la Repubblica, 26 settembre 2023
Le biblioteche ci rendono immortali
Sono il direttore del Centro di Ricerca sulla Storia della Lettura a Lisbona. Si chiama Espaço Atlântida. Scrivo di lettura, biblioteche e libri da qualche decennio a questa parte e ho vissuto tra i libri fin da quando ero bambino. Entro i confini della mia casa d’infanzia è successo ben poco, o perlomeno poco rispetto alle favolose avventure dei miei personaggi letterari preferiti. Da quando ho imparato a leggere, la complicata esperienza del mondo mi si è presentata prima con le parole così che in seguito, quando mi sono imbattuto nella realtà, avevo delle storie attraverso le quali darle un nome.
Tutto ciò che mi accadeva, era già accaduto in un libro. In ogni posto in cui ho vissuto, e sono stati tanti, ho allestito una biblioteca, ma nonostante il susseguirsi di biblioteche, non sono mai stato un vero e proprio bibliotecario. Nelle mie biblioteche mancava un catalogo, le sezioni erano decisamente idiosincratiche, l’ordine azzardato, in parte alfabetico, in parte per ragioni segrete, spesso dimenticate, eppure ho sempre saputo come trovare un libro, perché io ne ero l’unico utente. Le biblioteche sono essenziali per una società alfabetizzata perché nei libri risiede la nostra identità. In Occidente, agli inizi dello sviluppo delle società della parola scritta la Bibbia era considerata una raccolta di libri, una biblioteca che apparteneva a ogni membro della fede. La reverenza per i libri è molto antica. Una pratica in atto dall’inizio del Medioevo imponeva che qualsiasi libro non più adatto all’uso dovesse essere sepolto in modo reverenziale nel cimitero, spesso nella tomba di uno studioso o in una stanza speciale di una sinagoga. Se un libro cadeva a terra, doveva essere baciato prima di rimetterlo sullo scaffale. Ricordo mia nonna di 90 anni che si chinava dolorosamente per raccogliere un libro che aveva lasciato cadere, qualsiasi libro, anche l’elenco telefonico e avvicinarlo con reverenza alle sue labbra. Il suo rispetto per i libri era tale che ogni volta che finivo di leggere mi ricordava di chiudere il mio libro prima di lasciare la stanza perché se lo avessi lasciato aperto il demone dell’oblio mi avrebbe fatto dimenticare ciò che avevo imparato.
Coloro che attaccano la lettura, o meglio, coloro che attaccano i lettori per quello che considerano un intrattenimento egocentrico ed egoriferito basano la loro accusa sulla percezione che agli occhi degli aggressori la lettura allontana i lettori dal mondo. Li allontana dalle altre persone. Permette loro di indulgere nella fantasia e nella finzione. Fornisce loro un alibi per non prendere parte agli affari della comunità. In effetti come ogni vero lettore sa, la lettura fa esattamente il contrario. La lettura ci fa sbattere il naso contro la realtà, apre porte e finestre su tutto ciò che è umano. Si rifiuta di permetterci di distogliere lo sguardo dalle cose più terribili e meravigliose che accadono nel mondo. Soprattutto, ci lega ad ogni altro lettore, vicino o lontano, contemporaneo o di un lontano passato o di un futuro in attesa. Quando leggiamo, ovunque siamo, entriamo in una comunità di lettori iniziata migliaia di anni fa in un deserto lontano, una comunità che non scomparirà finché non scomparirà l’ultimo essere umano, e potrebbe accadere prima di quanto pensiamo se continuiamo con il nostro comportamento aberrante. Ma nella maggior parte delle società è difficile superare il pregiudizio contro l’atto intellettuale, e la paura di ciò che fa un lettore nel santuario segreto della pagina.
I lettori sono spesso derisi, esclusi, mentre il cittadino consumatore è di gran lunga preferito al cittadino lettore perché anche se la lettura è essenzialmente individuale porta quasi sempre al desiderio di condividere le proprie impressioni e passioni, i propri amori e le proprie antipatie, per stringere legami con altri lettori. Il Talmud ha un’ingiunzione contro il leggere da soli, ma nessun lettore è mai completamente solo. I libri sono compagni complessi e consentono quelle che Quevedo definiva Conversazioni con i morti. Una biblioteca è un luogo di incontro per le anime, l’emblema dell’identità di un popolo, passata e presente, una dimostrazione che la cultura non è la mostra morta di cimeli ufficiali, ma il costante rinnovamento di ciò che abbiamo in comune oltre i nostri confini immaginari e come parte del nostro patrimonio universale.
Ma che dire del futuro? Per trovare anche solo un tentativo di risposta a questa domanda impossibile, possiamo forse guardare al passato. In passato, nel I secolo a.C., Marco Tullio Cicerone scrisse un saggio sull’amicizia in cui ci dà un indizio in merito a questa questione. Cicerone pensava alla sua biblioteca nella sua casa di campagna ad Anzio, non solo come l’anima della sua casa, ma anche, in senso più profondo, come al proprio io. La sua figura di oratore astuto, avidamente incentrata nel favorire la sua carriera politica era nutrita dalle sue letture e dalla sua esplorazione della filosofia greca sia nei suoi primi giorni a Roma, sia ad Atene e ora nei suoi ultimi anni nella sua biblioteca e nella biblioteca dei suoi amici. Anche se in termini pratici, Cicerone sapeva perfettamente che i suoi amati volumi non sarebbero stati un efficace strumento di sopravvivenza contro i complotti dei suoi nemici politici. Sembravano servirgli come una promessa o una speranza per qualcosa di meglio se non nei suoi ultimi anni, forse dopo la sua morte. Immaginava che la sua biblioteca, piena di quelle antiche opere greche gli avrebbe concesso una sorta di aldilà. Trovo che sia un pensiero consolante, di questi tempi, in cui sappiamo di essere ancora una volta sull’orlo di un precipizio. Subendo il contrappasso, come direbbe Dante, dei nostri peccati sotto forma di siccità, incendi e alluvioni dovuti al cambiamento climatico, la minaccia di perdere il controllo delle nostre macchine elettroniche incredibilmente potenti. L’affievolirsi della nostra sensibilità umana, della nostra curiosità, della nostra empatia, della nostra memoria comune.
Nel I secolo a.C., Diodoro Siculo ha notato come in Egitto le rovine di un’antica biblioteca avevano incise sopra la porta le parole: “Clinica dell’anima”. Questo vale per ogni biblioteca. Nelle società del libro, le biblioteche conservano la memoria della nostra esperienza privata e della nostra stessa identità e di quella della comunità di lettori che verrà in futuro. Le biblioteche ieri, oggi e in futuro sono la nostra speranza per l’immortalità.