Domenicale, 24 settembre 2023
Mio padre
A papà si illuminano gli occhi quando mi vede passare in rassegna i libri della sua biblioteca, a Nanka. I miei fratelli sono fuori a giocare con i cugini, sulla terra rossa. Io invece accarezzo le copertine rigide e verdi di Madame Bovary e Alice nel paese delle meraviglie. Sono una meraviglia, penso, sono pura magia, proprio come in Attraverso lo specchio.
Più avanti, terminate le superiori, mentre aspetto la fine degli scioperi universitari, sto trascorrendo del tempo con papà durante uno dei suoi frequenti viaggi a Nanka. Entra in biblioteca e, vedendomi ridisporre i libri, mi fa un gran sorriso. Prende Orgoglio e pregiudizio e mi dice: «È una verità universalmente riconosciuta che a un giovane in possesso di un ingente patrimonio manchi soltanto una moglie». Ride della signora Bennett e dei suoi intrallazzi, ma si domanda se sia davvero cambiato qualcosa, dai tempi di Jane Austen.
È una delle cose che ci ha sempre accomunati, una nostra esclusiva: l’amore per i libri e la letteratura, per le parole e il linguaggio, per la lettura e la scrittura. Nella biblioteca ci sono libri sugli argomenti più svariati: colonialismo, schiavitù, religione, Africa, nonché economia e statistica, i suoi settori. Da bambina immagino il mio nome stampigliato sul dorso di un volume rilegato. È un sogno e, come tale, è bellissimo e apparentemente irrealizzabile.
A quindici anni, dopo essermi cimentata con diverse storie romantiche, scrivo un libro osé su un uomo tradito dalla fidanzata con il suo migliore amico. Il manoscritto circola tra le mie compagne di classe, che lo leggono durante le lezioni invece di prestare attenzione. Lui è l’unico adulto a leggerlo. Mi chiedo cosa pensi di quelle che la mia giovane mente considera volgarità, nonostante la fiducia che già nutro nell’idea della licenza letteraria. Dice che non c’è male, ma non me lo pubblicheranno.
Intanto io cresco e lui invecchia. Il mio amore per le parole sembra sbiadire al cospetto delle preoccupazioni della vita: passare gli esami, essere ammessa all’università, trovare lavoro, prendere come lui diverse specializzazioni dopo la laurea, sposarmi, avere figli.
Poi, nel pieno dell’età adulta, prendo una decisione. Voglio rispolverare i sogni dell’infanzia. Scrivere parole che cantano, raccontare una storia coinvolgente, commovente. Lui è a casa mia, nel mio salotto, e mi guarda digitare le ultime parole. È la prima persona a cui dico che il libro è terminato, ho scritto «Fine» in fondo alla pagina. Si rallegra con me e per un attimo dimentica che mia madre è molto malata. Mi chiede di cosa parla. Io mi impappino, proprio come sarebbe successo anni dopo, durante le interviste per l’uscita del romanzo.
È dedicato a lui e a mia madre, due delle persone che più ho amato in vita mia. Ma lui non può leggerlo perché, con l’età, la degenerazione maculare l’ha privato della vista. Ho intenzione di procurargli l’audiolibro non appena uscirà, verso la fine del 2022. È la prima persona a cui telefono ogni volta che il mio romanzo entra nella rosa dei finalisti di qualche premio, e anche quando vince. Sprizza orgoglio quando gli comunico di aver vinto un premio, con mio enorme stupore, negli Emirati Arabi. E siccome non credo di potermi assentare dal lavoro per andare a ritirarlo a Sharja, lui insiste perché lo faccia. Sul palco dove mi viene consegnato il premio, il primo di molti che il libro vincerà, sussurro un ringraziamento tutto per lui, per avermi convinta a partire, perché è un momento che non scorderò mai, e anche perché lì ho conosciuto Barbara Ferri, grazie alla quale il libro sarebbe arrivato anche in Italia.
Man mano che l’età avanza per entrambi, scrivo di lui nei miei saggi, ne racconto le storie e ne condivido le foto su Facebook, per cercare di trattenerlo nel mondo. Quando gli dico che scriverò la sua biografia o un memoir su di lui, mi chiede perché, è sinceramente sorpreso. Io, a mia volta, sono sorpresa dalla domanda: le parole, la scrittura, i libri sono quello che ci lega. Non abbiamo forse discusso di tante biografie, come My Odyssey di Zik?
Da qualche giorno mi trovo al Brick Lodge, la casa di campagna di papà a Nanka. È la prima volta che ci torno da quando il corpo che lui abitava su questa terra è stato calato in una fossa davanti alla casa. Nonostante sia una visita breve, trovo il tempo di andare in biblioteca, la stanza in cui stavamo, noi due soli, a parlare di libri, di scrittura e a volte di scrittori.
È polverosa, non dev’esserci entrato nessuno da almeno un paio d’anni. L’odore di muffa e la polvere mi pizzicano le narici, ma ci vorrà ben altro per scoraggiarmi. Adesso tiro giù i libri dalle mensole, spolvero le copertine, che mi sembrano più vecchie, le pagine più ingiallite di quanto ricordassi.
Mia madre passa di lì e mi chiede cosa sto cercando. Le dico che sto scrivendo un libro su mio padre. Non le dico che sto cercando lui, la sua essenza, il prezioso spazio che abbiamo condiviso. Ma mi rendo conto che sono proprio alla ricerca di lui, della sua voce allegra ed energica. Sento sgorgare le lacrime, ma non mi danno sollievo. Ci sono momenti fuggevoli in cui penso di averlo trovato. In realtà, però, ne trovo dei pezzetti, mai l’interezza: nelle lettere dei suoi amici, che lo ringraziano per essersi preso cura di loro durante un viaggio, negli scontrini dei libri che ha comprato, nella firma in cima alle prime pagine e nel timbro che dice «Proprietà di Obidinma I. O. Onyemelukwe, Nanka».
Dopo mi siedo a scrivere, cercando di far rivivere il passato nel presente. Scrivo di lui, della luce, della forza che portava nel mondo. So che non sarà mai abbastanza. Ma, in fondo, mi sembra una delle poche cose tangibili che restano del nostro legame.
Traduzione di Elisa Banfi