Corriere della Sera, 24 settembre 2023
Intervista al Papa di ritorno da Marsiglia
SUL VOLO PAPALE «Marsiglia accoglie e rispetta e fa una sintesi senza negare l’identità di qualsiasi popolo. È un messaggio all’Europa. Dobbiamo ripensare questo per altre parti…». Papa Francesco raggiunge i giornalisti in aereo appoggiato al bastone, si siede, sorride. Nel suo intervento agli «Incontri mediterranei», davanti al presidente francese Emmanuel Macron, ha detto che non c’è «invasione» di migranti né «emergenza», perché «chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza». Basta «propagande allarmiste» per «alimentare la paura della gente». La migrazione è «un dato di fatto dei nostri tempi» e «va governato con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà». Certo è difficile. Però «il criterio principale non può essere il mantenimento del proprio benessere», si tratta di «prevenire un naufragio di civiltà». Porti chiusi e muri sono vani: «Dire “basta” è chiudere gli occhi, tentare ora di “salvare sé stessi” si tramuterà in tragedia domani». La soluzione «non è respingere, ma assicurare, secondo le possibilità di ciascuno, un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo, in collaborazione con i Paesi d’origine». Dall’Eliseo più tardi filtra una replica: «La Francia non deve vergognarsi, è un Paese di accoglienza e integrazione». Certo una frase del Papa sembra riferirsi al modello francese: quando ha contrapposto all’integrazione, in negativo, «l’assimilazione che non tiene conto delle differenze e resta rigida, fa prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione che fa divampare ostilità e insofferenze». Francesco ne ha parlato anche nel colloquio privato di 32 minuti con Macron.
Santità, nel 2013 ha compiuto il primo viaggio a Lampedusa, denunciando la «globalizzazione dell’indifferenza». Dieci anni dopo ripete lo stesso messaggio. Ha fallito?
«Io dico di no, piuttosto che la crescita della consapevolezza è andata avanti lentamente. Oggi c’è coscienza del problema migratorio e che la cosa è arrivata a un punto che non si sa come prenderla, come una patata bollente. Angela Merkel disse che la questione si risolve andando in Africa, per alzare il livello di vita dei popoli africani. Ma ci sono tanti casi molto brutti. I migranti che vanno avanti e indietro, come in un ping-pong, e tante volte finiscono nei lager. Ho sentito che un ragazzo cercava di uscire e alla fine si è impiccato. Ti tolgono i soldi, poi ti fanno chiamare la famiglia perché ne mandino altri. Un testimone mi ha raccontato di uno che non voleva più imbarcarsi e gli hanno sparato, finita la storia. Quello è il regno del terrore, sono schiavi. Non possiamo mandarli indietro come palline da ping pong».
«Bisogna accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Se non puoi farlo nel tuo Paese, accompagnalo e integralo nel suo, ma non lasciarlo nelle mani di questi crudeli. Ma da Lampedusa le cose sono migliorate perché allora non si capiva, non te lo dicevano. Vorrei che questo fosse un grido: stiamo attenti, facciamo qualcosa. La coscienza è cambiata davvero, ho parlato, hanno parlato tanti. Sono cinque i paesi in difficoltà per l’arrivo di tanti migranti. In alcuni di questi ci sono cittadine vuote: che facciano lo sforzo di integrare, l’Europa ne ha bisogno, le immigrazioni ben condotte sono una ricchezza».
Ha incontrato Macron, averte parlato della legge sul fine vita?
«Oggi no, ma lo avevamo fatto quando ci siamo incontrati l’ultima volta. E io ho detto il mio parere chiaro: con la vita non si gioca, né all’inizio né alla fine. Perché poi finirà con quella politica del non dolore, l’eutanasia umanistica…Stiamo attenti alle colonizzazioni ideologiche. Si cancella la vita dei nonni, sono vecchi, non servono. Non è una cosa di fede, è una cosa umana».
Ci sono progressi della missione di pace sull’Ucraina? Si sente frustrato?
«Qualche frustrazione si sente perché la Segreteria di Stato sta facendo di tutto, come anche il cardinale Zuppi. Qualcosa per i bambini sta andando bene. Ma penso che questa guerra sia anche un po’ interessata, non è solo il problema tra Russia e Ucraina: serve a vendere le armi, al commercio di armi. Mi dicevano che l’investimento più redditizio, oggi, è l’industria di armi, cioè di morte. Nel frattempo, il popolo ucraino è martire. Ha la sua storia martoriata, non è la prima volta, al tempo di Stalin ha sofferto tanto, è un popolo martire. Di fronte alle guerre il reale è il possibile: non farsi illusioni, che domani i due leader vadano a mangiare insieme, ma fino al possibile. Dove arriveremo, in modo umile, ma fare il possibile. Adesso ho visto che qualche Paese si tira indietro, non dà le armi, inizia un processo dove il martire sarà il popolo ucraino e questa è una cosa brutta».
Una frase che sembra alludere alla Polonia, anche se il portavoce vaticano Matteo Bruni, alla fine, precisa: «Il Papa con un paradosso ha sottolineato come chi traffica in armamenti non debba mai pagare le conseguenze delle proprie scelte, ma le lasci da pagare a popoli, come quello ucraino, martirizzati».