il Fatto Quotidiano, 27 settembre 2023
Scioperi, dagli Usa una lezione per l’Italia
L’impatto di un presidente degli Stati Uniti che visita un picchetto operaio è forte. Eppure Joe Biden ha voluto farlo e anche Donald Trump si appresta a imitarlo.
“Le aziende automobilistiche hanno avuto un periodo di difficoltà, ma poi si sono riprese e ora devono darvi un aumento significativo”, ha detto Biden con un cappellino con scritto “Union yes” davanti alla Contea di Wayne, a circa 40 km da Detroit, la capitale dell’auto. Ad accoglierlo, il leader della United Workers of Automotive (Uaw), Shawn Fain, uno che nel messaggio video inviato alla Fiom ha detto: “Non dobbiamo fare questo sciopero solo per i nostro associati, dobbiamo farlo per la classe operaia mondiale”. Toni da Prima Internazionale, e infatti Fain ha già dichiarato che non sarà presente alla visita annunciata per oggi a Detroit da Donald Trump.
Che sta succedendo, dunque, alla working class statunitense? Si è risvegliata da un lungo letargo e inizia a dare lezioni anche al più antico e consolidato sindacato europeo?
A inizio 2022, i lavoratori di Starbucks hanno vinto elezioni sindacali impossibili. Poi, la svolta nella Uaw dove gli attivisti hanno ottenuto l’elezione diretta dei massimi funzionari cacciando la vecchia direzione colpita dalla corruzione. Ad agosto i circa 340 mila lavoratori di Ups, colosso del trasporto, hanno approvato un accordo considerato “storico”. E ancora, le infermiere del Massachusetts, gli insegnanti di Minneapolis e quelli di Brookline, fino all’accordo tra la Writers Guild of America e gli studi di Hollywood raggiunto dopo 146 giorni di sciopero con oltre 11.000 sceneggiatori che hanno abbandonato le produzioni.
“Messi in prospettiva – spiega al Fatto Dustin Guastella, rappresentante sindacale dei teamster della sezione 623 di Philadelphia – questi scioperi non sono così ampi. Quest’anno si raggiungono circa 460.000 persone, ma nel 1983 si arrivò a 900.000 e nel 1974 quasi al doppio. Però nel 2009, durante la recessione, solo circa 12.500 lavoratori incrociarono le braccia, sembrava che lo sciopero fosse morto”.
Guastella offre una triplice lettura partendo dalla recessione del 2008 e passando per la pandemia. “Gli americani non sopportano più gli attuali, osceni, livelli di disuguaglianza e l’opinione pubblica si è spostata a favore dei sindacati”. Anche la pandemia offre una spiegazione di quanto accaduto perché “quando siamo entrati in lockdown è nata la categoria del ‘lavoratore essenziale’”. Infermieri, medici, addetti di Ups, operai di fabbrica, braccianti agricoli, addetti all’industria alimentare, ecc, venivano additati come i nuovi ‘eroi’, ma poi quando i lockdown sono finiti non hanno avuto nulla, né bonus speciali né indennità di rischio né aumenti salariali. È stato uno schiaffo in faccia”.
Il risentimento si è unito a una nuova forza contrattuale con la ripresa post-Covid quando, dice Guastella, “si è creato un ‘mercato del lavoro ristretto’ che ha dato potere contrattuale ai lavoratori”. Che lo hanno esercitato anche grazie a una nuova dirigenza sindacale: “C’è stato un cambio generazionale nella leadership sindacale che ha contribuito a facilitare questi scioperi, vale per i teamster e per la Uaw. Scioperare fa meno paura”.
L’impatto sulla situazione politica è stato visibile già nel 2016, con i picchi di consenso raggiunti da Bernie Sanders e Trump e spiega la mossa di Biden. Gli ultimi sondaggi contro Trump lo danno distaccato di 9 punti, 51 a 42 per il magnate e, come dice Guastella, “parlare oggi a questi operai significa parlare al Paese”.
E in Italia? Il nostro Paese sembra arrancare, scioperare è sempre difficile e spesso non arriva a risultati. Ci sono gli scioperi rituali del trasporto locale oppure quelli molto duri, ma isolati, della logistica o vertenze come Gkn e Mondo Convenienza di cui si parla pochissimo. Il sindacato Usa è diventato più efficace di quello italiano o europeo?
Il segretario della Fiom, Michele De Palma, il primo a offrire solidarietà incondizionata alla Uaw, non crede sia così: “Si tratta di storie diverse, le comparazioni sono difficili. I contratti noi li rinnoviamo, gli scioperi li abbiamo fatti insieme a Fim e Uilm. Certo, negli Usa c’è un vento nuovo, ma mi sembra finalmente una buona notizia, come se una cultura meno corporativa e meno settoriale si sia estesa anche da quella parte dell’oceano”. Anche Giorgio Airaudo, che dirige la Fiom piemontese, avverte: “Non siamo alle olimpiadi del sindacato”, non c’è una competizione, ma assistiamo a una “fase di risveglio” che prima o poi “arriverà anche da noi. Il 7 ottobre la Cgil manifesta anche per questo”.
Le differenze sono importanti, negli Usa non c’è un vero sindacato confederale, l’Afl-Cio è molto compromessa e le lotte sono tutte di categoria. Si guardi ad esempio l’utilizzo delle casse di resistenza, gli strike fund che ogni sindacato utilizza per supportare in denaro i suoi membri. Gli importi variano a seconda del sindacato e dello sciopero (allo Uaw sono 500 dollari a settimana) ma, spiega De Palma, lì come in Germania, il sindacato è unitario. Da noi sarebbe complicato”.
Eppure la cassa di resistenza, forme vere di mutualismo, sono state una risorsa decisiva per il movimento operaio e aiuterebbero a resistere.
Un punto su cui è difficile avere risposte però è se non pesi in Italia una modalità più “politica” di scioperare che impedisce una vera continuità e il raggiungimento di risultati specifici. Su questo punto Francesca Coin, sociologa di esperienza internazionale autrice del libro Le Grandi dimissioni conviene: “Se prendiamo ad esempio la manifestazione del 7 ottobre, che mi auguro abbia una enorme adesione, è evidente come questa abbia troppi obiettivi, giusti, ma che rischiano di confondere. Meglio un obiettivo chiaro e preciso, come ad esempio il salario minimo”. Coin condivide l’analisi di Guastella sul ruolo delle diseguaglianze: “Negli ultimi anni, la Gig economy (l’economia dei lavoretti) ha lasciato milioni di persone con paghe misere, mentre le retribuzioni degli amministratori delegati sono salite alle stelle. L’amministratore delegato delle principali case automobilistiche americane come Stellantis o General Motors riceve un compenso annuo pari a circa 350 volte il salario medio dei lavoratori. Non sorprende che il sindacato sia tornato a riscuotere consenso”. “La ripresa degli scioperi – conclude – è visibile anche perché per lungo tempo la società statunitense è stata divisa e frammentata. In Europa, i sindacati hanno continuato ad avere un ruolo sociopolitico, ma svuotato di vera forza e capacità organizzativa”.