la Repubblica, 24 settembre 2023
Matteo Messina Denaro, ha fatto pace con Dio ma non con la chiesa. Le sue ultime volontà
Le sue ultime volontà sono in un pizzino di qualche anno fa, che aveva pure firmato: Matteo Messina Denaro. «Rifiuto ogni celebrazione religiosa perché fatta di uomini immondi che vivono nell’odio e nel peccato». I carabinieri del Ros hanno ritrovato l’annotazione in mezzo a tante altre nel covo di Campobello di Mazara, il giorno dell’arresto, il 16 gennaio. E ora che il padrino è in fin di vita, in coma irreversibile, con l’alimentazione già staccata e solo l’idratazione, come disposto nel suo testamento biologico, quelle parole sul funerale ritornano di grande attualità.
«Non sono coloro che si proclamano i soldati di Dio a poter decidere e giustiziare il mio corpo esanime – scriveva quando ancora non aveva scoperto la malattia – non saranno questi a rifiutare le mie esequie». Erano i giorni del maggio 2013 in cui la Chiesa proclamava beato don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia, e ribadiva la scomunica ai mafiosi, negando il funerale. Messina Denaro voleva essere lui per primo a rifiutare l’ultimo conforto della Chiesa. «Il rapporto con Dio è personale, non vuole intermediari e soprattutto non vuole alcun esecutore terreno – annotava con orgoglio –. Gli anatemi sono espressioni umane non certo di chi è solo spirito e perdono».
Ed ecco la sua dichiarazione solenne: «Sono io in piena coscienza e scienza che rifiuto tutto ciò perché ritengo che il mio rapporto con la fede è puro, spirituale e autentico, non contaminato e politicizzato. Dio sarà la mia giustizia, il mio perdono, la mia spiritualità».
E ancora: «Chi come oggi osa cacciare e ritenere indegna la mia persona non sa che non avrà mai la possibilità di farlo perché io non lo consento, non ne darò la possibilità».
Così parla un padrino. Fino allafine, è rimasto un irriducibile. Sfidando non solo i magistrati, ma anche la Chiesa e persino Dio. Perché lui si sentiva l’Altissimo. Come il suo inseparabile complice, Giuseppe Graviano, il boss del quartiere palermitano di Brancaccio che ordinò la morte di don Pino Puglisi: nei pizzini si firmava “Madre natura”. Delirio criminale. Eccone un altro scritto da Messina Denaro, anche questo trovato nel covo di Campobello: «Sono uno che sopravvive al dolore, io sono qui sopravvissuto al buio del passato». Ma non era ancora il dolore della malattia, scoperta tre anni fa. Chissà di quale dolore parlava il padrino delle stragi che tanti lutti ha seminato. Lui riteneva comunque di essere nel giusto: «Se Dio esiste – diceva in un altro appunto – allora è certo che non mi ha scomunicato, proprio perché è Dio. Mi hanno scomunicato gli uomini che dicono di rappresentarlo. Dio perdona, i suoi rappresentanti terreni scomunicano. Boh, chi li capisce». Si era già assolto, così il boss aveva voluto essere lui stesso un dio, custode dei segreti che oggi rappresentano la forza della mafia che si riorganizza.
Qualche tempo dopo scriveva: «Ho fatto pace con Dio e accetterò tutto quello che mi accadrà con animo sereno e il cuore in pace». In realtà, è il sospetto di chi indaga, durante l’ultima fase della la titanza – con un necessario allentamento delle misure di sicurezza per curarsi – aveva sistemato con cura i suoi segreti, magari un archivio. Probabilmente, in qualche altro appartamento in provincia di Trapani. O, magari, a Palermo. Una casa che si apre con una di quelle chiavi trovate nello zainetto del padrino custodito nel covo di Campobello di Mazara.
Adesso, ci sono i migliori investigatori di carabinieri e polizia impegnati nelle indagini per decifrare i segreti del mafioso che voleva essere il padreterno.