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 2023  settembre 23 Sabato calendario

Quanto ci costano i giudici

C’erano rimasti in cinquemila, fregati dal fallimento dei Viaggi del Ventaglio, marchio storico delle vacanze tuttocompreso, andato gambe all’aria nel lontano 2010: gente che aveva già pagato albergo e club, e che non era riuscita neanche a decollare. E i soldi? I malcapitati avevano provato senza grandi speranze a chiederli al curatore fallimentare. Invece li riavranno: ma dallo Stato. Il motivo? A tredici anni di distanza dal crac, la procedura fallimentare di alcune società della galassia è ancora aperta, per altre si è chiusa nei mesi scorsi: tredici anni di durata. Certo, procedura complicata, tragicamente rallentata dall’assassinio del giudice delegato Fernando Ciampi nel 2005. Ma tredici anni sono comunque una infinità. Così i creditori hanno fatto causa allo Stato, in massa, sommergendo di decreti ingiuntivi il ministero della Giustizia, come prevede la legge sulla «irragionevole durata dei processi», la cosiddetta legge Pinto. E stanno ottenendo a spese della collettività i soldi che la macchina della giustizia non è stata in grado di recuperare in un tempo decente.
Il «caso del Ventaglio» da mesi toglie i sonni all’Avvocatura dello Stato di Milano, chiamata a fronteggiare i ricorsi in massa dei vacanzieri, organizzati da avvocati specialisti: i ricorsi arrivano per blocchi, in ordine alfabetico. Quasi sempre non resta che pagare, perché ogni ricorso costa allo Stato altre valanghe di quattrini. Il paradosso è che se la procedura fallimentare si fosse chiusa nei tempi previsti dalla legge, probabilmente i vacanzieri non avrebbero visto un euro, perché i loro crediti sarebbero finiti in coda alla lista. Invece è andata a finire che il risarcimento lo hanno avuto dalla collettività.
Un caso eccezionale? Purtroppo no. Anzi. La lentezza cronica della giustizia italiana dissangua implacabilmente, ogni anno, le casse del ministero di via Arenula. A ogni inizio di anno, dal ministero vengono già inviate alle corti d’appello i soldi destinati ai risarcimenti – considerati ineluttabili – causati dai processi lumaca. Il numero degli italiani che fanno causa allo Stato per venire indennizzati per l’attesa infinita di una sentenza è impressionante. Bastino, ad esempio, i dati della Corte d’appello di Milano, che pure è tra le più veloci del paese. Negli ultimi tre anni sono stati emesse 1.892 decreti ingiuntivi (il record nel 2021, con 837 decreti) che hanno costretto lo Stato a versare quasi 13,8 milioni di euro, cui vanno aggiunti 1,3 milioni di spese legali.
Se si confrontano i dati milanesi con quelli nazionali, c’è da mettersi le mani nei capelli. Nello stesso triennio 2020/2022 il totale nazionale dei risarcimenti è di 266.861.606 euro, una voragine nei conti pubblici. Dal ministero non viene fornito il dato diviso per territorio, ma è di pubblico dominio che le situazioni più incredibili sono concentrate nel Mezzogiorno, ma comunque, ognuna per la sua parte, tutte le sedi giudiziarie d’Italia contribuiscono – sforando di anni il limite della «ragionevole durata» – al disastro contabile che un addetto ai lavori definisce «l’ecobonus della giustizia». Il totale complessivo a partire dal 2015 assomma alla cifra astronomica di 781.481.594 euro, in continua crescita. Di questo passo, il traguardo del miliardo di euro è a portata di mano.
Si parla di giustizia civile, quella che a più riprese è finita nel mirino dell’Europa, e i cui tempi lunghi sono da sempre considerati un grosso ostacolo agli investimenti stranieri nel nostro paese. I magistrati dicono da sempre che i termini della legge Pinto sono troppo stretti, e che per esempio i sei anni di durata di una procedura fallimentare sono – in casi appena un po’ complessi – impraticabili. Ma sta di fatto che a gonfiare il totale dei risarcimenti fino a ridosso degli ottocento milioni di euro contribuiscono cause di ogni genere, di cui solo una parte può giustificare tempi lunghi. Di riforme se ne sono annunciate a ripetizione, l’ultima che affidava al cosiddetto «ufficio del processo» l’accelerazione dei tempi non sta dando i risultati sperati. E il test di produttività per i magistrati continua a essere un’utopia.