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 2023  settembre 21 Giovedì calendario

Intervista a Christian Greco

«Ho un sogno nel cassetto – dice Christian Greco – Mi piacerebbe ricevere anche solo per pochi minuti la presidente del Consiglio qui, senza telecamere, né giornalisti. E raccontarle che cosa facciamo e perché la nostra istituzione può essere importante per aprire un dialogo. Giorgia Meloni è benvenuta. I musei sono ponti». Durante l’intervista, il direttore del Museo Egizio di Torino ribadirà più volte quest’ultimo concetto. Risponde con serenità, all’indomani delle polemiche sollevate dalle dichiarazioni dell’assessore al Welfare del Piemonte Maurizio Marrone, in quota Fratelli d’Italia: «Non confermerei Greco alla direzione del Museo Egizio di Torino. Ha doti manageriali non comuni, ma ritengo esistano figure potenzialmente più qualificate che sono state penalizzate». Forte della solidarietà incassata dall’intera comunità internazionale di egittologi, lo studioso ha tutta l’intenzione di portare a termine il suo mandato che, va ricordato, scadrà soltanto il 30 giugno 2025 e potrà essere riconfermato o meno solo dal cda del museo.
Direttore Greco, si sente sotto attacco?
«Assolutamente no. I toni usati sono stati urbani. È un’opinione personale, va benissimo. È plausibile che un componente della giunta regionale chieda conto dell’operato di un direttore. Sono d’accordo sul fatto che chi occupa una posizione come la mia possa essere messo in discussione tutti i giorni. Mi piacerebbe, però, che si facesse un discorso più ampio. Per me non si tratta di un attacco, ma di una sollecitazione per trovare modalità di valutazione del nostro lavoro. In questo caso, occorrono criteri condivisi da tutti i soci fondatori della Fondazione Museo Egizio di Torino, a partire dal ministero della Cultura. La politica deve decidere il metodo, ma poi la valutazione con criteri oggettivi spetta a terzi».
Non crede che in Italia la politica tenga da sempre sotto scacco la cultura? E che a ogni cambio di governo le istituzioni che tutelano il patrimonio italiano siano costrette a dover ricominciare daccapo?
«Quando nel 2014, nominato la prima volta a Torino, sono tornato da Leida, dove lavoravo, ho detto che in Olanda, in diciassette anni, non avevo mai visto un politico. La cultura appartiene a tutti.
Dovremmo tutti imparare – mi ci metto anche io – che siamo al servizio della cultura. Siamo custodipro tempore del patrimonio della comunità. Da parte mia, voglio che il museo sia la casa di ognuno.
Dobbiamo diventare più accessibili.
Non ci sono bandierine».
Lei è il direttore di un museo che vanta un patrimonio proveniente da un’altra cultura, da quel Nordafrica che oggi è al centro di vicende drammatiche che coinvolgono direttamente l’Europa.
«Sento questa responsabilità: essere il direttore di un museo in Italia conuna collezione che italiana non è. Per questa ragione un’istituzione come il Museo Egizio deve stabilire un ponte con l’altra sponda del Mediterraneo.
Oggi si parla tanto, anche l’attuale governo lo fa, della necessità di aprire un dialogo con il Nordafrica?
Ebbene noi siamo il partner ideale per farlo. Il Museo Egizio guarda a quella regione sentendo un obbligo di riconoscenza nei confronti del popolo egiziano, in particolare. Noi custodiamo questo patrimoniograzie a loro. Portiamo avanti uno scavo lì, manteniamo un dialogo costante. Con il Louvre, il British, il Neues di Berlino e il Museo delle Antichità di Leida abbiamo stretto un consorzio per lavorare accanto al Museo del Cairo di piazza Tahrir».
Nel 2018, la sua iniziativa del biglietto gratis per le coppie di lingua araba provocò le prime frizioni con la destra e con la non ancora premier Giorgia Meloni.
«Ognuno fa il suo lavoro. Siamotecnici, non politici. All’epoca ci fu un confronto con quella che ora è la presidente del Consiglio. Da ogni scontro c’è qualcosa da imparare. Adesso sarei felice di poter raccontare di persona a Giorgia Meloni quello che facciamo al Museo Egizio. È la benvenuta».
Entro novembre il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano dovrà nominare i nuovi direttori dei più importanti musei statali del Paese, a cominciare dagli Uffizi. Non c’è il pericolo che, dopo la Rai, la destra metta definitivamente le mani sulla cultura?
«Non c’è nessun pericolo. Il ministro Sangiuliano ha seguito lo stesso schema del suo predecessore. È stato fatto un bando internazionale. E la commissione che deve sottoporre la rosa dei candidati al ministro – anche io ne ho fatto parte in passato – lavora in maniera indipendente. Ho piena fiducia in questo. È un sistema ben ponderato».
Anche per la presidenza della Biennale di Venezia circolano nomi vicini al ministro.
«Che il ministro di turno scelga persone di fiducia e che stima non è un problema dell’attuale governo. Dovremmo chiederci semmai se una determinata carica debba essere scelta soltanto da un ministro. Ma poi perché continuare a dire “di destra” o “di sinistra”? Ci si dovrebbe solo domandare se qualcuno è capace o meno rispetto al ruolo da ricoprire. In questi giorni, sto lavorando a un manuale di storia dell’arte con Luca Beatrice. Siamo lontani per tante ragioni: io dico che l’arte muore con la XVIII dinastia… ci compensiamo. Lui ha tanto da insegnarmi. Poco importa che cosa una persona voti, quando si ricopre un ruolo istituzionale. Una polifonia di voci al servizio delle istituzioni culturali può essere soltanto vantaggiosa. Spero che tutti i partiti sappiano fare un passo indietro e riconoscere la competenza dei singoli».
Il direttore del Museo Egizio si sente tranquillo, insomma.
«Sono sereno e contento. Non sono spaventato. Mi ritengo fortunatissimo. Lavoro da nove anni qui. L’anno prossimo festeggio i dieci anni e i duecento del Museo. Quanti egittologi hanno lavorato per tutto questo tempo di fila? Anche se domani il ruolo mi venisse tolto, sarei comunque grato alla vita. La ricchezza che mi ha dato l’egittologia è impagabile. Per sua stessa natura è una scienza internazionale. E poi, quando ho voglia di scappare dalla contemporaneità, l’egittologia è un posto perfetto dove rifugiarmi».
Ha 48 anni, ci sarà qualcos’altro che vuole realizzare.
«Ma certo, ho tanto da fare. C’è un museo che deve cambiare ancora. Mi farebbe piacere reperire le risorse perché fosse l’ingresso fosse gratuito per tutti. E poi sogno di creare il Museo Egizio del futuro, usando le nuove tecnologie al servizio dei beni materiali, fondare uno spazio virtuale dove ripristinare contesti e continuare a raccontare le memorie del futuro. Assicuro che ho un’agenda fitta per i prossimi trent’anni».