Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 25 Lunedì calendario

Intervista a Vladimir Luxuria

Vladimir Luxuria non ha paura del confronto. «Mio papà è un uomo di destra, grande ammiratore di Almirante», dice. Due frasi. Ma che spiegano perché ora per lei contrapporsi a Francesco Storace nella trasmissione al via oggi su Rai Radio 1, Il rosso e il nero, sia come bere un bicchiere d’acqua fresca. «Perché mai dovrei sentirmi minata da chi la pensa diversamente?».
Con suo padre è stato così semplice?
«No, non è stato facile. Si chiama Antonio, faceva l’autotrasportatore, a Foggia. Mi vide la prima volta con gli orecchini e un po’ di trucco mentre ero seduta su una panchina in piazza. L’amico con cui stava passeggiando gli aveva fatto cenno, dicendo: “Guarda quel ricchione”. Il suo sguardo mi trafisse l’anima».
Una volta tornata a casa?
«Fu complicato. Sentivo già dal pianerottolo che rimproverava mia mamma per l’educazione sbagliata che mi aveva dato. Avevo 15 anni e odiavo dargli questo dispiacere».
È dura sentirsi in colpa per essere sé stessi.
«Ho provato a soffocarmi. Vedevo Renato Zero in tv con la tutina che cantava Mi vendo e volevo urlare “che figooo”, invece stavo zitta e sentivo papà dire: “Dovrebbero mandarli al confino”».
Le sue sorelle l’aiutavano?
«Certo, mi prestavano i vestiti e mi davano il via libera per attraversare il corridoio di casa senza farmi vedere: una volta fuori mi sentivo Naomi Campbell a una sfilata. Mi guardavano con disprezzo ma per me erano tutti applausi».
Suo papà, poi, l’ha capita?
«Ci sono stati molti processi di avvicinamento ma al primo Pride di Foggia lui ha messo a disposizione il suo camion per trasportare drag queen che ballavano sulla musica di Gloria Gaynor».
Resta un uomo di destra?
«Certo, tifa per Meloni. Però mi ha detto che se mi fossi candidata a Foggia con Rifondazione, sarebbe stata l’unica volta in cui avrebbe votato i comunisti in vita sua».
Cosa la lega alla politica?
«La verità? A me la politica non è mai piaciuta. Trovavo i dibattiti politici noiosi tanto quanto le partite di calcio. Amavo gli spettacoli di Paolo Poli, di Raffaella Carrà... ma poi ho reagito a un attacco di omofobi prendendo delle botte: quei lividi erano medaglie per me. Era il mio primo gesto politico: reagire».
È stata la prima parlamentare transgender in Europa.
«Ma la mia prima elezione non è stata a Montecitorio nel 2006, bensì quando andavo a Ragioneria e il preside, di destra, mi intimava di smetterla di sculettare per i corridoi. Non obbedii e mi sospese. Ma gli alunni fecero uno sciopero per me e mi elessero rappresentante d’istituto, così lui non solo doveva vedermi sculettare ma pure parlare con me».
Popolare prima di essere famosa.
«Ma io a Foggia ero famosa: ero il ricchione. Quando confessai al mio prete che sentivo di avere un’identità di genere diversa, rispose che se volevo frequentare ancora la chiesa dovevo deglutire questa roba. Sentir dire dal Papa che le trans sono figlie di Dio, attenzione, declinandoci al femminile, è stata una rivoluzione».
Bisogna essere felici di questi piccoli passi o dispiacersi perché tanti diritti non sono ancora acquisiti?
«I diritti andrebbero dati e basta, ma non sono una fondamentalista: voglio cogliere i segni del cambiamento. Quando lavoravo in discoteca, al Muccassassina, ho detto che dovevano entrare anche gli etero perché le cose cambiano così. Ai Pride devono partecipare gli etero, alle manifestazioni femministe gli uomini e a quelle anti razziste i bianchi. Tanti con cui ho litigato sono diventati alleati».
Anche Elisabetta Gardini?
«Dopo la pipì più famosa della storia posso svelare che venne a vedere un mio spettacolo, parlavo di infibulazione. Alla fine si spellava le mani per gli applausi e mi disse che su temi come la violenza sulle donne potevamo trovare un’intesa. Ma ultimamente la vedo di nuovo irrigidita...».
Cosa pensa di Meloni?
«La novità che rappresenta va riconosciuta, ma quando l’ho vista abbracciare Orbán mi si è gelato il sangue».
Teme in una retromarcia in termini di diritti?
«È un gioco dell’oca. Ora sento parlare di ideologia gender, come se affrontare certi temi, magari a scuola, per combattere il bullismo, equivalesse a spargere dei droplet che, inalati dall’adolescente etero, gli fanno venire voglia di ballare Lady Gaga».
C’è una critica che la ferisce più delle altre?
«Quando mi scrivono: ma ti vuoi mettere in testa che sei un uomo? Avrei la tentazione di dire: “Ok, sono un uomo. Se serve per andare oltre lo dico”. C’è grande egoismo».
Se dovesse guidare un ministero?
«Sarei perfetta per quello delle Pari opportunità».
Ha mai voluto figli?
«Ho 58 anni, non ci penso più. Ma ero stata in Mozambico, con l’Unicef, e mi ero legata a un bimbo di 8 anni, Enock: ho visto la sua delusione quando ha capito che non lo avrei adottato. Lo avrei fatto, aveva smosso qualcosa».
Come sono oggi i rapporti con i suoi genitori?
«Oggi per loro sono uguale a tutte le altre figlie».