Robinson, 24 settembre 2023
I coetanei di Elsa de’ Giorgi
In anni come questi, anni in cui narrazioni di ogni genere ci sommergono in ogni dove, bisognerebbe tornare a vedere le storie per ciò che davvero sono: il sintomo di qualcosa che non va o che non torna, prima ancora che una cura, un rimedio o uno strumento di persuasione. Bisognerebbe riscoprire, per esempio, un libro dato alle stampe nel 1955,I coetanei, firmato da una donna nota col nome d’arte di Elsa de’ Giorgi e attrice del cinema. È il caso di usare questa espressione un po’ desueta perché attrice del cinema lo era stata al tempo dei telefoni bianchi, avendo poi preferito il teatro al grande schermo. Anna Magnani, che fu sua amica, la chiamava diva, l’unica in circolazione perché le altre, a suo dire, non erano che “divazze.”E nel ruolo di diva di tempi andati la si può infatti ritrovare per pochi istanti nellaRicotta di Pasolini, che le riservò una piccola parte anche nelle120 giornate di Sodoma, quella di un’avvenente signora che offre il corpo di una sventurata fanciulla alle voglie turpi di un gruppo di fascisti. Queste due brevi e tardive apparizioni, due viali del tramonto in forma di cameo, sono tutto quel che di fatto resta del suo percorso di diva. Dei film in cui apparve in gioventù, non è rimasta memoria e lo si può capire. In quello che l’ha vista esordire —T’amerò sempre del 1933 – indossava per esempio i panni di una ragazza madre, l’immancabile fanciulla ingenua e indifesa che, in quanto sedotta e abbandonata, doveva accontentarsi di sposare un uomo semplice e senza pretese ma disposto a proteggerla.Come scrittrice, Elsa de’ Giorgi è invece spesso ricordata soprattutto per l’amore adulterino con Italo Calvino, relazione che lei stessa ha ricostruito in un libro,Ho visto partire il tuo treno.A falsarne l’immagine, destino frequente per le donne di quegli anni e non soltanto di quelli, è stata la bellezza. Lei per prima la definiva «la mia nemica, lo schermo tra il mio cervello e gli altri, perfino tra il mio cervello e me». Si espresse così proprio con Calvino, che all’epoca era in forza all’Einaudi e lavorò con Elsa de’ Giorgi sul manoscritto de I coetanei.E torniamo con ciò al motivo di partenza, le storie come sintomo. A fare di questo libro un classico dimenticato o rievocato soltanto a sprazzi, come un oggetto letterario quasi imprevisto, occasionale, senza mai davvero riconoscergli il posto che merita nel nostro Novecento, è proprio l’intelligenza della sua architettura. Cos’è infattiI coetanei? Alcuni lo hanno chiamato diario, ma è definizione impropria. Un vero diario lo si scrive giorno per giorno, senza sapere quel che accadrà domani. Ogni singolo capitolo è qui invece costruito con il senno del poi, avendo ben presente cosa ha offerto il futuro. Un libro di memorie dunque? All’apparenza sì e tuttavia il susseguirsi degli eventi è disposto secondo un preciso calcolo, volto a restituire un preciso disegno, più simile a un romanzo che non a un’autobiografia. E proprio come un romanzo scritto in terza persona, con una protagonista immaginaria di nome Chiara, probabilmente un alter ego dell’autrice, era stato infatti concepito in un primo momento il libro. Perché questa strada sia stata abbandonata non lo sappiamo. Possiamo solo supporre che la materia trattata e anche lo spirito dei tempi abbiano indotto a un approccio più diretto e realistico. Qualcosa dell’idea iniziale è tuttavia sopravvissuto nell’impianto, nello sguardo della voce narrante. Eventi e persone descritti sono sempre veri o indistinguibili dal vero, ma proprio perché ordinati con una logica che ricorda il romanzo risultano come sospesi, sull’orlo della finzione e, per certi versi, come interrotti. Il passo dei primi capitoli sembra promettere un intreccio, una trama, ma di fatto il libro resta una sfilata di ricordi. Una storia mancata dunque, inchiodata alla verità storica? Potrebbe apparire un limite, eppure è la sua qualità migliore, il sintomo di ciò che I coetanei vuole essere: il ritratto di una generazione mancata, quella di chi è stato giovane durante gli anni ’40 del secolo scorso. Si apre con una gita al mare in un 9 giugno 1940, una giornata solare malgrado sia la vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, e si chiude in maniera buia, il 18 agosto 1950, con il suicidio di Cesare Pavese. Le prime pagine ci strappano più di un sorriso con Anna Magnani che gela un gerarca impegnato a magnificare l’aviazione italiana. «Ma siete sicuro, Eccelle’ – chiede irridente l’attrice – che semo bravi solo noi e che l’aeroplani so mejo li nostri? Li avete visti bene anche quelli dell’altri?». Le ultime ci lasciano invece con una nota crudissima: «Tutto questo fa schifo. Non ho parole. Un gesto. Non scriverò più».Il senso della Storia, quella maiuscola, viene così ribaltato. Il finale non è lieto né liberatorio, bensì un proseguimento in forme nuove di vecchi vizi, gravato dall’ombra della disillusione. Una sorta di anticipazione dell’amara e fin troppo nota verità che un paio di anni dopo troveremo in bocca a Tancredi, nipote ventenne del Principe di Salina e volontario dell’esercito sabaudo. Cambiare tutto perché nulla cambi. Serrati come larve in un mondo senza illusioni, diceva infatti Elsa de’ Giorgi di sé e della sua generazione che ha trovato ne I coetaneiil proprio Gattopardo, un classico che attende ancora di essere riconosciuto come tale.