Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 25 Lunedì calendario

Accuse, plagi e fake news di personaggi scomodi alla Chiesa

Si nasce eretici e si muore tiranni. Quand’era socialista Mussolini firmava alcuni articoli come “vero eretico”. Ed è il futuro Duce l’autore di Giovanni Huss il veridico, una delle prime monografie storiche edite in Italia sul teologo e predicatore ceco finito al rogo nel 1415 a Costanza, Germania, nonostante le garanzie a lui fornite dall’imperatore asburgico Sigismondo per convincerlo a recarsi al concilio. L’ha pubblicata nel 1913 All’insegna dell’acacia, casa editrice massonica. Allora l’impero austro-ungarico era ancora in piedi e i cechi suoi sudditi, ma mancava poco all’attentato di Sarajevo e alla prima guerra mondiale. Mussolini farà sparire il compromettente volume quando tratterà con il Vaticano per i Patti Lateranensi. Rinnegherà quanto ha scritto anche con i fatti: nel 1938 è uno dei fautori dell’accordo di Monaco, con cui Hitler si prende i Sudeti, territori di confine della Cecoslovacchia. Eppure raccontando Jan Hus – si scrive con una esse sola -, Mussolini aveva esaltato l’orgoglio nazionale boemo che “l’eretico” incarnava a partire dalla scelta di predicare in ceco e non nel latino imposto dalla Chiesa criticando anche la ricchezza e la vendita delle indulgenze. Giovanni Huss il veridico è stato riproposto nel 2006 da Arktos. La grottesca vicenda è raccontata in Eretiche ed eretici medievali: La “disobbedienza” religiosa nei secoli XII-XV, volume a cura di Marina Benedetti, docente di storia del cristianesimo alla Statale di Milano. Il relativo capitolo è stato scritto da Pavel Helan. L’aspetto terminologico è molto importante. I “cosiddetti eretici”, come li definisce uno degli autori, Grado Giovanni Merlo, noto a livello internazionale per i suoi studi su San Francesco, non si percepiscono affatto come tali, ma vengono bollati in questo modo dalla Chiesa: “L’eretico medievale è un cristiano che cerca la fedeltà al messaggio evangelico”. Come i valdesi, seguaci di Valdo da Lione, raccontati nel capitolo scritto da Merlo: predicatori itineranti che hanno rinunciato ai beni materiali e portano il loro messaggio casa per casa spesso in coppia come gli apostoli, ricevendo cibo e a volte vestiti, mai denaro (dopo l’eco mediatica della riunione di Italia Viva al Twiga di Daniela Santanché, Carlo Calenda si dissocerà evocando il ramo della famiglia valdese). Descritti come ignoranti in materia religiosa, non appartenenti a nessun ordine monastico, violano il principio della esclusività della predicazione, riservata ai soli uomini di Chiesa. Per questo vengono scomunicati e perseguitati.
Esempio illuminante della percezione speculare tra “eretici” e accusatori è la Russia di Pietro il Grande (usciamo dal seminato del libro). Gli ortodossi che non hanno accettato le riforme del patriarca Nikon imposte dallo zar sono stati perseguitati e definiti “scismatici” laddove non hanno fatto altro che restare fedeli alla tradizione. Chiamati in modo meno dispregiativo “vecchi credenti”, alcuni gruppi estremi rifiutano ancora oggi ogni innovazione successiva allo “scisma”. Come l’eremita Agafya Lykova, cresciuta in Siberia dove i genitori l’hanno partorita per sfuggire alle persecuzioni staliniane, unica sopravvissuta della famiglia, sterminata dal contatto con l’esterno dopo anni di isolamento, a cui sono stati dedicati documentari e un libro tradotto in Italia da Pia Pera, Vasilij Peškov, Eremiti nella taiga (Mondadori, 1994).
Per restare in tema di genere: Eretiche ed eretici medievali, a partire dal titolo, pone l’accento sull’esperienza femminile di quello che potremmo chiamare in modo più corretto “non conformismo religioso”: “si è voluto anteporre il femminile al maschile per sollecitare un urgente spostamento del punto di vista”, scrive la curatrice. Figure silenziate dalla storiografia o tramandate in modo riduttivo e stereotipato come Margherita, “compagna” di Dolcino, termine a volte equivocato come amante. Dante, che era coevo dell’eretico e dimostra simpatia nei suoi confronti anche se lo mette all’inferno insieme a Maometto, non nomina neanche Margherita. Ma a partire dai commentatori della Divina Commedia, il figlio dell’Alighieri in primis, si innescano molti equivoci su di lei. Altra figura enigmatica e straordinaria di cui scrive la Benedetti è Guglielma Boema. Vissuta nel XIII secolo a Milano, muore in odore di santità ed è sepolta all’abbazia cistercense di Chiaravalle. Tanto che l’acqua e il vino con cui viene lavato il suo cadavere si usava per cresimare i devoti. Dichiarata poi eretica – con relative leggende orgiastiche -, dissepolta e probabilmente bruciata per impedire il culto delle spoglie diventa una icona femminista negli anni Sessanta. Il posto che si presume occupasse la sua tomba verrà preso da quella di Raffaele Mattioli nel ’73. In un primo tempo inumato al Famedio, il banchiere, editore e antifascista aveva espresso il desiderio di essere sepolto nel cimitero del monastero, al cui restauro aveva contribuito. Il luogo di questo strano incrocio di destini postumi oggi non è visitabile.