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 2023  settembre 25 Lunedì calendario

SE AVEVATE QUALCHE DUBBIO SULLA VICINANZA DI MARCO MINNITI AL GOVERNO MELONI E ALLA SUA PRESENZA NEL “CERCHIO MAGICO” CON MANTOVANO, DE GENNARO E VIOLANTE, LEGGETE L’INTERVISTA CHE L’EX MINISTRO DELL’INTERNO HA RILASCIATO A “LA VERITÀ”: “GIORGIA MELONI HA DETTO UNA COSA SACROSANTA: L’ITALIA NON PUÒ ESSERE L’HOTSPOT DELL’EUROPA”, “HO APPREZZATO L’INTERVENTO DEL PREMIER MELONI ALL’ASSEMBLEA DELL’ONU”, “PRENDIAMO IL PIANO MATTEI, E FACCIAMOLO DIVENTARE UN PIANO EUROPEO”, “L’ITALIA È STATA LASCIATA SOLA” -

«Le racconto un aneddoto. A giugno del 2017, quando ero ministro dell’Interno, arrivarono in Italia 12.000 persone in 36 ore. Più di quelle arrivate a Lampedusa in questi giorni. Stavo volando a Washington e ordinai di girare l’aereo e tornare in Italia. Al successivo vertice internazionale, a Parigi, mi offrirono 100 milioni, sull’unghia, per rafforzare i centri di accoglienza in Italia».

E lei? «Io ho risposto: “No. Quei soldi non li voglio. Perché altrimenti diventa solo un problema nostro, e non più vostro”».

Cosa ci insegna questa storia? «La “postura” che assumiamo sul tema migratorio è decisiva. Giorgia Meloni ha detto una cosa sacrosanta: l’Italia non può essere l’hotspot dell’Europa. L’ho sempre pensato, e per questo mi sono sempre battuto».

Marco Minniti, ex ministro dell’Interno nel governo Gentiloni […]

[…] «[…] Come scrive lo storico britannico Peter Frankopan, i problemi migratori, come quelli climatici, esistono da millenni. Siccome lo squilibrio demografico è un dato strutturale del pianeta, l’immigrazione non va gestita con “politiche emergenziali” che in realtà non risolvono nulla».

Dunque la redistribuzione è un miraggio? «La partita non si può vincere guardando solo all’orizzonte italiano, e nemmeno europeo. Non si va da nessuna parte insistendo sul tema della redistribuzione: quella è una trappola verbale, sono temi divisivi, e danno l’impressione che si tratti di un problema solo italiano. E poi siamo quasi sotto elezioni europee: nessun Paese ci farà il favore di accogliere le sue quote di migranti, perché tutti i leader sono esposti elettoralmente. Basti pensare alla sfida tra Macron e Le Pen in Francia, o alla Germania, dove i partiti di governo sono in coda ai sondaggi».

Dunque, servono politiche di più ampio respiro? «È all’Africa che dobbiamo guardare: è in Africa che andai, da ministro, per stringere accordi in Libia e con le tribù sahariane. Ho apprezzato da questo punto di vista l’intervento del premier Meloni all’assemblea dell’Onu: le sue parole sono molto meno banali di come vengono giudicate nel dibattito politico».

[…] «La cifra fondamentale dei prossimi dieci anni si chiama “coopetition”. I rapporti internazionali saranno regolati da competizione e cooperazione nello stesso tempo. L’Italia deve attrezzarsi a vivere in un mondo del genere: un mondo che non regala nulla, e in cui tutto dev’essere guadagnato sul campo».

Mi faccia un esempio. «Fino a due settimane fa il miglior amico europeo dell’Ucraina era la Polonia. Ma nel momento in cui l’Europa ha tolto le limitazioni al passaggio di grano dall’Ucraina, la Polonia stessa ha minacciato di togliere il sostegno militare a Kiev. L’Europa non si unisce con la solidarietà, ma bilanciando gli interessi nazionali».

Cosa significa questo per l’Italia? «L’Italia è il Paese più esposto, sta pagando il prezzo più alto, ed è stata lasciata sola. Siamo d’accordo. Ma detto questo, io sono convinto che proprio l’Italia possa fare da apripista per un nuovo rapporto tra Europa ed Africa».

Apripista, addirittura? «Nessun Paese europeo può ricoprire questo ruolo, se non l’Italia: possiede la forza, la storia e la cultura giusta, peraltro con un governo fondato su un solido successo elettorale. Può instaurarsi dunque una “egemonia” italiana, per giunta proprio adesso che la Francia sta vivendo una rottura epocale con i Paesi africani, e Macron arriva a dire che la “Françafrique è finita per sempre”».

In concreto, cosa consiglia al governo? «Prendiamo il Piano Mattei, e facciamolo diventare un piano europeo, siglando un patto con Unione africana e Nazioni Unite. I termini dell’intesa sono questi: ogni Paese europeo offre una quota di ingressi legali, ma a due condizioni. Uno: rimpatrio immediato per chi arriva illegalmente. Due: lotta senza quartiere ai trafficanti di vite umane, che vanno equiparati ai terroristi. L’Italia ha fatto una scelta importante aumentando le quote di flussi legali: ora quell’atto di responsabilità va fatto pesare».

E quando si augura che questo piano venga presentato? «Adesso. Non fra tre mesi: adesso. A gennaio ricadremo nel clima elettorale e sarà già troppo tardi. Nell’ordine del giorno del vertice di Granada del 6 ottobre ci sarà anche l’immigrazione: l’Italia deve presentarsi con una proposta concreta sull’Africa, e chiedere agli altri di pronunciarsi».

E se il resto d’Europa ci voltasse ancora le spalle? «Non stiamo discutendo se accogliere o meno i “dublinanti” o su quale punto fare i respingimenti. Stiamo parlando di un cambio di paradigma. Nel proporlo, l’Italia deve essere nello stesso tempo rispettosa, ma anche molto esigente. Ci siamo noi italiani in prima linea, e avere una diplomazia esigente è nostro diritto».

Di nuovo: se Francia e Germania faranno finta di non sentire? «Mettiamo che l’Italia presenti un piano realistico. Non ci ascoltano? Non lo mettono in votazione? Così facendo, si assumerebbero un’enorme responsabilità. Segherebbero il ramo su cui loro stessi sono seduti».

In che senso? «Se qualcuno in Europa si illude che l’Africa sia solo un problema italiano, sbaglia clamorosamente. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, perché se arrivano 150.000 migranti in Italia, i movimenti secondari travolgeranno anche gli altri. È bene che l’Italia ricordi a tutti che non si potranno gestire i movimenti secondari, senza mettere il nostro Paese nelle condizioni di affrontare quelli primari dall’Africa. Peraltro, un accordo Europa-Africa consentirebbe di recuperare anche il ruolo della Tunisia».

Cosa rischiamo restando immobili? «L’Africa sarà sempre più destabilizzata. Per dire: se collassa la Cirenaica, anche l’Egitto entrerebbe in fibrillazione, e si scatenerebbe un effetto a catena. È quello che dovremmo spiegare anche ai francesi che respingono i migranti a Ventimiglia, fermo restando che la Corte europea ha già condannato Parigi per queste pratiche».

Insomma, trovare un equilibrio con l’Africa gioverebbe a tutti? «Sì, anche perché in Africa è attualmente in corso la tempesta perfetta: crollo di alcune democrazie, una guerra terribile in Sudan con possibile coinvolgimento della Russia, e da ultimo la ripresa del conflitto in Mali, dove esiste da tempo una presenza terroristica importante».

[…] Pensiamo alla Libia nel 2019: ha chiesto un intervento europeo, ci siamo girati dall’altra parte, e successivamente è arrivata la Russia in Cirenaica e la Turchia in Tripolitania. Vorrei ricordarlo ai nostri amici europei: Cina e Russia non fanno altro che riempire gli spazi. Non fanno altro, in definitiva, che coprire i vuoti dell’Europa».