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 2023  settembre 24 Domenica calendario

I classici del ridere di Formiggini


quando c’era il riso amaro di formigginiCollezioni. La raccolta completa dei «Classici del ridere» dell’editore ebreo morto suicida è l’occasione per rivedere una stagione della nostra editoriaBruno PischeddaAmor et labor vitast.Il motto della casa editrice di Formiggini   
Il pubblico ideale sono i bibliofili accaniti come pure gli studiosi: gli storici dell’editoria, gli storici dell’illustrazione libraria. Stiamo parlando di un catalogo contenente tutte le informazioni (copertine, prezzi, ristampe, autori, traduttori, varianti grafiche) relative a una collana d’inizio Novecento che ha avuto per noi una certa importanza culturale: “I classici del ridere”, mandati in stampa dall’ebreo modenese Angelo Fortunato Formìggini (il nemico di Giovanni Gentile, il suicida dopo la promulgazione delle leggi razziali).
La collezione vive ventisei anni, dal 1913 al 1938, per un complesso di 107 volumi e 80 opere comprendenti capolavori classici e contemporanei; come dire Eroda, Petronio, Marziale, ma anche Berni, Quevedo, Voltaire, Daudet, Wilde, Giulio Cesare Croce, Tassoni, Trilussa, Porta. Un assaggio soltanto: Le dame galanti di Brantôme esce nel 1937 per la traduzione di Alberto Savinio, e con la stessa traduzione ricompare nel 1982 tra i “Classici” Adelphi.
Ora le specifiche: ciascun volume misura cm. 21 x 13 e ha una copertina in simil-pergamena, che sul primo piatto reca una cornice xilografata su motivi grotteschi e floreali da Adolfo De Karolis, mentre in IV lo stesso artista marchigiano offre una allegoria del riso (anche riproposta in antiporta con colore rosso).
All’interno compaiono altre xilografie o disegni di autori vari, così – negli intenti – da alleggerire la lettura. I volumi compaiono all’inizio con cadenza mensile, poi bimestrale, infine irregolare; e, secondo i casi e le previsioni, sono messi in commercio con tirature oscillanti tra poche centinaia e 2.500 copie.
Sin dall’inizio l’idea era di rivolgersi a una platea non vastissima di estimatori, fornendo loro libri di lusso, tuttavia in una veste che consentisse prezzi accessibili, dalle 2 alle 10 lire di media nella fase centrale e finale.
Libri d’arte insomma, per cui fa fede una linea elegantemente rétro (la pratica già seicentesca delle antiporte illustrate, che ora trasmigrano in copertina e nel frontespizio), ma così da promuovere una sorta di collezionismo allargato, anti-canonico nelle scelte e non di meno voglioso di competere con le collane più blasonate.
Sempre in copertina, sul piano basso, spicca il motto della casa: «Amor et labor vitast»; mentre in IV, sull’angolo sinistro, una seconda dicitura gli corrisponde: «Risus quoque vitast». Intendendo con ciò che non solo l’amore e il lavoro contano nell’esperienza quotidiana, ma anche in riso, il ridere, per la loro funzione irrinunciabile.
Sarà poi il vecchio Formìggini, ormai fatto romano, e gettando uno sguardo a ritroso, a sancire in una battuta l’importanza della collana in oggetto: «Er mejo fico der mio bigonzo» (il frutto migliore della mia attività di editore).
Considerando un volume per volta, non mancano certo adattamenti, alleggerimenti di passi o episodi a favore di una suprema fruibilità e immediatezza espressiva. “I classici del ridere” – pur affidandosi a curatori e traduttori di vaglia – non hanno pretese filologiche. Tuttavia vi si possono ravvisare anche proposte innovative, che provano a scompaginare il quadro letterario ereditato dall’ultimo Ottocento. Per esempio le prime versioni italiane del Tristram Shandy, di Sterne, o l’Ulenspiegel di De Coster; le restituzioni meno moralistiche del Gargantua e Pantagruel di Rabelais, e di Swift con I viaggi di Gulliver.
La materia da trasferire in collana era poi trattata ecumenicamente, senza preclusioni. In una lettera del 1927, indirizzata dal modenese al celebre psicanalista Emilio Servadio, impegnato a raccogliere alcune prose estravaganti di Allan Poe, troviamo scritto: «Per i limiti del ridere io sono di manica larga. Ho detto classici del ridere e non classici dell’umorismo, della satira, del comico, dell’ironia, del grottesco o che so io, appunto perché tutte queste cose insieme potessero essere raccolte sotto la stessa voce indeterminata».
Tanto di manica larga era Formìggini in fatto di riso, che con numero 00 comparirà in collana anche il suo libello anti-gentiliano, La ficozza filosofica del fascismo: un volume che ebbe non poche conseguenze e così annotato, con buio sarcasmo: «L’Editore prende formale impegno di devolvere l’intero prodotto lordo di questa pubblicazione a esclusivo assoluto beneficio dell’Autore, per risarcirlo in parte dei danni materiali causatigli dall’Attualismo». Formula in questo modo variata nel nostro catalogo: «I librai ecc., per risarcirli in parte dai danni materiali causati dalle nuove mode imperanti: intelligenza artificiale, facebook, instagram [dove ho trovato notizia di questa pubblicazione], Tik Tok e altre diavo-lerie inventate per deviare le menti dalla carta, materiale indistruttibile».
Detto catalogo, a sua volta prezioso, è tirato in 100 copie, numerate a mano, su carta Palatina avorio (disponibile in pdf sul sito ALAI – Associazione Librai Antiquari d’Italia). Lo correda con uno scritto incipitario Antonio Castronuovo, uno dei maggiori esperti formigginiani; e vi si accompagna in chiusura una breve ma erudita nota di Marco Bortolotti; le note di collana sono stese da Bruno Sabelli, mentre la descrizione degli esemplari è a cura di Simone Volpato. Artefici dell’iniziativa sono la bolognese Libri del Borgo e la Libreria antiquaria Drogheria 28, di Trieste. La collana, come insieme indivisibile, è proposta ad euro 4.000.