la Repubblica, 23 settembre 2023
Pame e Mussolini
I o gli credo, al panettiere di Arezzo che mette il pane dentro buste di carta con frasi di Mussolini ispirate alla “battaglia del grano”, e quando glielo fanno notare cade dalle nuvole, lui voleva solo «valorizzare i prodotti locali, di tutto il resto non mi interessa».
Gli credo, cioè non credo che sia un fascista. Credo che, come molti milioni di italiani, non abbia gli strumenti per giudicare. Che questi strumenti non gli siano stati dati, oppure non ne abbia mai avvertito il bisogno, poco cambia. La realtà è che un sacco di brava gente, e sottolineo brava gente, ignora la nostra storia (ovvero: ignora la SUA storia) e pensa solo a lavorare e stare in pace, «il resto non mi interessa».
Il panettiere è un lavoro duro, bello e duro, uno di quei lavori che bastano a dare un senso. Bisogna sapere di farine e di temperature, di lieviti e di cotture, non si può biasimare un panettiere solo perché non riconosce a naso l’orribile retorica di quei versetti tronfi e mediocri (questo è il fascismo: tronfio e mediocre) sul pane “ricchezza della patria / il più santo premio alla fatica umana”. Non lo si può biasimare, al massimo ci si può dolere della nostra spensieratezza irrimediabile, il non sapere e il non voler sapere come tratto essenziale della mentalità italiana.
Che l’estensore di quei versi melensi sia anche l’ispiratore di Hitler, il deportatore degli italiani ebrei e dunque traditore della patria per eccellenza, il boia che ha mandato a morire in Russia decine di migliaia di soldati (figli del popolo) armati male, non è un dato a disposizione degli italiani del terzo millennio. No, non lo è: con l’eccezione degli ostinati (anche panettieri, mica solo professori) che vogliono sapere come andò davvero; e come vissero i loro padri, madri, nonne, nonni.