Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 28 Giovedì calendario

Paolo Brillo, il commercialista che ruba l’attimo alle star


La prima volta non si scorda mai. E la prima volta di Paolo Brillo, bolzanino di nascita, commercialista di professione, fotografo per passione e fan sfegatato di Bob Dylan per patrimonio genetico fu a Verona, anno del Signore 1984. Era il 28 maggio, l’Arena era stracolma – all’epoca da quelle parti suonava gente del calibro di Neil Young, Lou Reed, Joni Mitchell, Joan Baez – e anche quella era una prima volta. Mai, infatti, il “poeta” di Duluth, Minnesota, aveva cantato in Italia. C’era stato, è vero, un recital al Folkstudio di Roma nell’inverno del ’62, ma all’epoca i fortunati ascoltatori saranno stati sì e no una decina per uno sconosciuto Robert Zimmermann – cambiò nome soltanto qualche mese dopo – assai lontano dai fasti diBlowin’In The Wind.«Andai a vederlo a Verona con gli amici, ero già molto preso dalla sua musica e soprattutto dalla macchina fotografica. Scattai un centinaio di immagini, quattro o cinque anche molto belle. Sì, lo so che non avrei dovuto perché Bob odia le fotografie durante i live e negli ultimi tempi fa persino “impacchettare” i cellulari degli spettatori all’ingresso pur di non essere disturbato, ma io ero un ragazzino, quando mi sarebbe ricapitato di immortalare un momento del genere?».E quando gli sarebbe potuto capitare? Almeno una settantina di volte, forse anche di più, perché da quel momento Paolo Brillo non si è perso un concerto del suo idolo, almeno quelli in zona europea, e ogni volta non ha rinunciato a portarsi la sua macchina fotografica, sempre più professionale e accessoriata. Superando controlli e metal detector agli ingressi con tecniche fantozziane, facendo il finto tonto quando qualcuno della sicurezza lo beccava – «è successo, non hai idea di quante volte sia successo» – ma portando a casa un patrimonio di migliaia e migliaia di immagini inedite che ha raccolto in un libro e che adesso verranno esposte in una mostra dal titolo Paolo Brillo. Stolen Moments. Bob Dylan and other music icons ospitata da Mercanteinfiera, la rassegna di Parma dedicata all’antiquariato, al vintage e al collezionismo.«Quel concerto di Verona fu uno degli ultimi durante i quali Dylan accettò di avere sul palco un fotografo accreditato per documentare il tour europeo – racconta Brillo – Scelse Guido Harari, il migliore di tutti, non poteva essere diversamente. Con Guido siamo diventati amici molti anni dopo, ogni tanto ricordiamo quei live, non ti dico quando ha saputo che nel pubblico c’era un ragazzino che gli rubava gli scatti… Ci siamo fatti un sacco di risate. Dopo di che, Harari è un ritrattista, io provo a cogliere l’attimo senza che l’artista in questione ne sia consapevole. Ho fotografato Bob Dylan certo, ma non solo lui: ho scatti di Jeff Beck, Neil Young, Tom Petty, Mick Jagger, Suzanne Vega, Nick Cave e tanti altri. A loro insaputa, certo, ma forse per questo ancora più veri».Quella di Paolo sembra proprio un’ossessione degna di un entomologo. Armato “solo” di costanza e di una macchina fotografica, ha letteralmente immortalato ogni istante dei concerti di Dylan con tecniche da arte performativa: «Prima del concerto smonto la macchina fotografica pezzo per pezzo. È l’unico modo per disperderla negli zainetti, persino nelle mutande se serve, e non dare nell’occhio. Poi, quando entro, mi avvicino il più possibile al palco, rimonto tutto e comincio ascattare. Certo, è impossibile non dare nell’occhio perché uso una camera professionale con un obiettivo di almeno venti centimetri. Scatto e cerco di muovermi per non farmi individuare. A volte ci riesco, altre si arrabbiano di brutto come in Germania. I tedeschi, com’è noto, non vanno troppo per il sottile: a Berlino mi requisirono la fotocamera per restituirmela a fine serata. A Monaco, nel ’95, una guardia del corpo di Dylan mi riconobbe nelle prime file e spedì un tizio a sequestrarmela. Ma la feci franca: riuscii a passarla a mio fratello e a fingermi pulito...». L’idea di rivedere al computer migliaia di immagini, scegliere le più belle e trasformarle in un libro è arrivata molti anni dopo il primo “blitz” all’Arena di Verona. Un lavoro di selezione certosino – «spesso vedi una foto e non ti piace, poi la rivedi dopo anni e ti sembra la migliore che hai fatto» – fino a quando Allemandi Editore non decise di sottoporre il progetto allo staff di Dylan per l’inevitabile nulla osta: «Andammo negli Stati Uniti, fummo ricevuti da Jeff Rosen, il mitico manager di Bob. Ero emozionatissimo e anche un bel po’ preoccupato. Alla fine i miei erano scatti rubati, sembravo un ladro che si stava costituendo. Jeff, invece, fu entusiasta del libro ma si prese del tempo per far vedere le foto a Dylan. Passarono mesi, dagli Stati Uniti non arrivava alcun cenno e la cosa sembrò svanire nel nulla. Qualche tempo dopo fui contattato da Red Planet Books e da quella collaborazione, dopo l’ok definitivo dello staff di Dylan, è nato No Such Thing As Forever, il volume che raccoglie una selezione di 250 foto realizzate in trent’anni di concerti, dal 1989 al 2019. Eadesso anche la mostra che spero di portare fuori dall’Italia, a Londra, a New York».Il sogno, manco a dirlo, è quello di invitare a una prima anche Bob Dylan, ma Paolo non si fa troppe illusioni. Del resto parliamo di uno che non si è presentato nemmeno quando gli hannodato il Nobel, figuriamoci a una mostra di foto dei suoi concerti. Non autorizzate, peraltro. «Di sicuro le foto le ha apprezzate perché un volume del libro è conservato al Bob Dylan Center di Tulsa. E poi, chi lo dice che non viene? Mai dire mai» ride Brillo. Che sotto sotto ci spera.“Prima del concerto smonto la macchina fotografica. È l’unico modo per disperderla negli zainetti”