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 2023  settembre 23 Sabato calendario

Una, nessuna centomila Abramovic

The spirit in any condition does not burn, ossia «Lo spirito in qualsiasi condizione non brucia». Chi, da oggi e fino al primo gennaio 2024 varcherà la soglia della Royal Academy di Londra si troverà davanti questo energetico memento mori. L’autrice della massima è la diva per eccellenza del contemporaneo, la prima artista donna alla quale la prestigiosa istituzione londinese, fondata nel 1768 dal re Giorgio III, abbia aperto nei suoi 255 anni di storia le sue gallerie principali per una mostra. Ora la mostra, prevista per il 2020 ma poi rimandata per via del Covid, c’è e si intitola semplicementeMarina Abramovi?.
Ripercorre l’intera carriera dell’artista di origine serba che dagli anni Settanta in poi ha cambiato il significato della performing art,ed è insieme una mostra manifesto e una mostra bilancio. Perché, arrivata a 76 anni e reduce da un problema di salute che poteva costarle la vita, Abramovi? si guarda indietro per guardare avanti. Lo fa nell’intervista esclusiva al curatore e amico Shai Batel che pubblichiamo in copertina su Robinsonin edicola domani con Repubblica, e lo fa portando nelle raffinate sale della Royal Academy più di mezzo secolo di intuizioni disturbanti sulla natura umana, l’ambiguità delle relazioni amorose, il nostro rapporto con un sé che cambia man mano che avanziamo nel percorso dell’esistenza. Seduta al centro dell’auditorium della Royal Academy, imponente e maestosa ma con nello sguardo una fragilità e un’ironia nuove, è lei stessa a ribadire, presentando la retrospettiva insieme al curatore Andrea Tarsi, il suo rapporto speciale con la sofferenza, che ha reso materia della sua pratica artistica. Nota che il suo lavoro, come molta storia dell’arte, ha a che fare con le paure primarie, del dolore e della morte; eppure oggi lei, che nelle sue performance si è lasciata letteralmente avvolgere dal fuoco, spiega che ciò che davvero spaventa è il dolore emotivo, non fisico. Poiché la vita le è stata restituita vuole godersela, afferma ridendo a chi le chiede quali sono i suoi programmi, e mettere un po’ di humour in ciò che creerà d’ora in poi, sperimentando nei campi che ha scoperto negli ultimi anni; a novembre porterà qui a Londra, alla Royal Opera House, il suo spettacolo
7 Deaths of Maria Callas,ideato nel 2020. Aggiunge che per ragioni di salute, ma anche per la volontà di formare una nuova generazione di artisti, non sarà lei in questi mesi a replicare nelle sale del museo le sue performance più celebri: a partire da Imponderabilia del 1977, messa in scena per la prima volta a Bologna, che la vedeva nuda con il compagno Ulay sulla soglia diuna porta: chi voleva entrare nella sala successiva doveva passare in mezzo ai loro due corpi nudi, sfiorandoli. Chi ora entra in mostra la vede subito da lontano, la coppia che replica Impoderabilia;il giovane uomo e la giovane donna nudi sulla soglia non hanno forse la presenza scenica e la sfrontatezza degli originali, ma la forza dell’idea, e la sorpresa imbarazzata di chi li sfiora, è la stessa.
La sfida di questa retrospettiva è tutta qui: raccontare in un unico spazio e in un unico momento un’arte, come quella di Marina, che è un’arte della resistenza, del mettere a dura prova il corpo dell’artista e lo spirito dello spettatore in un tempo lungo, a volte insopportabilmente lungo perché, l’ha detto lei stessa, in quel tempo lungo «non puoi fingere». Gli stratagemmi ideati per l’occasione funzionano? Si direbbe di sì, e riescono anche a raccontare l’evoluzione di un rapporto col pubblico che è consustanziale a ciò che lei definisce “viaggio”, la sua esplorazione dei limiti della fisicità e della mente che dura da quando era una giovane performer nella Iugoslavia di Tito.
Seguendo un ordine tematico e non cronologico, in cui l’esemplare chiarezza dell’apparato didascalico permette tuttavia di rintracciare le tappe della sua biografia, le prime sezioni riguardano proprio la partecipazione del pubblico (Public Partecipation ) e l’irrompere del corpo in primo piano (Communist Body ). Così per ricordare lo shock provocato da Rhythm O,la performance di sei ore allo Studio Morra di Napoli nel 1974, ci sono sì le foto scattate all’epoca in galleria ma soprattutto, disposti su un lungo tavolo sopra una tovaglia bianca, i 72 oggetti di “dolore e piacere” che il pubblico poteva usare su di lei, inclusi coltelli e catene. Se la si confronta con un altro suo gesto artistico, The artist is present al MoMA di New York del 2010, raccontato qui da schermi video con intensi primi piani di chi le si è seduto di fronte in silenzio, non è difficile notare comenel tempo questo legame così profondo con chi guarda, assiste, partecipa si sia fatto forse meno violento, in qualche modo più premuroso.
Del resto, in mostra c’è spazio per il privato dell’artista reso riflessione collettiva, di nuovo attraverso la dinamica del gesto (o dell’immobilità) ripetuto in pubblico: che si tratti della sua giovinezza e delle sue memorie familiari (è riprodotta qui Balkan Baroque, ideata per la Biennale di Venezia del 1997) o della relazione con l’artista Ulay, scomparso nel 2020 e protagonista con lei di imprese epiche: i viaggi per il mondo sul van Citroën a fine anni Settanta e i tanti lavori in coppia; Da Breathing in, breathing out (1977) a Light Dark(1978) fino a quella lunghissima marcia d’amore e d’abbandono che è The Lovers. The Great Wall Walk che nel 1988 li vide incontrarsi dopo 90 giorni di cammino sulla Grande Muraglia. L’opera Portal(2022) in selenite, acciaio, alluminio e led, è una delle tante opere “fisiche” in mostra a raccontare di un’Abramovi? che negli ultimi decenni ha riflettuto sul legame con la natura e la sua forza. Il dolore è un portale, ribadisce Marina. A volte, dall’altra parte c’è la gioia.