la Repubblica, 24 settembre 2023
Extraprofitti, il dietrofront del governo
ROMA – Cambia ancora, la tassa sugli extraprofitti delle banche. I tormenti del governo sul balzello della discordia si spengono alle sette di sera. È a quell’ora che la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato al nuovo testo mette fine all’ennesima giornata convulsa della destra. Una raffica di telefonate tra Palazzo Chigi e il Tesoro, per aggiustare il tiro di quello che Forza Italia, al mattino, festeggiava già come la stesura della vittoria, quindi definitiva. E che fonti della presidenza del Consiglio e del Tesoro si sono invece affrettati a congelare, parlando di «lavori in corso».
Le modifiche definitive, dunque. A un mese e mezzo dal blitz di Giorgia Meloni in Consiglio dei ministri, l’impianto della tassa viene stravolto. A iniziare dalla base imponibile, in pratica il punto in cui l’esecutivo andrà a colpire gli istituti di credito. La versione scritta a Palazzo Chigi, ventiquattro ore prima del Cdm del 7 agosto, era stata corretta in corso dal ministero dell’Economia. Il titolare Giancarlo Giorgetti intervenne allora per alzare le soglie di calcolo della tassa e per fissare il tetto massimo del prelievo allo 0,1% dell’attivo di bilancio di ogni singola banca. Ma poi la premier tuonò, per evitare che la tassa si sgonfiasse, riducendo il gettito atteso, fino a 3 miliardi. Ma mai messo nero su bianco dalla Ragioneria, che evidentemente si è voluta staccare dai trionfalismi e dalle sicurezze di Meloni.
L’ultima versione della tassa compare nell’emendamento al decreto Asset, all’esame del Senato, che la settimana prossima recepirà la correzione. Il nuovo tetto: lo 0,26% del cosiddetto attivo medio ponderato (circa il 38% di quello complessivo, secondo le stime del governo su dati Bankitalia). Una modifica che azzera gli effetti depressivi sui titoli di Stato: i Btp, in questo caso, non rilevano. In pratica verranno esclusi dalla scure.
Si apre poi una doppia via per le banche. In alternativa al versamento dell’imposta potranno accantonare una somma, destinandola al proprio patrimonio. Di fatto uno scudo per gli istituti più piccoli, che si può leggere anche come una spinta a irrobustire il proprio capitale. Ma per evitare un rigetto della tassa viene introdotto un primo paletto: bisognerà mettere da parte unimporto pari almeno a due volte e mezzo il valore dell’imposta. E – altro paletto – la riserva non potrà essere utilizzata per la distribuzione degli utili. Se la banca violerà la disposizione allora dovrà pagare la tassa, maggiorata degli interessi.
Nel ridisegno della tassa non entra invece la deducibilità, una delle richieste avanzate da Forza Italia, che dopo il compromesso ha annunciato il ritiro dei propri emendamenti in Parlamento. Gli azzurri ci hanno provato fino alla fine, ma la premier ha alzato un muro per evitare di ridurre ulteriormentel’incasso. Che comunque calerà rispetto a quello atteso, per la discrezionalità concessa alle banche di scegliere tra l’imposta e l’accantonamento.
In base al nuovo assetto, il governo si aspetta che le grandi banche, come Intesa e UniCredit, versino l’obolo. Per le piccole, invece, c’è il “piano b” delle riserve. Tutte, grandi e piccole, non dovranno scaricare sui clienti gli oneri legati alla tassa. A vigilare sarà l’Antitrust, che procederà con accertamenti a campione, oltre a riferire annualmente al Parlamento con una relazione.