Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 23 Sabato calendario

Mille e una Magnani

Forse non basta mezzo secolo per comprendere quali siano stati i vertici e gli abissi di Anna Magnani. Un’attrice che ha annoverato vittorie e sconfitte, film belli e film brutti, restando sempre ineguagliabile, e per certi versi incatalogabile: capace di passare dal teatro classico al varietà, dalla commedia brillante al dramma, dal cinema leggero all’indiscusso manifesto del neorealismo che è Roma città aperta. «Una donna di cappa e di spada», diceva di lei il suo compagno d’arte Totò. «Un’attrice così potente da diventare autrice del suo personaggio, come e più di me che l’ho diretta» chiosò Luchino Visconti, che l’avrebbe voluta per Ossessione (ma lei era incinta di cinque mesi e fu costretta a rinunciare al ruolo) e che poi la diresse in Bellissima.
Chi era Anna Magnani? La signora dalla bella casa sui tetti della capitale, che conversava con il suo vicino, il pittore e scrittore Carlo Levi? La gattara romana che di notte girava per le rovine del centro storico portando cartate di cibo ai randagi affamati? L’italiana che aveva affascinato il drammaturgo Tenessee Williams, che per lei aveva scritto La rosa tatuata, cercando di convincerla a debuttare a Broadway, e che poi si era «rassegnato» a farne un film? La donna migrata a Hollywood piangendo tutte le sue lacrime alla partenza della nave a Le Havre e che poi – prima interprete non di lingua inglese – nel ’56 ha vinto l’Oscar? Il personaggio del mondo dello spettacolo al cui funerale la folla radunata a piazza della Minerva – la piazza era gremita, e un filmato su you tube lo testimonia – comincia spontaneamente ad applaudire, scandendo a colpi di battimani l’uscita della bara dalla chiesa, come se si fosse alla fine di uno spettacolo? Oggi non c’è funerale di un personaggio caro al pubblico in cui non parta l’applauso. Ma la prima volta è accaduto là, a piazza della Minerva. Per lei.
Questo e molto altro, è stata Anna Magnani. Anche sul fronte di quelle che oggi si chiamano «le battaglie di genere»: capace di imporre il suo viso angoloso e il suo personale profilo in un’epoca – a cavallo fra gli anni 30 e 40 – in cui dalle donne si pretendeva la boccuccia a cuore e i boccoli. «Non è stato facile: mi offrivano sempre ruoli di prostituta o di artista del varietà» ammetterà poi. In quell’epoca di perbenismo in orbace ha avuto il coraggio leonino di legarsi a un uomo di otto anni più giovane di lei, Massimo Serato e di farci un figlio. E ancora: Magnani è stata la prima donna a pagare gli alimenti al suo ex– marito, il regista Goffredo Alessandrini, figlio d’una famiglia importante, autore di rango, uomo in eterna ricerca d’avventure, e da vecchio ridotto in miseria e dunque considerato dai giudici «il coniuge più debole».
Si è molto parlato dei suoi celebri amori: per Rossellini, che la abbandonò per la Bergman e con il quale ingaggiò quella che venne soprannominata «la guerra dei vulcani»: lui che girava a Stromboli e lei che recitava a Vulcano per la regia di William Dieterle. Ma troppo poco si è ragionato sulla sua bravura, dandola per scontata. Attrice dotata di un empito solo apparente, in realtà studiatissimo. Con una voce perfettamente impostata, ma capace di colorirsi nel dialetto quando il ruolo lo richiedeva. «Regina, ma all’occorrenza popolana» diceva di lei la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, sua amica per tutta la vita. Eppure, dopo il fondamentale urlo del neorealismo, era stata messa da parte. Troppo personale, troppo ingombrante, troppo altera e assieme troppo plebea, Magnani era figlia di un cinema che negli Anni 60 trovava sempre meno spazio: si affacciavano le inquietudini borghesi, i disagi sotterranei. Oppure trionfava la crudele e azzeccatissima commedia all’italiana, capace di raccontare i vizi e gli sfizi della nuova società, coniugandoli attorno ad antieroi maschili come Gassman, Manfredi o Sordi.
Oggi, a cinquant’anni dalla sua morte, la Magnani non ha eredi. Ma lascia in eredità un modo di attraversare lo schermo, che unisce professionismo e disobbedienza, piglio e disciplina, originalità e un certo inaspettato candore. Una eredità raccolta in molte latitutidini: Frances McDormand (tre Oscar come attrice e uno come produttrice) ha più volte dichiarato di avere in Magnani un esempio e una ispirazione, Penelope Cruz ha fatto altrettanto, anche su suggerimento di Pedro Almodovar. Ad Anna Magnani, che per tutta l’esistenza ha sfoderato le proprie contraddizioni, quel mirabile impasto di forza e di fragilità, di sentimento e di cinismo, si comincia a restituire quel che si è sempre meritata: è di prossima uscita un volume di Bianco e Nero a cura di Alberto Crespi, tutto dedicato a lei. Senza contare le tante biografie, a partire da quella, recentissima, che io stessa le ho dedicato, ampliando per Vallecchi un libro di molti anni fa’: Tutto su Anna, la spettacolare vita della Magnani. E pensare che quando proposi quel progetto, furono in molti a rispondere «Magnani? Non interessa a nessuno». Oggi, a mezzo secolo di distanza dalla morte, Magnani interessa al mondo intero. «Tiè» avrebbe esclamato lei. —