il Fatto Quotidiano, 24 settembre 2023
Intervista a Carlo Verdone
Il segreto di Carlo Verdone è dietro un “come va?”. Quello che per la stragrande maggioranza delle persone è retorica, quasi un tic privo di sostanza, con lui è reale interesse, partecipazione, capacità mnemonica, spesso ispirazione per storie o battute in grado di fissare il comune quotidiano come pochi altri artisti. Lui quasi ogni mattina va realmente al bar, si piazza lì e ascolta, “ruba”, poi sintetizza e magari nascono maschere come Jessica e Ivano o quella di Armando Feroci (“A volte ho un po’ anticipato i tempi”).
Da poco è su Paramount con Vita da Carlo 2 e la seconda serie è pure più bella della prima.
Spesso la chiamano “Carletto”…
Mi piace, è una forma di affetto, significa che sono come un amico, mi trattano come tale; (sorride) c’è poi chi mi appella “maestro”.
A maestro come reagisce?
Resto in silenzio, però mi viene un po’ da ridere.
È un maestro.
Sì, ma va benissimo “a Carle’…”; (ci ripensa) maestro mi fa veramente un po’ ridere: non mi sento così anziano.
Nella serie fissa un punto reale: gran parte del cinema sogna di lavorare con lei.
(Silenzio, quasi si imbarazza) Chi lo dice?
Da Francesco Bruni a Nino Frassica e Massimiliano Bruno…
(Sorride) Ci sono pure tante brave attrici; comunque è perché li curo bene, li seguo; a tutti regalo un qualcosa in più, cerco di esaltare il loro ruolo e alcune battute non sono neanche nel copione, ma arrivano mentre giriamo.
Li protegge.
Preferisco sbagliare io che un mio attore; in caso contrario non ci dormirei per un anno.
Sostiene, nella serie, di non aver mai sbagliato un attore in 45 anni.
Credo sia così.
Ha coinvolto uno strepitoso Gabriele Muccino nel ruolo di se stesso.
Ho pensato: chi è uno del cinema spiritoso che potrebbe dirmi di sì?
Usa il condizionale?
Se chiedo un favore a Joe Bonamassa (celebre chitarrista statunitense), lui mi risponde; se chiedo una cortesia a un collega, devo aspettare una settimana per ottenere la risposta; (pausa) è difficile coinvolgere uno del mio mondo.
Come mai?
Perché se vado da un regista che non gira la commedia, allora è come se entrasse in un vestito non suo “io mi occupo di film drammatici…”
Una deminutio.
Penso sia un po’ così, pur nella stima per me. Allora sono andato a colpo sicuro e ho contattato Gabriele; dopo due secondi ha accettato.
È una delle scene più divertenti.
È bravo ed è un folle; (sorride) si è presentato sul set senza paura, fantastico, mi ha chiesto di mettere i baffi, ha battuto il ciak ed è partito.
“Quando parla non si capisce niente”, parole sue.
Zero ed è l’aspetto divertente.
In Vita da Carlo 2 racconta quanto è complicato chiamare un attore per dirgli che la sua scena è stata tagliata.
È faticosissimo e mi è successo due o tre volte; (ci ripensa) anzi è stato terribile come con Didi Perego, la madre di Margherita Buy in Il maledetto giorno che ti ho incontrato: era molto malata, ma non lo sapevo, quindi le scrissi una lettera per spiegarle il taglio. Ovvio ci rimase malissimo, anche perché era forse consapevole che quello rappresentava il suo ultimo ruolo. Venti giorni dopo è morta; (resta in silenzio, a lungo) sì, qualche volta capita, ma poi cerco di coinvolgerli nel progetto successivo.
Quante telefonate riceve da attori che si propongono.
La maggior parte passa dall’agenzia, poi ci sono quelli che si accontentano di due o tre battute, e lì siamo intorno ai 400 l’anno.
In stile-Haber che citofona a casa?
Veramente a casa ogni tanto arriva qualche fan, un po’ come l’altro giorno; anzi, in realtà capita tutte le settimane, magari li trovo appostati fuori dal cancello. Non credo sia giusto.
Non si sottrae ma, anche dalla serie, sembra non bastare mai.
Pure se spieghi alle persone “sto per perdere l’aereo o il treno” e sei obbligato ad andare via, sento alle spalle la frase “ma quanto è stronzo questo”.
Ci resta male.
Una volta in aeroporto hanno chiamato il mio nome: mancavo solo io; ma ero circondato da richieste di selfie o da telefonate alla moglie ricoverata. “Sentite? Devo andare” “A Ca’, un attimo, un selfie”. “Non posso”. “Non sei mica tanto simpatico”.
Ci vuole self control.
Totale.
È la prima volta che sta sul set dopo la doppia operazione alle anche…
È stato bellissimo.
A un certo punto calcia un pallone.
L’operazione è stato uno dei passaggi più importanti della mia vita: per otto anni sono andato avanti con un dolore crescente che a un certo punto era diventato invalidante; alla fine non mi alzavo neanche per rispondere al citofono.
Recita più libero.
In alcuni film precedenti avevo un volto strano, pure di quello rincoglionito dagli antinfiammatori.
Senza spoilerare il finale della serie, quanto è complicato gestire il successo?
Bisogna essere intelligenti e riflettere a lungo su ciò che decidi; gestirsi è l’aspetto maggiormente complicato e in questo lavoro si va avanti pronunciando tanti “no”, i “sì” sono pochi.
Un “no” chiave…
Se dopo Non stop (celebre trasmissione tv di fine anni 70) avessi accettato le offerte che arrivavano al mio agente, e parliamo di tutto il cinema italiano, non avrei mai lavorato con Sergio Leone. Il mio agente infuriato. Ma non erano ruoli giusti per me.
Come c’è riuscito?
Sempre stato uno ponderato, con alla base una buona educazione famigliare, in questo caso soprattutto da parte di mio padre: era lui a consigliarmi di stare attento e a mantenere la dignità.
Torniamo alla serie: c’è Fabio Traversa, in Compagni di scuola il celeberrimo Fabris. Lei gli ha segnato la carriera.
È vero, e lui in maniera spiritosa l’ha presa anche bene, tanto da ripetere: “Sì, a volte camminare è un martirio, tutti mi dicono ‘no, de profilo no’, o ‘c’hai avuto un crollo dell’ottavo della scala Mercalli’. Però alla fine sono diventato immortale, mi riconoscono tutti”.
Filosofico.
In questa seconda stagione ha un bel ruolo, un bel finale.
Anche per Massimo Ghini il suo ruolo da onorevole molestatore in Compagni di scuola è stato complicato da superare.
Alcuni miei film hanno avuto un impatto sul pubblico molto più potente di quanto potessi immaginare.
I suoi Jessica e Ivano di Viaggi di Nozze nel 1996 potevano sembrare un’esagerazione. Oggi sono la quotidianità.
Come accaduto in Gallo cedrone e la politica che stava nascendo in quel periodo, con cialtroni impegnati in comizi ed elezioni; sono antenne che deve avere il regista.
Claudia Gerini racconta che in Viaggi di nozze si è spaccato la schiena.
Non è proprio così: tempo prima, mentre stavo tornando a casa, con la moto, sono finito in un burrone: il colpo è stato devastante ed era l’una e mezza di notte; non passava nessuno, per quasi due ore sono rimasto immobile per i dolori.
Proprio quella volta da solo…
Per salire a casa ho impiegato un’altra ora; (cambia tono) poi mentre giravamo il film la scena del tuffo in piscina è stata la batosta finale: terminate le riprese mi sono operato.
Per molti suoi colleghi lei è un grande attore.
Di questo non me ne rendo conto: mi guardo, credo di essere bravo, di avere dei buoni tempi, ma non vado oltre nel giudizio. (ci pensa) C’è un film che non riesco a criticare, anzi un episodio dove mi considero perfetto: in Grande, grosso e Verdone quando con Claudia Gerini e Lele Propizio non trovo un errore; se mi capita di guardarlo, per me è una goduria.
Sono 40 anni da Acqua e sapone…
Ha una sua poesia, c’è grazia, tenerezza con un tono favolistico.
Il tema del film oggi avrebbe dei problemi.
Non lo potrei girare, perché parla di un ragazzo che finisce a letto con una diciassettenne; quando l’ho rivisto ho pensato: “Che coraggio!”. Ma nessuno mi diceva niente, neanche il produttore e adesso altri miei lavori non si potrebbero girare.
Tipo?
Penso a Gallo cedrone o a Compagni di scuola per il personaggio interpretato da Alessandro Benvenuti sulla carrozzina; mi hanno criticato pure Si vive una volta sola e ho risposto “guardate che parliamo di quattro medici cretini, di quattro soli e superficiali”.
Come sta il suo colon?
Quello degli artisti dà sempre una rottura di palle: più viaggi e promozione fai, più giornate stressanti vivi e più stai in crisi (e spiega nel dettaglio quali medicine prendere).
Tutti le chiedono consigli su medici e medicine…
Continuamente; oggi ho pure spiegato a un’amica come curare il colesterolo.
Chi è lei?
Un gran lavoratore, uno che ha dedicato tutta la sua vita al pubblico, mi sono consegnato a loro e poco a me.
Anche questo lo affronta nella serie…
Ed è la verità e in qualche modo è una forma di tristezza; per carità sono felicissimo di aver portato felicità in tante persone, dell’affetto che ricambio, però ho tolto tanto a me stesso.
Troppo?
Anche troppo.
Ha creato una maschera.
Pure qui: non me ne rendo conto e forse è la mia fortuna perché non mi sono mai sentito arrivato; ogni volta che inizio un progetto è come se fossi ancora ai tempi di Un sacco bello; non è vero che entro più sicuro.
Un primo giorno di set non sarà uguale a quello di 40 anni fa.
No, ho maggiore esperienza ma resta l’ansia che inizia a montare sette giorni prima e mi ripeto “questa volta lo sbaglio”.
L’ultimo giorno di set?
Il più bello di tutti, sono felicissimo perché ho scavalcato la montagna e scatta la frase “anche questa volta ce l’ho fatta”; (pausa, torna a prima) però ho davvero dedicato poco temo a me stesso.