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 2023  settembre 24 Domenica calendario

All’asta del pesce

«Banditi! Ladri che non siete altro! Duecento euro! Duecento euro? Centonovanta euro! Banditi! Ladri!». Porto di Terrasini, Sicilia, un passo da Palermo, ore 3.40 della notte, nel basso fabbricato il banditore Giuseppe Viviano ha dato il via all’asta del pesce. Gli epiteti fanno parte del gioco, qui è una gara d’astuzia e velocità tutti contro tutti: banditore contro clienti, clienti contro banditore, clienti contro clienti, banditore con clienti contro altri clienti. Maggioranze variabili, ma invece del Parlamento è una stanza spoglia illuminata dalla luce fredda del neon.
Fuori ci sono i pescherecci che beccheggiano, le sartie che vibrano, l’acqua che sciaborda, dentro una trentina di uomini stropicciati che fumano e rilanciano. Tutti maschi, tranne due donne: Eufemia, titolare di una pescheria qui vicino, con la figlia piccola. In mezzo un centinaio di cassette di pescato: polpi e triglie, naselli e aragoste, scampi e totani, i gamberi rosa con le uova blu sul ventre, e i più preziosi di tutti, i gamberoni rossi, che sono un sogno (la celebre Mazara è poco più in là). «Spingi! Spingi! Centoventuno! Centoventitrè! Spingi, spingi! Centoquaranta!»: Giuseppe Viviano ha imparato il mestiere d’astatore da suo padre, lo sta insegnando al figlio adolescente, che in questo punto della notte è accanto a lui a dare una mano. Lavoro delicato «bisogna avere una certa disposizione per la matematica e la capacità di creare la contesa tra i clienti. È tutta una questione di strategia mentale».
Ovetti Kinder
Quella di Terrasini è una delle poche aste di questo tipo rimaste in Sicilia, in Italia, «è una tradizione un po’ araba, un mercanteggiamento fatto d’astuzia». La liturgia si ripete uguale ogni notte. Prima di tutto, utilizzando i bussolotti gialli degli ovetti Kinder si estrae l’ordine in cui verrà venduta la merce dei diversi pescherecci, «chi viene battuto all’inizio è penalizzato, c’è meno gente, e alla fine i prezzi salgono per accaparrarsi quel che resta». Dunque, il catalogo è questo: Luna Rossa; Primavera; Trionfo; San Pietro; San Felice; Noto; Santa Rosa; Cleopatra. Tutte barche piccole, della zona, pesca a strascico, in media tre marinai a bordo. Quindi l’astatore si mette in mezzo alla sala, di fronte ha una bilancia con un display in bella vista; accanto un addetto che al volo vede cosa c’è nella cassetta e con un computer stampa l’etichetta prevista dalla legge con varietà e peso; per terra le colonne con le cassette dei singoli pescherecci.
«Miaooo»
Così si inizia: il garzone prende il primo contenitore del primo peschereccio, Luna Rossa, lo mette sulla bilancia e lo ostende, per una valutazione collettiva. Pesci vari, da zuppa. Cinque chili e due. Viviano fa un prezzo a occhio e si parte. «Banditi! Ladri che non siete altro! Quaranta euro! Quaranta euro non c’è meno!». Tutti zitti. «Trentanove! Trentotto!», scende finché qualcuno non fa un cenno. «Ventotto ce l’abbiamo». A questo punto l’asta rimbalza, «Qualcuno ventinove? Ventinove! Trenta? Spingi! Spingi! Trentuno?».
La prima cassetta viene venduta a 34 euro, più o meno sei euro al chilo, senza che un osservatore inesperto si sia accorto di niente. Ma col ripetersi del rito, tutto – quasi tutto – appare evidente: il signore robusto che fuma MS rilancia strizzando l’occhio, Eufemia grattando l’aria con la mano, il ristoratore Franco Virga – patron di tanti ristoranti palermitani, tra cui lo stellato Gagini – battendosi il pollice sul mento. Il banditore tutto vede. Quando vuole: «È furbo, quello, ti guarda solo quando gli serve, se no ti ignora». Altri invece urlano la propria offerta, «settantuno! Settentasette!», un pescivendolo con il carretto parcheggiato fuori cammina in circolo e grida i suoi prezzi guardando a terra, ogni tanto intervalla con un miagolio – «miaooooo» – di cui è impossibile capire l’utilità (un diversivo?).
I clienti guardano l’astatore, l’astatore guarda i clienti, i clienti si guardano tra di loro, l’astatore guarda i clienti che si guardano tra di loro: è una delicatissima alchimia di alleanze, io so che tu sai che io so. L’astatore prende il 10%, per cui ha l’interesse a far salire la cifra. I clienti hanno interesse a farla scendere. In un minuto ci si gioca tutto, l’affare o la fregatura. Ci vogliono riflessi, astuzia e capacità di fermarsi al momento giusto. «Tutta diversa è l’asta «all’orecchio», la contrattazione diretta – racconta Viviano – lì l’astatore si fa fare un’offerta da ogni compratore segretamente, «all’orecchio» appunto, poi fa un secondo giro, e alla fine assegna al prezzo più alto: a questo punto il compratore dichiara coram populo quanto ha pagato.
Schadenfreude
«Da noi le aste sono molto più grandi ma tutto avviene silenziosamente, con le parti che si comunicano i prezzi sottovoce», a parlare ora è Yoji Tokuyoshi, chef giapponese diventato grande all’Osteria Francescana da Massimo Bottura, adesso alla guida di Bentoteca a Milano: è a Terrasini perché fino all’autunno conduce «Stazione Vucciria», il ristorante sul mare di Pollina dello stesso Virga. «C’è una materia prima pazzesca qui, e prezzi bassi», dice. Bassi per un giapponese, per noi fino a un certo punto: è alta stagione, in questi giorni c’è stato un po’ di mare e i pescherecci hanno pescato meno del solito. La cassetta venduta a prezzo maggiore: cinque chili e due etti di gamberoni rossi lunghi una spanna, 249 euro. Cinquanta euro al chilo: non stupisce che quando arrivano nei mercati in continente costino più del doppio, tra trasporto, refrigerazione, remunerazione dei diversi passaggi. 135 euro per 5,7 kg di polpi. Moscardini, 5 kg: 120 euro. Quanto si transa in una notte? Dipende. A occhio questa sera una decina di migliaia di euro. Virga per i suoi cinque ristoranti ne ha spesi più o meno 2500, «ma mi son fatto prendere la mano».
La competizione c’è, anche se si tratta di aragoste e non di Rembrandt c’è la voglia di sfidare. «Stavo per comprare quei naselli grandi, poi è arrivato quel rompicoglioni…». Le transazioni sono tutte in contanti: il prezzo stabilito, più il 10% di IVA; il valore, sottratta la commissione, andrà invece al peschereccio. Prima dell’inizio dell’asta di questa notte, una liturgia di compratori ha consegnato a Viviano il cash di quella di ieri. Chi ha speso migliaia di euro, chi qualche decina «magari viene anche qualche pensionato insonne, è aperta a tutti». Un centinaio di cassette e tre d’ore dopo les jeux sont faits: chi ha vinto ha vinto, chi ha perso ha perso. Qualcuno si rammarica di un acquisto troppo caro, specularmente altri godono dell’errore dei primi. Schadenfreude in quantità. Il più ammirato è un ragazzone con una polo blu scuro che ha comprato solo un paio di cassette, «ma quelle giuste, non ne sbaglia una». «Piaciuto lo spettacolo?» conclude, ammiccando, Viviano, e dal tono di voce si capisce che questa notte il banco ha vinto. Del resto, il banco vince sempre.