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 2023  settembre 28 Giovedì calendario

Marta Marzotto raccontata dal figlio

Qual è il primo ricordo di sua madre Marta?«Trasgrediva a tutte le buone regole e mi consentiva di dormire con lei. C’era molta fisicità, arrivava e mi baciava per interi minuti. Aggiungo – racconta Matteo Marzotto – il mio primo ricordo legato alla moda che ho di lei: una scarpa bicolore con un tacco alto di Chanel e un abito di Yves Saint Laurent ricamato a fiori su fondo nero».
Era severa con se stessa?
«Non direi. Era molto anticonformista. Il fatto di avere vissuto in maniera totalmente pubblica l’ha talvolta penalizzata, la verità è che nell’arco di una vita ha fatto quello che certe signore paludate hanno combinato in pochi mesi. Detto questo a suo modo era rigorosa».
Molti la ricordano incredibilmente generosa, lo è stata anche come genitore?
«Più che generosa. È stata addirittura prodiga. La sua generazione ha vissuto la durezza della guerra, in particolare lei andava a mondare il riso nei campi. Ammetteva di viziarci e non ne faceva mistero, spiegando che non aveva avuto niente e che aveva vissuto la guerra».
Non era una madre ferrea e inflessibile...
«Io sono l’ultimo di cinque figli, sono stato viziato oltre ogni misura. Era una donna che arrivava con “cariolate” di attenzioni, regali e pensieri. Una profusione di amore talvolta disordinata, non era capace di educare nel senso convenzionale del termine. Ma ci ha trasferito il senso dell’etica, l’onestà intellettuale e l’essere solidali verso chi ha bisogno».
Aveva un nome da predestinata Marta Vacondio. Capitava di sentirle fare bilanci?
«Ne faceva continuamente però guardava sempre avanti, negli ultimi tempi quando andavamo a trovarla in ospedale stava uscendo il suo ultimo libro, ma si diceva pronta a girare l’Italia per promuoverlo. Si aggiunga che non ha mai dimenticato le proprie origini, frequentando il paese di Mortara e la Lomellina, mantenendo i rapporti con tutti i cugini. È stata davvero figlia del popolo, questo è il più bel riconoscimento: avrebbe potuto montarsi la testa, in fondo aveva trovato il principe azzurro e sposato il figlio di uno degli uomini più ricchi dell’Italia dell’epoca. La vita poteva sembrare facile, ma in realtà per lei non lo è mai stata».
La moda cosa ha rappresentato per lei?
«All’inizio è stato il modo per lasciarsi alle spalle i campi di riso di Mortara e andare a Milano nella grande città. La moda l’ha vissuta negli atelier degli anni ‘50 con le sorelle Fontana e la Curiel. Poi si è formata, andava a Parigi a New York e si trovava a suo agio con artisti e intellettuali. È stata una mecenate del movimento artistico degli anni 70, a casa c’erano spesso Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa che discutevano e sbevazzavano. La sua generosità ha contribuito al successo di Roberto Cavalli, Rocco Barocco e Enrico Coveri, amici che lei poi faceva decollare come un razzo».
Il suo primo esperimento commerciale fu una boutique all’interno di un barcone ormeggiato a Porto Ercole, il Turlututù...
«Mia madre amava le case e convinse mio padre ad acquistarne una all’Argentario. Alla fine degli anni 60 iniziammo a vivere quella casa e io ricordo il Turlututù, una specie di ex peschereccio ormeggiato che diventa una boutique di vestiti e accessori eccentrici, dove lei insieme a Fabrizia Borghese e Vittoria Cappelli si diverte come una matta e ne fa un punto di ritrovo immancabile. Il Turlututù ha poi aperto anche a Cortina sotto l’Hotel Posta, aggiungendosi così al negozio di Roma».
Anni dopo le sue linee di moda vendute alla Standa ebbero grande successo. Aveva fiuto per gli affari?
«Era destrutturata ma per niente ingenua. I fratelli Franchini, proprietari della Standa insieme a Berlusconi, avevano per lei un’adorazione e le proposero una licenza. Mia madre è partita per la Cina e tornata con un modello di maglione in cachemire che è riuscita a piazzare al prezzo di 127 mila lire, quando maglioni così ne costavano almeno 700 mila. Aveva ordinato 35 mila pezzi e la davano per pazza, sono durati un baleno. Poi si è inventata le linee “Marta da Legare”, “Marta Martissima” e una più a buon mercato “Martaccia tua”. Arrivavano le collezioni e la mamma si metteva in vetrina, era davvero una bomba a mano. Al culmine del successo aveva un contratto da più di 6 miliardi lire».
Per anni ha vissuto un funambolico equilibrio amoroso tra il pittore Renato Guttuso, suo padre Umberto Marzotto e Lucio Magri, uno dei fondatori de Il Manifesto. Una stagione di affetti conclusa con la morte di Guttuso e la pubblicazione delle lettere di amore con il maestro. Un imprevisto che porta al divorzio con il marito e all’addio con Magri. Sua madre ne esce indurita?
«Quella è stata un’enorme leggerezza di mia madre, avrebbe dovuto presidiare la famiglia prima di pensare a ciò che il mondo esterno diceva della relazione con Guttuso, che in realtà era una vicenda ormai trita e ritrita. Fu vittima dei colpi bassi di Fabio Carapezza, il segretario di studio che il maestro aveva deciso di adottare. Avrebbe dovuto, malgrado il grande clamore, tentare di trovare una soluzione con mio padre: erano in ballo 35 anni di matrimonio con cinque figli. Dopo, mia madre non ha più avuto un compagno».
Era molto imprevedibile, qualcuno riusciva ad avere ascendente su di lei?
«A suo modo era fragile e insicura, questa iperattività era una maniera per schernirsi. Qualche volta è stata mal consigliata da persone che avevano presa su di lei e che le hanno fatto compiere gravi errori. I figli maschi hanno avuto su di lei ascendente ma non sempre lo ha trasferito nella scelta giusta. Tendeva ad ammirare le persone di successo, pensando che avessero un qualcosa in più, un esempio è Silvio Berlusconi per cui aveva grande stima».
Chi sono stati gli amici del cuore?
«Jean Paul Troili è stato l’amico di una vita, così come Fabrizia Borghese, Marina Cicogna, Etta Carignani di Novoli, Vittoria Cappelli, Pietro Barilla, Aldo e Mila Brachetti Peretti. Poi c’erano i cerchi allargati con innumerevoli amici, saltimbanchi, questuanti, mangiafuoco e umanità varia».

Cosa la rendeva intransigente?
«La fedeltà degli amici la dava e la pretendeva».
Era capace di litigare o lasciava correre?
«Lo era, ed era pronta ad andare all’attacco senza alcun timore o paura».
Cinque figli, c’è il prediletto o la prediletta?
«Ma non c’è dubbio (dice ridendo, ndr), ero io. Mia madre mi ha avuto a 36 anni, per me è stato più facile perché ero il più piccolo e si aggiunga che sono un maschio».
Discutevate?
«Sempre, anche bisticciando. Non sopportavo tutti questi eccessi di trasparenza, soprattutto nella parte conclusiva della sua vita. Gliel’ho detto, mi ha risposto: non puoi pretendere che cambi e io ho replicato “non puoi pretendere che approvi tutto ciò che fai”. La verità è che iniziava a fare confusione sulla qualità delle persone, però per lei era uno stimolo e si è certamente divertita così».
Parlava di politica?
«In politica è stata fortissima nel periodo romano. Era la contessa rossa che frequentava l’intellighenzia di sinistra, da Alberto Moravia a Leonardo Sciascia. Aveva consuetudine con il presidente Pertini che telefonava a casa, tra i politici di quella stagione era in sintonia con Enrico Berlinguer e Antonello Trombadori».

Un ricordo di quel periodo?
«Avevo neanche dieci anni e Emilio Fede conduceva il Tg1, una sera a casa dalla mamma mi disse che l’indomani in video si sarebbe toccato la cravatta con un determinato gesto. Quel gesto sarebbe stato il modo di salutarmi in diretta televisiva. Il giorno dopo lo fece e fu una soddisfazione».