tascabili Einaudi rianimò vecchi titoli e impose Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano.
Quel verbo era inconcepibile per la casa editrice, tanto che nei contratti inviati a Gino&Michele, i due autori che avevano messo insieme la tantissime battute comiche che componevano il libro, scrisse «le formiche nel loro piccolo…», con i puntini di sospensione. L’operazione a molti piacque (il libro arrivò velocemente al milione di copie), ma ad altri non andò giù perché “rubava” ai singoli comici il frutto del loro ingegno.
Del plauso o delle reprimende altrui OdB semplicemente poteva farne a meno. Era capace di grandi generosità (ha aiutato ad esempio Bruno Brancher, ex galeotto diventato scrittore), ma anche di distacchi rapidi e glaciali. Suo il record italiano delle dimissioni – un centinaio – trovando sempre nuove occasioni di lavoro. Era riuscito a pubblicare, ovviamente in tempi diversi, ma per tre quotidiani (La Stampa, il Corriere, la Repubblica) una rubrica con lo stesso titolo: La talpa di città. Erano gli appunti di quello che notava andando in giro, colori di un abito, frasi, bozzetti. Anche se più a una talpa, quella sua vita senza mai grandi pause dal lavoro («inesauribile» è l’aggettivo che gli dedica il convegno organizzato per domani a Milano allo spazio Wow in viale Campania 12) fa venire in mente i meccanismi delle macchine tessili. «La mia vita – sono parole sue – si è svolta come in un film di Charlot, un po’ tragica e un po’ ridicola».
Ridicola mai. Forse quell’aggettivo nasce dall’unica sua sconfitta. Si definiva, infatti, con ironia, «autore di romanzi di medio insuccesso»: ha scritto, riscritto, buttato, ha ritirato a sue spese tutte le copie già stampate di un libro, ne ha bloccato un altro perché l’editore aveva cassato otto pagine.
Era come se lui dopo aver tradotto i grandi e aiutato tantissimi altri a trovare la voce, circondasse di troppi timori la sua. Sua figlia Nicoletta ha detto che non aveva paura della morte e del dolore, ma delle «brutte figure».
Nato nel 1923 all’Isola d’Elba e morto a Roma il 30 settembre 2003, aveva abitato dalla prima adolescenza quasi sempre a Milano. Non poteva star troppo lontano da questa città delle ambizioni: la considerava l’«unico luogo, non è affatto retorica, in cui possa vivere».