Avvenire, 26 settembre 2023
Il discorso di Zuppi
Cari fratelli, abbiamo un cammino scandito da tappe, appuntamenti, che sono per me motivo di gioia perché rappresentano un’opportunità necessaria e gradita per riflettere, come vescovi, in uno spirito di sinodalità vissuta e di profonda fraternità, sul nostro Paese, sulla Chiesa in esso e, più complessivamente, su quanto il mondo oggi sta vivendo.
Prima di entrare in medias res, mi sia consentito un ricordo doveroso ma cordiale del presidente Giorgio Napolitano. In particolare negli anni della sua presidenza della Repubblica, dal 2006 al 2015, ha dimostrato grande sapienza non soltanto nella gestione delle crisi, ma anche nell’impegno ordinario a far dialogare le varie componenti della politica italiana e a dare alle discussioni un respiro almeno europeo, se non mondiale. Questo sforzo per il dialogo costante e per un allargamento degli orizzonti resta un esempio significativo e molto attuale.
La Chiesa segno di unità e pace
In questo mondo, più di sempre, tutto si comunica: non si può pensare all’Italia isolata dall’Europa e dal resto del mondo (lo si vede con la guerra in Ucraina e le migrazioni, e tant’altro); non si può pensare la Chiesa isolata o separata dalla contemporaneità. Questo non significa che la Chiesa sia “confusa”, sbattuta qua e là: non confusa, ma non separata. Preservare l’identità della comunità ecclesiale non significa chiudersi in sé, nei nostri ambienti, nel nostro linguaggio. Non dobbiamo isolarci per proteggerci dal rischio di essere contaminati. C’è chi ne teorizza la necessità e soprattutto c’è chi lo pratica, con la convinzione di conservare così la verità altrimenti minacciata. Non siamo una minoranza residuale ma, come dissi ricordando la felice espressione di papa Benedetto XVI, la Chiesa è chiamata a essere minoranza creativa. La creatività nutre la missione ed è frutto del viverla, spinti dallo Spirito della Pentecoste, non subendo il mondo ma accettandone la sfida con serena consapevolezza e responsabilità. La Chiesa in Italia, in vari aspetti, è una Chiesa di popolo, realtà da coltivare, mai da disprezzare, i cui confini non debbono essere tracciati da noi con il rischio di allontanare e rendere incomprensibile l’annuncio evangelico ma con la fiduciosa speranza del seminatore. Dobbiamo annunziare e vivere il Vangelo, tutto il Vangelo e i comportamenti conseguenti, questo sì! Lo Spirito Santo dà e darà forma alle comunità. Siamo in ascolto dello Spirito. La Chiesa vive per il Vangelo e per gli altri, segno di unità e pace nelle città, nelle periferie, nelle aree interne, nell’Italia intera, ricordandole il destino comune di popolo.
Manca la pace
Il nostro mondo ha bisogno di pace e unità. La guerra continua in Ucraina e non ci abituiamo ad essa. Il dolore di questa guerra è stampato su volti precisi: quelli dei morti, soprattutto tra i civili, e dei feriti per i bombardamenti; quello delle persone barbaramente violentate; quello delle popolazioni sfollate e costrette a migrare; quello dei bambini lontani dai propri familiari o dalle proprie case. Si tratta di un dramma alle porte dell’Europa che ci riguarda tutti, come uomini e donne di questo tempo, prima ancora che come cittadini europei. Capiamo con evidenza come siamo davvero tutti sulla stessa barca e apparteniamo alla stessa famiglia umana. Fratelli tutti. L’azione del Santo Padre per la pace, oltre alle sue parole, ci ricorda che tutti dobbiamo agire e pregare per la pace. Ho personalmente sentito quanto la preghiera per la pace abbia accompagnato anche la mia missione degli ultimi mesi e ne sono intimamente grato ed edificato. Sono certo che è un valore che misteriosamente, ma efficacemente, spingerà la missione nella direzione auspicata. San Giovanni Crisostomo insegna: “Nulla è più potente della preghiera e nulla le è pari”. La solidarietà aiuta la resistenza degli ucraini in una situazione tragica, venendo incontro a molteplici e drammatiche necessità. Soprattutto – come ho detto recentemente al Sinodo della Chiesa grecocattolico – ci ricordiamo sempre degli ucraini e continuiamo a sostenerli in Ucraina o in Italia, esuli dalla loro terra. Desidero ringraziare le tante famiglie che hanno dato disponibilità per accogliere i bambini ucraini. Mi auguro che l’anno prossimo questa accoglienza dei minori ucraini possa trovare un ulteriore e sempre più diffuso sviluppo, per garantire ai più piccoli, feriti intimamente dalla guerra, un periodo di protezione e gioia. Ripetiamo, con il Papa, l’esortazione a trovare vie di pace nella giustizia, perché siano abbreviate le sofferenze di tanti e salvate tante vite. L’appassionato impegno per l’Ucraina non fa dimenticare altri Paesi che soffrono guerra, tensioni e instabilità. Dovremmo scorrere i nomi dei Paesi in guerra nella preghiera, come i grani del Rosario. Penso al terribile conflitto in Sudan, dove 5 milioni di abitanti su 45 hanno dovuto lasciare le loro case. In questi giorni si è riaccesa una preoccupante violenza nel Nagorno Karabakh per il quale auspichiamo che la vita dei cristiani e la convivenza siano pienamente rispettate. Pensando a questa e a tantissime situazioni di conflitto, sentiamo l’urgenza della pace. Il Santo Padre ha detto: «È tempo di trovare il cambiamento della pace, il cambiamento della fraternità. È tempo che le armi cessino. È tempo di tornare al dialogo, alla diplomazia. È tempo che cessino i disegni di conquista e di aggressione militare. Per questo ripeto: no alla guerra. No alla guerra».
Migranti e rifugiati
Le guerre, il degrado ambientale, l’insicurezza, la miseria, il fallimento di non pochi Stati sono all’origine dei flussi di rifugiati e migranti. Si tratta di gestire con umanità e intelligenza un vasto fenomeno epocale. L’errore – non da oggi – è stato politicizzare il fenomeno migratorio, anche condizionati dal consenso e dalle paure. Si tratta di esseri umani prima di tutto; si tratta del futuro dell’Italia, in crisi demografica; si tratta di coinvolgere la popolazione in un fenomeno che crea scenari nuovi e non semplici. Richiede coraggio politico e responsabilità sociale. La questione migratoria dovrebbe essere trattata come una grande questione nazionale, che richiede la cooperazione e il contribuito di tutte le forze politiche. Papa Francesco a Marsiglia – incontro che è stato in piena continuità con quelli di Bari e Firenze e che chiede una progettazione perché il Mediterraneo sia per tutta la Chiesa, per la nostra Conferenza, un ambito decisivo di riflessione – ha richiamato «la tragedia di chi non ce l’ha fatta, di chi è morto in mare». E ha ricordato alla nostra coscienza che «sono vite spezzate e sogni infranti». «Siamo di fronte a un bivio»: o scegliamo la cultura della fraternità o la cultura dell’indifferenza. In questo è davvero necessaria una concertazione tra le forze politiche e sociali indispensabile per creare un sistema di accoglienza che sia tale, non opportunistico, non solo di sicurezza perché la vera sfida è governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un’opportunità così come esso è. Non dimentichiamo la necessità anche di una comune visione europea, per la quale è necessario forse un ulteriore sforzo da parte nostra e delle Chiese europee, anche con maggiore collaborazione con il Ccee e la Comee.
È solo la legalità che contrasta l’illegalità e può permettere una seria e indispensabile inclusione. La Conferenza episcopale italiana resta fedele all’intuizione e allo spirito dell’iniziativa “Liberi di partire, liberi di restare” e ai corridoi umanitari, esperienza che offre importanti indicazioni per affrontare responsabilmente il problema. In questo contesto è stata possibile l’apertura del primo canale legale di ingresso per minori stranieri non accompagnati attraverso un permesso di studio (progetto Pagelle in tasca) dal Niger all’Italia, specificatamente in Piemonte. È stato un percorso molto difficile e lento, ma i risultati raggiunti per i pochi minori che si è riusciti a far arrivare – una decina in circa due anni – sono estremamente incoraggianti. Tutti sono entrati con un permesso di studio e sono stati inseriti in famiglie affidatarie: forse varrebbe la pena aumentare questo tipo di possibilità, ad esempio per i Msna che si trovano in Libia.
Seguiremo con attenzione e vigilanza i provvedimenti e la loro attuazione, perché sia rispettata la dignità di ogni persona, basandoci sui criteri che il Papa ha offerto: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
La società italiana non è in pace
La società italiana non è in pace. Penso ai femminicidi, spesso amara conclusione di un processo di violenza sulla donna. La strage delle donne continua spesso causata dalla ricerca di libertà da un rapporto violento e possessivo (38 sono morte per mano di compagni o ex partner). Sono 79 le donne assassinate dall’inizio dell’anno: 61 in ambito familiare-affettivo. C’è in gioco il rispetto verso le donne, ma ancora più in profondità il nostro modo di essere famiglia, di vivere in una trama di relazioni. Abbiamo il compito di fornire strumenti per aiutare a guarire dalla malattia mortale che è il disprezzo del più debole e la volontà di sottomissione. Al contempo, dobbiamo trovare nuovi modi per tutelare i più deboli e fragili, per identificare il disagio e trovare soluzioni in grado di prevenire tanta violenza.
Il mondo dei giovani è coinvolto dalla violenza: risse, bullismo, atti vandalici, violenze sessuali, ma anche spaccio, furti e rapine, a volte di baby gang. I social sono il tam-tam dove si documentano le gesta. Violenze verso minorenni o adulti, compiute da minori: segnali di una tendenza in atto da anni, amplificata dalla pandemia. I dati della Direzione centrale della polizia criminale mostrano, nei primi dieci mesi del 2022, un incremento di più del 14% dei minori denunciati o arrestati. Sono aumentati i reati commessi da minori e le violenze sessuali, rispetto allo stesso periodo del 2021, più del 15,7%. In forte crescita gli omicidi commessi dai minorenni, più del 35,3%. Si segnala una crescita dei disturbi di ansia, ritiro sociale e isolamento, autolesionismo, rabbia, aggressività, problemi alimentari, disturbi del sonno e depressione. Drammatici sono i dati sui suicidi degli adolescenti che stanno lievitando: per noi non devono essere solo numeri, ma sono persone, volti, storie. Ci segnalano un disagio diffuso che ci deve interpellare. Tutto avviene diversamente dal passato in pubblico: nella “fornace” dei social, spietati e agonistici. Nessuna generazione prima ha conosciuto quest’esperienza: ci si deve autodefinire, si deve mettere il volto e il corpo in mostra, si misurano quanti ti seguono. È facile sui social sbagliare e finire alla gogna, segnati dall’ansia, alimentata dalla crisi dei grandi sogni collettivi e da reti educative e relazionali molto più fragili. “L’“evaporazione del padre” è il tratto costitutivo del nostro tempo”, dice Recalcati. Si ripropone con forza il problema dell’educazione, su cui costantemente la Chiesa in Italia ha riflettuto, riflette ed è necessario continuare a riflettere. L’educazione non è un’emergenza ma è la quotidianità della vita della Chiesa. Abbiamo un potenziale straordinario di gente che lavora per l’educazione da anni e in tante parti d’Italia. C’è qui un aspetto significativo della nostra vocazione, espressa non solo nelle istituzioni educative, ma in tutti gli ambiti della Chiesa e nel rapporto con i giovani.
Non dobbiamo aver timore di fronte alle nuove generazioni. Abbiamo risorse profonde, un’umanità che si mette al servizio dei più giovani. Abbiamo un tesoro di vita e di senso. Vorrei ricordare come padre Pino Puglisi sia per certi verso un martire dell’educazione, perché mostra come si cambia un quartiere oppresso dall’“educazione” mafiosa proprio offrendo alternative serie, coinvolgenti, migliori. Lo ha fatto come sacerdote, maestro, uomo, a mani nude, con fede e passione, fino al dono della vita. Diceva don Pino agli educatori: «Dio ci ama, ma sempre tramite qualcuno».
Recenti provvedimenti governativi hanno cercato di rispondere a queste urgenze. A noi spetta il compito di gettare uno sguardo evangelico su questo tema, ma – direi – soprattutto di aiutare ad allargare l’orizzonte della riflessione e della discussione perché i provvedimenti diano risposte efficaci a medio termine, diventino impegno ordinario e continuativo per non creare ulteriori delusioni e rafforzare la diffusa convinzione di essere abbandonati.
Penso in primis ai genitori, a quanti, cioè, hanno la gioia e la responsabilità di educare la prossima generazione. Occorre profondere uno sforzo almeno pari a quello dell’iniziazione cristiana nei confronti dei genitori e degli adulti in generale. In realtà sono loro i veri educatori con il loro stile di vita, con i “sì” e i “no” su cui basano la propria vita ancor prima di trasmetterli ai figli.
Sotto la pressione degli ultimi eventi, si torna oggi a parlare di “educazione affettiva” dei giovani. Per noi la persona è una realtà unica e complessa, la cui affettività è in dialogo con il corpo e il suo sviluppo, con la mente e le sue conoscenze, con il cuore e i suoi valori. Forse è tempo perché anche noi credenti troviamo il coraggio di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale. L’educazione all’affettività nasconde infatti un’esigenza ancora più profonda: l’educazione alla vita interiore, all’incontro con le profondità di sé stessi.
Da pochi giorni in tutta Italia si sono aperte le scuole e tra pochi giorni inizieranno le lezioni nelle Università. Vorrei rivolgere per questo un augurio speciale di buon anno scolastico e accademico a tutti: ai docenti, agli studenti e al personale amministrativo. Che sia un anno di crescita intellettuale e umana. Dalla scuola dell’infanzia ai Centri di ricerca universitari siano questi i luoghi in cui si possa fare esperienza di un sapere che edifica la comunione e la pace.
La compassione per le folle in una Chiesa più familiare
Proprio pensando ai giovani, alle donne e uomini del nostro Paese, vorrei fare riferimento a una pagina del Vangelo, a me sempre molto cara, in cui emerge la “compassione” di Gesù: «Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe”» ( Mt 9, 37-38).