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 2023  settembre 28 Giovedì calendario

“NON C’È VERO POTENTE CHE, ALLA RICERCA DI GLORIA, NON VADA A BATTERE E A SBATTERE CON L’ANTICA ROMA” – DALLE STATUE A CUI BERLUSCONI FECE RIFARE IL PISELLO AL COLOSSEO OFFERTO DA SANGIULIANO A MUSK E ZUCKERBERG: LA PASSIONE DELLA POLITICA PER L’IMPERO ROMANO NELL’INTRODUZIONE DI FILIPPO CECCARELLI AL “MANUALETTO DEL CANDIDATO”, DI QUINTO TULLIO CICERONE (FRATELLO DI MARCO) – “QUANDO ROBERTO D’AGOSTINO COMINCIÒ A PUBBLICARE I SUOI CAFONAL VENNE SPONTANEO PENSARE AL SATYRICON DI PETRONIO…” – LE “IDI DI MARZO” DI ALDO MORO E LE PARENTELE DI ANDREOTTI - VIDEO STRACULT: QUANDO IL CAV. SCIVOLÒ SU “ROMOLO E REMOLO” -

Estratto dell’introduzione di Filippo Ceccarelli a “Manualetto del candidato, istruzioni per vincere le elezioni”, di Quinto Tullio Cicerone (ed. Manni)

Gli antichi romani siamo noi, o forse no. La faccenda è più complicata, ci sono troppi impicci fra loro e noi, il Cristianesimo, le invasioni barbariche, il Medioevo, il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e via di seguito.

Troppi secoli sono passati, per cui anche solo pensare a un’eredità è uno sproposito storico, culturale, concettuale, eppure... Eppure siamo impastati con gli antichi romani, sono dentro di noi, senza che ce ne rendiamo conto governano i nostri pensieri, i nostri sogni, ma soprattutto regolano in via prioritaria e come una clessidra scandiscono il confronto, il paragone, l’affinità, la somiglianza, l’assonanza di cose che sono insieme lontane e approssimative, ma che sempre ci saranno, amen.

Al luna park della storia Una di queste risonanze è il Commentariolum petitionis di Quinto Tullio Cicerone. L’analogia, come riflesso mentale, ha un che di ingovernabile. Non distingue immediatamente fra monarchia etrusca, res publica, principato, guerra civile, imperium, eccetera. L’analogia fa un tutt’uno, afferra il cucuzzaro delle vicende umane e lo trasporta nel parco giochi dell’approssimazione perforando e al tempo stesso scavalcando i codici imposti da Sua Maestà il Tempo.

Per quanto tutto sia qui già accaduto, sull’onda di questo libricino – “commentariolum” suona graziosamente diminutivo – la Città eterna restituisce un senso di appartenenza e un’entità psichica che continuano a vivere dentro di noi. Roma stessa, per chi ci abita e per chi ci capita, reca un’immediata suggestione archeo, rovine cosparse di rampicanti, colonne mozze, marmi che trasudano avventure: basta grattare per trovarsi dinanzi al mistero della coincidenza e a quello della continuità. Ma letteralmente.

Così proprio sotto il Quirinale, accertata a mezzo di tecnosonde ed ecostratigrafo, è la presenza del tempio del dio Quirino, mitica proiezione di Romolo, il fondatore di tutto. Dietro Montecitorio è stato ritrovato l’obelisco che oggi gli sta davanti. Dalle parti del Senato c’erano fastose terme e laghetto, con opportuni natanti; all’interno di Palazzo Madama, nella Sala Maccari, c’è un affrescone un po’ da sussidiario in cui Cicerone inveisce contro Catilina.

Mentre nell’angolo più riparato del Transatlantico fino a qualche anno fa c’era un quadro – forse è ancora lì, sopravvissuto alle periodiche rotazioni – che pure raffigura pari pari ciò di cui si parla in queste pagine, il rito della visita dei clientes al potente di turno.

La targhetta in ottone reca: Salutatio matutina. Sotto il dipinto, accomodatisi su un divano di color rosso pompeiano, gli onorevoli seguitano a discutere, conversare e tramare. Forse è anche per questi lampi che nel leggere e rileggere il Commentariolum proto-elettorale ci si ritrova naturalmente sprofondati nel luna park della storia.

E per lo stesso riverbero ti pare di rivedere nel bagno di folla del leader di turno, in prima e seconda serata televisiva, il rito antichissimo del trionfo, così come nel boato degli stadi di calcio riconosci la potenza delle masse da intrattenere, con provvigioni e spettacoli circensi, da che mondo è mondo. Si sarà fatto caso che gli studi dei talk show ricordano le arene; e che l’infotainment s’incrocia con i duelli dei gladiatori, le belve da trafiggere, l’imperatore che fa su o giù col pollicione.

Sul Colosseo si accendono golose fantasie di ministri, presidenti e sindaci, chi l’ha illuminato, chi vi ha progettato giochi e concerti, chi ci ha portato Obama in visita, a parte la consegna della lupa capitolina a Russell Crowe da parte dell’assessore municipale. Poi tutto naturalmente a Roma prende un’altra piega. Presso i monumenti i centurioni saltafila insidiano i turisti; alcuni sono autoctoni, altri rumeni, non molto tempo fa si sono presi a botte fra loro, una scena pazzesca.

[…] Anche la vita mondana ricalca i moduli folkloristici di un’antichità che gioca a rimpiattino con il presente. La cafè society in decadenza attizza qui e là fuocherelli di estetica dissennata e pacchiana. Quando Roberto D’Agostino cominciò a pubblicare i suoi Cafonal venne spontaneo pensare al Satyricon di Petronio con i suoi tipi buffi, smodati. In epoca tardo-berlusconiana oltre a qualche toga-party fece scalpore una festona di argomento classico – “Ulisse torna a casa” era il titolo – in cui alcuni dei partecipanti, fotografatisi insieme con la presidente della regione Lazio, nascondevano il volto dietro maschere di maiali.

Le statue del Cavaliere Tutto questo non c’entra con i consigli elettorali del fratello minore di Cicerone, ma c’entra. Più in generale nella politica tra il XX e il XXI secolo pare rinverdirsi una romanità approssimativa, orecchiata, di pronto uso, sostanzialmente ingenua, quasi infantile. […]

Novello Bruto, a suo tempo Fini mandò in frantumi il centrodestra per avversione al “cesarismo”, disse proprio così. A un certo punto Bossi […] si sperticò in lodi per Annibale; poi, forse influenzato dai cinepanettoni, declinò Spqr “Sono Porci Questi Romani” – e la rappacificazione venne celebrata con un incredibile pranzo a base di polenta e pajata fuori Montecitorio.

[…] Di solito, quando qualcuno vince bene le elezioni municipali viene proclamato “l’ottavo re di Roma”, per quanto l’appellativo si estenda a calciatori, attori, sportivi. Ma chi veramente andò in fissa con l’antica Roma, nell’accezione più vistosamente superficiale, fu Silvio Berlusconi, che dopo la vittoria del marzo 1994 esordì raccontando nei corridoi della Camera la vieta storiella “quando voi eravate sugli alberi noi eravamo già froci”.

Nel suo secondo governo s’innamorò delle statue romane. Del Toro Farnese fece fare calchi in bronzo che spedì a Mosca e Washington. Per gli addobbi del vertice di Pratica di Mare impose ai suoi architetti di “ricreare un’atmosfera romana”, ne venne fuori un miscuglio di Arcadia combinata con i casinò di Las Vegas su fondali disneyani; un certo numero di statue autentiche, per lo più pensosi giureconsulti, riempirono i capannoni del meeting; altre ne fece costruire in vetroresina; alle une e alle altre, per ingentilirle, vennero messi in braccio mazzi di fiori.

Fu in quell’occasione, 2002, che gli scappò di bocca il magnifico “Romolo e Remolo”. Una vera passione, che forse Cicerone non gli avrebbe fatto passare liscia. Nel suo terzo governo il Cavaliere pretese di installare in un vano dello scalone di Palazzo Chigi un’opera colossale che ritraeva Marte e Venere, ma siccome Marte mancava del pisello, anche di quello ordinò il rifacimento risolvendo la congiunzione al marmo attraverso un complicato sistema di calamite che, con la supervisione del ministro della Cultura Bondi, le divinità pagane lo perdonino, sarebbe venuto a costare la modica cifra di 70.000 bombi.

Mentre per l’università del pensiero liberale il Cavaliere si mise in testa di piazzare il busto di un imperatore e allora cominciò a sondare i giornalisti per sapere chi fosse “il più liberale”. Va da sé che dal berlusconismo triumphans alla campagna elettorale repubblicana di ventuno secoli orsono siamo molto lontani; ma ancora una volta fino a un certo punto, se è vero che da un ciclo di intercettazioni, la P3, venne fuori che alcuni amici di amici del presidente del Consiglio, per lo più interessati a far soldi con le discariche, chiamavano Berlusconi con il soprannome di “Cesare”, che giusto ai tempi di Cicerone stava scaldando i motori.

Non solo, ma una volta emersi gli scandali sessuali, sull’onda del massivo bunga bunga ecco che il “Guardian”, prestigioso quotidiano britannico, richiamò l’esempio lussurioso di Tiberio; d’altra parte fu Umberto Eco, e non esattamente Pizza&Fichi, a richiamare a proposito di Berlusconi la figura di Nerone (il cui Apicella, come scoprii, si chiamava Terpno).

Forse per puntiglio, forse per convinzione Dell’Utri riesumò il settecentesco Elogio di Nerone del Cardano, che venne ripubblicato con una sua puntuta introduzione nella quale magnificava l’imperatore, “superiore a supposti modelli di saggezza come Cicerone”. E dunque, ancora una volta siamo lì.

Marco e suo fratello Il manualetto elettorale che senza colpa segue a queste strampalate osservazioni dovrebbe averlo scritto il fratello minore di Marco, a nome Quinto. Il condizionale è obbligatorio dopo che generazioni di studiosi si sono lacerati sull’ipotesi che potrebbe essere un fake, sia pure maturato in epoca classica e comunque databile nel I secolo a.C.

Storicamente accertato è d’altra parte il ruolo che Quinto ebbe accanto al già affermato Marco Tullio in funzione di consigliere, ambasciatore, spin doctor e campaign manager. Siamo a cavallo tra il 64 e il 63 a.C.

Cicerone senior è un prodigio di eloquenza e cultura, ha svolto con successo delicati incarichi in periferia e ora intende perfezionare la sua carriera politica puntando al vertice delle istituzioni: il consolato.

L’handicap – ma non è detto che lo sia del tutto – è che non appartiene alla casta dei nobili provenendo per nascita dall’or- dine dei cavalieri. Questa sua origine lo colloca nella condizione, di cui nel manualetto si parla assai, dell’homo novus: oggi lo diremmo un outsider o addirittura, secondo l’autopresentazione di Giorgia Meloni, un underdog.

Allo stesso modo si può dire che il Commentariolum può equipararsi a un paper elettorale, una via di mezzo tra analisi di rischio e prontuario how-to, come tanti se ne sfornano da parte delle agenzie di comunicazione prima del voto.

[…] Non si infliggerà qui al lettore una disamina del sistema elettorale vigente al tempo della tarda Repubblica romana […]. In compenso vale forse segnalare che l’etimologia di “candidato” proviene dalla candida veste di colui che si sottoponeva al giudizio degli elettori; a tale indicazione di ordine visivo si può aggiungere il malizioso dubbio di Plutarco secondo cui la toga, priva di pieghe e tasche, era scelta anche per evitare che il candidato nascondesse bustarelle – e qui irresistibilmente il ricordo va agli albori di Tangentopoli quando, giusto a Roma, una mazzetta (per l’apertura di un chiosco) venne poi recuperata dentro le mutande di un consigliere circoscrizionale illegittimamente beneficato.

E tuttavia, come qui si intuisce dalle stesse parole di Quinto, il cosiddetto voto di scambio era già allora nella forza delle cose. Il programma elettorale ciceroniano appariva d’altra parte decisamente vago, se non inconsistente.

Inutile cercare in queste pagine qualche indicazione anche solo minimamente ideologica. […] Ma ciò che più impressiona per vicinanza al nostro tempo è la concezione della politica come “arte di far credere”, e di conseguenza praticamente identica appare l’atmosfera che si respira in campagna elettorale, vissuta come un tempo psico- logicamente compresso e insieme sospeso; un periodo nel quale ogni parola, ogni gesto, ogni mezzo e ogni racconto, o arcaico storytelling che fosse, è insieme lecito e spasmodicamente finalizzato a buscare voti.

Sorridere, promettere, diffidare, diffamare In questa prolungata recita, in questa messinscena che avrà termine solo dopo la proclamazione dei nuovi consoli, occorreva in ogni caso apparire – più che esserlo – competenti ed empatici, determinati e disponibili; e tutto ciò in modo da mostrarsi, suggerisce Quinto con la sfrontatezza dell’occasione, da sembrare sinceri.

L’obiettivo di fondo è la trasformazione del candidato in un amicone di tutti. D’altra parte, finisce per argomentare con impudica eleganza: “L’appellativo ‘amici’ durante la campagna elettorale ha un valore più ampio che nel restante arco della vita” […]-

Perché gli elettori vanno soprattutto lusingati, convenientemente nutriti in fastosi banchetti e comunque impressionati da codazzi di fan e assembramenti di devoti questuanti fin sotto casa. È consigliabile in questo senso l’utilizzo di claques e figuranti, presenze che ai nostri tempi […] sono mai mancate. Di più: si fanno notare […]dettagliati comportamenti e tecnicalità elettoralistiche più che famigliari a un giornalista che sappia valutare l’importanza del marketing emozionale.

Là dove Quinto fratello, per esempio, raccomanda di sorridere come oggi nei selfie di ordinanza, evitare smorfie di fastidio e sforzarsi di chiamare i votanti per nome – e a tale proposito, ancora una volta, non si può fare a meno di richiamare la seguente perla pedagogica berlusconiana: “E ricordatevi sempre che per ciascuno c’è una musica prediletta: il proprio nome e cognome. Se lo fate – insisteva il Cavaliere – l’interlocutore vi prenderà in simpatia perché in quella musica avrà ascoltato l’espressione del vostro interessamento, vero e sincero”.

Ai limiti del cinismo risulta d’altra parte l’attenzione con cui viene suggerito di maneggiare il tema delle promesse, con l’implicito sottinteso che una volta eletto sarà impossibile mantenerle – e anche su questo non c’è bisogno di ricordare il disinteresse, i voltafaccia e le lacrime di coccodrillo degli odierni potenti che se ne infischiano di qualunque controllo di coerenza. […]

[…] Da Mussolini ad Andreotti Con qualche sicurezza si può ritenere che gli assassini politici siano una costante nelle umane vicende. Ma forse solo qui da noi qualcuno ha potuto notare che il sequestro di Aldo Moro è avvenuto intorno alle Idi di marzo. Il punto, per ritornare all’entità psichica che segna il complicato rapporto degli italiani con il loro ingombrante passato, è che la storia, come diceva proprio Cicerone, non è solo maestra di vita, ma anche “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria e messaggera dell’antichità”.

[…] questo affanno divinatorio spiega per quale ragione, da Cola di Rienzo in poi, non c’è vero potente che, alla ricerca di gloria, non vada a battere e a sbattere con l’antica Roma. Sintomatico è l’esempio di Mussolini, che fin dal fascio littorio e dal saluto a braccio teso […] lavorò di fervida fantasia per costruirsi e sfruttare una romanità come al solito densa di luoghi comuni, ma certamente a sua immagine e somiglianza.

[…] Che poi si sa come è andata a finire, questa romanità da baraccone: la guerra, i bombardamenti, la fame, l’anonima mano che una notte, sulla Via dell’Impero che collegava piazza Venezia al Colosseo, appese al collo di un imperatore un cartello che diceva: “Tu che ciai lo stomico de fero, puoi magnà er pane dell’Impero!”

E però, nemmeno tanti anni dopo, succede che quello stesso mito della latinità affascinò i capi comunisti ritornati dall’esilio e dalle galere; ed ecco che in una delle prime Tribune politiche come in un sogno si vede Palmiro Togliatti che con sguardo acuto e sorriso fin troppo rassicurante cita un verso di Virgilio: “Voi fate il miele, o api, ma sono altri che lo colgono”.

Un po’ per vezzo, un po’ per pedanteria, ma un po’ anche nella convinzione che la cultura classica fosse uno strumento per dare dignità al proletariato i dirigenti delle Botteghe Oscure adoravano il latino […].

[…] Fra tutti Alessandro Natta era rinomato per sfoggiare le più impeccabili citazioni, anche orgogliosamente sconosciute allo stesso Togliatti, come pure fece colpo al momento di dare il via alla politica di solidarietà nazionale, 1976, uscendosene con Cesare: “Etiam nunc regredi possumus”, ancora adesso possiamo tornare indietro – anche se il Pci non lo fece e appoggiò il governo Andreotti.

Già, Andreotti, capitolo a parte e per giunta imparentato ai due Ciceroni di questo manualetto: come dimenticare che proprio lui nel 1987, e dunque nella stagione più matura della Prima Repubblica, accettò volentieri di scrivere la prefazione di questo stesso Commentariolum petitionis? Così comincia quella sua ben più illustre praefatio: “Credo che Quinto Tullio Cicerone, allorché scrisse il Commentariolum petitionis, questo ‘piccolo prontuario di propaganda elettorale’ ad uso del fratello Marco Tullio, candidato al consolato per l’anno 63 a.C., non avrebbe mai immaginato che il suo scrittarello potesse essere letto a distanza di oltre duemila anni e risultare straordinariamente interessante […] anche, e forse soprattutto, per una sorta di imprevedibile attualità delle situazioni che descrive” – e come ti sbagli: ci risiamo. […] forse perché appassionato cittadino dell’Urbe, forse perché anche devoto fedele di Santa Romana Chiesa, che il latino usava più di ogni altra istituzione, in due diverse occasioni, e certamente importanti per lui, il Divo ritenne di celebrare le Olimpiadi del 1960 e poi trent’anni dopo di difendersi dalle gravi accuse di Leoluca Orlando con un discorso e un’invettiva nella lingua di Cicerone.

Pare di cogliere in questa scelta qualcosa di più che civetteria culturale, forse una inconfessabile, per quanto scomoda volontà di immedesimazione. D’altra parte sempre Andreotti […] aveva fondato nel 1953 il Centro Studi Ciceroniani di cui fu a lungo presidente. In tale qualità, all’inizio degli anni Settanta, fece dono di tutte e diciotto le opere dell’Arpinate a Giuliana Longari, divenuta popolare come vincitrice del quiz televisivo Rischiatutto proprio come esperta di storia romana.

Le tecno-riemersioni della post-politica […] a trentacinque anni dallo scritto andreottiano l’impressione è che le osservazioni e i consigli di Quinto Tullio Cicerone o di chi per lui sono divenuti oggi ancora più attuali in questa Terza, forse, Repubblica comunque priva di veri partiti, desertificata sul piano degli ideali e ormai sotto il dominio della più evidente personalizzazione della vita pubblica.

Per  dirla tutta, viviamo nel mezzo di una grande confusione, sperduti in una sorta di labirinto, spesso atterriti da elementi regressivi e ritorni tribali; questo spinge a rivolgerci con lo sguardo al grado minimo della politica, ai suoi inizi, alle sue basi fondanti, all’inconfessabile fisiologia del comando che ardono, fin dai tempi di Cicerone, come carboni sotto la cenere e la polvere della storia.

La televisione prima, poi la rete e adesso i social hanno moltiplicato e insieme impoverito l’offerta. La conquista dell’attenzione vede gli odierni leader gareggiare con gli spettacoli, i consumi, lo sport; la concorrenza è spietata e sempre meno numerosi gli elettori.

[…] Da quasi trent’anni si sono raccolti con metodica passione curiosi spunti, bizzarri dettagli, strane coincidenze e sovrapposizioni negli angoletti delle cronache politiche. Per quel poco che può interessare del lavoro dell’indegno prefatore, la cospicua messe di notizie e notiziole è confluita in un database che ha preso il nome – non per caso doppiamente in latino – di Annales Ceccarius, quest’ultimo lo pseudonimo di mio nonno, illustre studioso di Roma.

Ebbene, si trova lì dentro, in quella massa di memoria accumulata, l’evidenza di come gli attuali politici consultino i sondaggi con lo stesso spirito con cui i loro e nostri antenati si rivolgevano agli oracoli. Allo stesso modo è dimostrato, con nomi e cognomi, date e testate, che pervicacemente chi si trova al governo progetta stadi di calcio o si prodiga in massive donazioni di cibo, specie in periodo elettorale, secondo il preciso modulo che duemila anni orsono Giovenale sintetizzò nella formula panem et circenses.

D’altra parte le bianche poltroncine di Porta a porta sono i troni e i tronetti di questa fase, i caschi da pompieri e operai indossati dai potenti nei cantieri assomigliano alle corone dell’antichità, i candidati paracadutati nei collegi elettorali sicuri fanno pensare a prebende e investiture.

Tuonano dagli studi o dalle piazze televisive i leader populisti come moderni tribuni della plebe; ed ecco che ritornano le corti con maestri e giuristi di palazzo, poeti encomiastici, servi, guardie, cortigiane e buffoni. Qui e là ricorrono nelle pagine e sui siti della politica sogni, prodigi, vaticini e reliquie cui si assegna il potere di influire sulla realtà; e maledizioni, giuramenti, inginocchiamenti, baci della mano.

È tornata sotto altre forme l’apologetica e perfino i calendari con le attrici seminude sembrano l’equivalente degli antichi riti di fertilità. In un paio di casi, cioè nella Lega e in Forza Italia, si è sfiorata la successione del sangue, con buona pace dell’idea repubblicana. C’è chi sogna il presidenzialismo senza rendersi conto – si spera – che assomiglia parecchio al principato. Che sarebbe come dire che in questo futuro remoto l’esperienza di Cicerone e i consigli elettorali del suo fratello possono esserci, se non di aiuto o di consolazione, almeno di sicuro interesse.