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 2023  settembre 22 Venerdì calendario

Intervista a Matteo Bocelli

Più semplice iniziare, da figlio d’arte, molto più facile essere giudicato.Matteo Bocelli lo sa: «Cerco di fare le mie cose, la sfida è anche con me stesso. Porto un cognome importante, sono sempre grato al babbo». Alto come un giocatore di basket, i modi da principe della Disney, maglietta e pantaloni neri, questo ragazzo educatissimo e rispettoso, che l’8 ottobre compirà 26 anni e fa fatica a dare del tu, spiega sorridendo: «Certe volte mi rendo conto di essere quasi fuori dal mondo, ma abbiamo ricevuto una certa educazione dal babbo, basata sul rispetto e sulle regole. Va bene così». Il babbo è Andrea Bocelli, con cui ha duettato a Sanremo e in giro per il mondo. Oggi il figlio d’arte pubblica il primo album, Matteo con Capitol Records. Dodici canzoni, in inglese e in italiano e il contributo, per la scrittura e la produzione, di Ed Sheeran e del fratello Matthew. Lo aspetta un tour mondiale, trenta date, che toccherà anche gli Stati Uniti. Ma prima le tappe in ltalia: il 24 ottobre a Milano al Teatro San Babila e il 25 ottobre a Roma, al Ghione.Preferisce cantare in inglese o in italiano?«La lingua non è importante, sono di madrelingua italiana ma per me è naturale esprimermi in tutte e due le lingue. Il testo è una delle cose che ti aiuta nell’interpretazione del brano: più è profondo, più riesci a trasmettere le emozioni».Sa che è circolato il suo nome per il Festival di Sanremo?«Lo voglio affrontare in maniera serena, semplicemente ho bisogno di un brano che sia giusto. È presto.Proprio perché è un palco che rappresenta la storia della musica non lo snobbo. Lo rispetto».L’accensione dell’albero a Rockefeller center, lei, papà, sua sorella, tutti vestiti di bianco: l’immagine della famiglia perfetta.Davvero siete così?«Mi piace ripetere una frase di mio fratello Amos, laureato in Ingegneria aerospaziale e con studi di pianoforte al Conservatorio: “Sono un po’ stufo di tutti questi discorsi, far finta che la nostra sia la famiglia del Mulino Bianco”. Ecco, non siamo la famiglia del Mulino Bianco. Ma a babbo piace divulgare questa immagine, i valori positivi. Alla fine siamo umani, la cosa che mi dispiace è di avere due sorelle piccole e – per la vita che faccio, gli spostamenti – non posso condividere tempo con loro».In “Fasi” canta: “Voglio restare come un cane sull’erba quando mi sento giù / Oggi anche i consigli di mio padre non li voglio ascoltare”.Le è mai successo?«Sì, se no non avrei messo questi pensieri in un brano. Ho un legame forte con babbo, è una persona che stimo. Nonostante i lunghi e tanti viaggi, è sempre stato molto presente, ha tenuto alla crescita dei figli, a trasmettere i valori. Poi si cresce e in tutti i figli c’è la fase naturale della ribellione, non si può sempre andare dietro ai genitori. È giusto che ognuno faccia a modo suo».Si fa fatica a immaginarla ribelle: come manifesta la rabbia?«Sono più per chiudermi. Tengo dentro le cose, magari scoppio e ledico tutte insieme. Alla fine credo di essere un libro aperto».Prima la collaborazione con Mahmood, ora nel nuovo disco quella con Ed Sheeran: com’è nato il rapporto?«È un vero privilegio, sono sempre stato un suo grandissimo fan.Quando si urla al cielo un desiderio resta nell’aria e alla fine accade. La primissima volta ho visto Ed a Toronto, apriva il concerto di Taylor Swift, ci ero capitato con delle amiche. Poi l’ho incontrato a Milano, e quando venne a casa per il duettoPerfect symphony con babbo».Per lei ha scritto “Chasing stars”, che è romantica, come quasi tutti i brani del disco.«È una melodia semplice come quelle di Ed, che sono pure, mi colpisce la sua capacità di parlare al cuore. Abbiamo in comune genitori ci hanno trasmesso l’amore grande per la musica».Papà cosa dice del fatto che ora gira il mondo da solo?«Lo rende fiero, è orgoglioso che sia indipendente ma penso che sia combattuto. Ci ha sempre voluti vicini a lui, è un cane che si morde la coda. Per esempio dovevamo stare a tavola tutti assieme, per lui è un momento importante per parlare e confrontarsi».E del disco che ha detto?«Sul progetto generale, una sola battuta: “Alzo le mani non sono la persona adatta a cui chiedere consigli, ti posso dire mi piace non mi piace il brano”. Il pop non è proprio il suo genere anche se è curioso, ora scoprirà il disco».Per lei quale è la cosa più importante?«Potermi esprimere, crescere, avere la libertà di farlo anche se mi chiamo Bocelli e ho tutti gli occhi puntati».Teme il palco?«Soffro l’ora prima dello spettacolo, fino a quando salgo sul palco e canto la prima canzone. Poi mi tranquillizzo, mi sento a mio agio e godo, perché cantare davanti al pubblico è un’emozione bellissima».Ascolta anche il rap?«Sono cresciuto ascoltando anche Eminem, Jay-Z, Kanye West. Ma ho aperto due concerti di Lionel Richie, un genio, tutt’altro genere, una produzione fantastica».Chi apprezza tra gli italiani?«Mengoni è riconoscibile, apre bocca e ha una sua identità. Mi piace Ultimo, forse dovrei smettere di dirlo, mi ci rivedo tanto perché anche lui è un ragazzo romantico, ha una grandissima abilità di scrittura e di tirare fuori quello che ha dentro.Sono più attratto dalle voci maschili, quando si fa musica si seguono un po’ le voci simili, ma quando c’è il talento lo senti, “mission accomplished”, missione compiuta. Elodie è brava e ci metti che è pure bella. Elisa è forte anche nella scrittura e, nonostante tanti anni di carriera, ha tirato fuori brani stupendi».Ha fatto il modello, le piacerebbe anche recitare?«L’idea di fare l’attore mi ha sempre intrigato, ho avuto un ruolo in Three thousand years of longing di George Miller, un’esperienza incredibile.Nonostante sia abituato al mondo dello spettacolo, il cinema davvero è una cosa a sé».