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 2023  settembre 21 Giovedì calendario

Biografia di Carlo Bonomi


Ma povero Carlo Bonomi, il presidente degli industriali che fabbricano il Pil della Nazione, persino a dispetto delle moleste interferenze sindacali, fiscali, politiche, climatiche, costretto a chiedere, lui in persona, un appuntamento, se non proprio una raccomandazione, alla sua amica Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca scientifica, per scovare una chiave alla serratura che più di tutto, in questi tempi grami di invidiosi, lo imprigiona: essere un “ragioniere non laureato”, oltre che “un imprenditore senza impresa”, come vanno cianciando i suoi peggiori nemici. E dunque unfit to lead, inadatto a governare il celebrato vivaio dei laureandi che si coltiva tra i cristalli della Università Luiss di Roma. E dopo la raccomandazione, costretto, ancora lui, a chiedere un parere legale a due avvocati d’alto rango, Gennaro Terracciano e Francesco Di Ciommo, se sia possibile smontare, abolire, o meglio ancora sciogliere nell’acido il comma 9 della legge che impone una laurea a chi vuole (vorrebbe) pascolare l’ambito gregge dei laureati.
La storia è presto detta. Bonomi sta per scendere dal cavallo a dondolo di Confindustria che cavalca dall’aprile del 2020. Ma per non restare a piedi vorrebbe quello dell’Università di proprietà confindustriale, intitolata a Guido Carli, che garantisce una foresteria, un ufficio in sede, una segretaria, un autista, un intero calendario di coffee-break con biscotti e nutrienti relazioni. Multiplo giocattolo già scelto da quasi tutti gli ex presidenti degli industriali italiani – Luca di Montezemolo ed Emma Marcegaglia compresi, per dire – che a fine mandato hanno smaltito la malinconia per il potere appena diventato sabbia nella clessidra, indossando quell’ermellino di così alto prestigio. Perché loro sì e lui no?
Il comma dice che non può. Il cuore lo pretende. Come si fa? Deve avere provveduto alla ricerca di una via d’uscita il suo personale ghostwriter, Oscar Giannino, veterano dei non laureati, nonché specialista in economia, già celebrato per i suoi vestiti da domatore di pulci, che a suo tempo imbrogliò sui master conseguiti a Chicago e le lauree in patria. Confessò: “L’ho fatto per il mio complesso di inferiorità”.
Stessa musica sullo spartito più intimo di Bonomi, che però mai ha suonato in pubblico la confessione, quando il Fatto Quotidiano lo ha scoperto e scritto. Con così tanta risonanza che una mano amica ha fatto il prodigio di cancellare dalle pergamene ufficializzate dalla Rete, l’ambito titolo di “dottore”, circonfuso da un qualche timido accenno a una laurea in Economia e Commercio e a una misteriosa “specializzazione a San Diego”.
Niente, c’è stato un errore, Houston. Ma non per questo ci si dovrà incanaglire sul suo gramo destino. Quello di tornare alle nebbie di Crema, tra gli spinterogeni dell’elettro-bio-medicale, che governava da azionista minore di un paio di piccole imprese, la Synopo e la Sidam, 130 dipendenti, 26 milioni di fatturato, prima di ascendere tra gli attici del potere romano, dove aziende di quel calibro galleggiano comode tre le olive dell’aperitivo.
Carlo Bonomi, anno 1966, zazzeretta, occhiali, sorriso d’immobilità orizzontale, perviene al mondo quando dalle profondità del suo sport preferito, le immersioni subacquee alle Maldive, diventa presidente di Assolombarda, giugno 2017, estratto da Gian Felice Rocca, Marco Tronchetti Provera, Alberto Bombassei, tutti giganti d’azienda, i veri titolari del cappello confindustriale.
Da subito Bonomi impara e ripete l’essenziale. Ordina: “Rimbocchiamoci le maniche”. Annuncia: “Abbiamo bisogno di una filiera-futuro”. Conferma: “Sono le imprese che creano ricchezza”. Garantisce: “Non vogliamo lo Stato padrone”. Ma intanto chiede soldi, sgravi fiscali, aiuti alle esportazioni, contributi agli investimenti, agevolazioni su energia, rimborsi su tutto. Un Monopoli di soldi veri che oscilla tra i 20 e i 30 miliardi di euro l’anno, e che purtroppo non sono mai abbastanza.
Tifa Inter, ma soprattutto la partita politica di Matteo Renzi, compreso il Referendum costituzionale con autogol incorporato. Plaude a Carletto Calenda e alla sua “Industria-quattro-punto-zero”. Detesta con tutti i pori Giuseppe Conte e i suoi governi. “Stupiteci!”, gli ha gridato dal palco di Milano, anno 2019, “ma non diteci che tasserete le merendine per ripianare i buchi in Alitalia!”. Un bel coraggio dopo la voragine lasciata dai 20 Capitani coraggiosi, tutti suoi compari confindustriali, scelti a buon rendere, da Silvio Berlusconi.
Nel cupo inverno del Covid, pretende i rimborsi della Cassa integrazione per le imprese, ma si arrabbia se vengono dati “soldi a pioggia” ai disoccupati e ai poveracci “nella logica del dividendo elettorale”.
Quando conquista la poltrona di Confindustria, 16 aprile 2020, siamo al Conte-2 e alla “politica che fa più danni del Covid”. Di nuovo incassa volentieri i miliardi dei ristori alle aziende. Di nuovo boccia il Reddito di cittadinanza e quello di emergenza. Grida, all’assemblea annuale degli imprenditori: “Non vogliamo diventare il Sussidistan!” e quando arrivano i 209 miliardi del Recovery, ribadisce a Conte “non si si risolve niente dando una goccia a tutti”.
La caraffa è per le imprese, sia chiaro, non per i poveri. E pazienza se negli ultimi vent’anni gli stipendi italiani siano cresciuti di un punto e mezzo, contro il 24 per cento della Germania e il 14 della Francia. Mentre l’evasione fiscale, calcolata intorno ai 100 miliardi l’anno, resta il doppio della media europea.
Guai a parlargli di salario minimo. E di scioperi che sono “lo stanco rito di sempre”. Gli piace il Superbonus, specialmente quando lo proroga Mario Draghi: “L’edilizia è il volano dell’economia, il motorino di avviamento dell’automobile Italia”. Ne chiederà la proroga a gran voce. Salvo ferocemente criticarlo oggi che il governo Meloni l’ha abolito.
Ricama relazioni come neanche le professioniste del tombolo. Colleziona cariche e pennacchi. È presidente dell’Ente Fiera di Milano. Siede nel Board della Bocconi, nei consigli degli istituti Ispi e Aspen che si occupano di politica internazionale. Come tutti i narcisi, ogni tanto inciampa nella propria ombra, come capitò lo scorso gennaio al Forum di Davos, quando si fece intervistare dalla moglie, giornalista del Tg5. Ma senza confessarlo in pubblico, che è sindrome di tutti i timidi, laureati e non.