Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 22 Venerdì calendario

La Brexit ci ha rubato la Storia


Secondo le stime, venerdì 27 luglio 2012 un miliardo di persone in tutto il mondo assistette a una celebrazione esuberante, spiritosa, poetica e spettacolare della Gran Bretagna moderna. Oggi, grazie a un video su YouTube, rivivo l’esperienza della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra. Da un rapido sguardo sulle bellezze naturali della valle del Tamigi si passa alla magia delle parole di Calibano nella Tempesta di Shakespeare: «Non devi aver paura l’isola è piena di rumori, / suoni e dolci arie che danno piacere e non fanno male». Enormi ciminiere emergono dal terreno dello stadio, simboleggiando la brutale energia della prima rivoluzione industriale capitalista. Lo spirito socialdemocratico del welfare state, all’opposto, viene espresso in un omaggio al National Health Service (NHS), il sistema sanitario nazionale britannico: alcuni bambini saltano su e giù da letti bianchissimi mentre infermieri e medici del Great Ormond Street Children’s Hospital ballano festosamente intorno a loro. Su un megaschermo vediamo James Bond – l’attore Daniel Craig – arrivare a Buckingham Palace a bordo di un taxi nero. Uno dei corgi di Sua Maestà esegue una capriola sul tappeto rosso. Poi la regina – non un’attrice, ma la regina che impersona sé stessa – in uno splendido completo color pesca, tutto seta, merletti, perle e piume, si volta dallo scrittorio a cui è seduta e dice: «Buonasera, signor Bond». Nella registrazione si sente chiaramente l’applauso che esplode nello stadio.
La sovrana e l’agente segreto escono insieme nel giardino del palazzo,salgono su uno scintillanteelicottero bianco e sorvolano Londra fino allo stadio olimpico. Bond apre lo sportello dell’elicottero. Salterà? Un lungo momento di suspense, con il fondo bianco del velivolo illuminato che si staglia nel cielo notturno. Poi è lei a saltare, l’abito color pesca che si gonfia fin sopra le ginocchia mentre piomba sullo stadio con il paracadute con la Union Jack.
In tutto il mondo, milioni di telespettatori trattengono il fiato. La regina viene seguita da Bond, al servizio non così segreto di Sua Maestà, l’agente 007 con licenza di divertire. Mentre la sovrana – la controfigura Gary (non Sean) Connery – plana, ascoltiamo l’inconfondibile tema martellante dei film di James Bond. Milioni di persone commentano, in cento lingue diverse,
der berühmte britische Humor, le
célèbre humour britannique, el famoso humor británico.
Ora gli altoparlanti dello stadio diffondono una voce che, in francese – alle Olimpiadi gli annunci sono sempre bilingui – chiede a tutti di alzarsi in piedi per S aMajesté la Reine, ed eccola lì, la regina, la sola e l’unica, nello stesso vestito color pesca. Nel sessantesimo anno del suo regno, il «giubileo di diamante», è probabilmente la donna più famosa del mondo.
Nella cerimonia orchestrata dal regista Danny Boyle viene rappresentato ogni Paese del suo regno multinazionale: l’Inghilterra da un coro di voci bianche che intona il grandioso inno patriottico Jerusalem e da filmati d’archivio del biondo giocatore di rugby Jonny Wilkinson che segna l’ennesima meta; l’Irlanda del Nord dalle note di
Danny
Boy e da una meta irlandese; la Scozia dall’inno della squadra di rugby Flower of Scotland e da una meta scozzese; il Galles da Guide Me, O Thou Great Redeemer e da una meta gallese. Uno speciale home international, come vengono chiamati gli incontri di rugby fra le home nations, le quattro nazioni che compongono il Regno Unito. Antico e moderno sono mescolati con cura. I rappresentanti degli immigrati afro-caraibici sono seguiti dai Chelsea pensioners, gli anziani reduci dell’esercito britannico ospiti del Chelsea Royal Hospital, nelle loro uniformi scarlatte.
Mentre riguardo la cerimonia di apertura del 2012, in un mattino umido e ventoso del 2021, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Lacrime di affetto per questa versione commovente e inclusiva della Gran Bretagna moderna, ma anche lacrime di tristezza per come l’abbiamo persa, con la Brexit e le divisioni che l’hanno accompagnata e seguita. All’epoca molti di noi credevano in questa visione di un Paese a proprio agio con sé stesso e con il suo posto nel mondo, fiero della propria storia insulare ma anche della diversità giunta con l’immigrazione, aperto all’Europa come ai paesi anglosassoni, creativo, inclusivo, economicamente dinamico ma anche attento dal punto di vista sociale, con umanità dickensiana e un senso dell’umorismo – forse la più grande risorsa naturale della Gran Bretagna – che spazia dall’ironia garbata alla demenzialità dei Monty Python. Era solo un’opera teatrale, una fiaba, un mito? Ma un mito condiviso da un numero sufficiente di persone è anche una realtà. Una realtà fatta della stessa sostanza delle nazioni.