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 2023  settembre 21 Giovedì calendario

Il feeling tra Roma e Parigi

Il momento più recente è stato il «vertice dello spritz» (come lo hanno chiamato i giornali inglesi), quando Giorgia Meloni e il premier britannico Rishi Sunak si sono ritrovati assieme per un aperitivo a Delhi, a margine della riunione del G20 (in realtà l’Aperol lo ha preso solo lei, lui è astemio). Ma il rapporto fra i due capi di governo, entrambi quarantenni ed entrati in carica pressoché allo stesso tempo, è strettissimo, frutto oltre che di grande sintonia politica anche di una incredibile chimica personale (come hanno raccontato i consiglieri di Downing Street, l’incontro a Londra ad aprile fra i due era «quasi imbarazzante, sembravano due piccioncini che tubavano»).
Ma in realtà la relazione attuale fra Gran Bretagna e Italia va al di là di quella fra i due leader: il vicepremier britannico Oliver Dowden, aprendo la settimana scorsa l’annuale Conferenza di Pontignano, l’ha definita una «partnership strategica», un momento eccitante nel rapporto fra i due Paesi. I pilastri su cui si fonda sono molteplici: a febbraio c’era stata la visita in contemporanea a Roma di ben tre ministri di Londra (Esteri, Difesa e Commercio), un evento senza precedenti coronato dalla firma di un ampio accordo di cooperazione economica; a fine aprile la leader del nostro governo è andata a Londra a siglare un Memorandum di intesa che fissa la cornice per una stretta collaborazione a tutto campo; procede spedita la sinergia per lo sviluppo del super-caccia da combattimento di nuova generazione, il progetto già noto come Tempest; e si sta finalizzando un accordo di cooperazione in materia scientifica e di ricerca, che dovrebbe essere firmato nella primavera prossima (il primo di questo genere fra la Gran Bretagna e un Paese europeo). Poi c’è il dossier immigrazione, che vede i due Paesi confrontarsi con sfide simili (gli sbarchi attraverso la Manica e nel Mediterraneo) che richiedono coordinazione nell’affrontare i flussi a monte, nei Paesi d’origine. E infine la guerra in Ucraina, laddove Londra, strenua sostenitrice di Kiev, mostra grandissimo apprezzamento per la linea «robusta» adottata da Giorgia Meloni.
Soprattutto però, agli occhi dei britannici, dopo la Brexit l’Italia riveste un ruolo particolare: secondo loro il nostro Paese, dopo la loro uscita, ha assunto nella Ue quello che era tradizionalmente il ruolo di Londra, ossia una grande nazione che non è automaticamente parte dell’asse franco-tedesco e che gioca la parte, se vogliamo, del terzo incomodo. I britannici vedono l’Italia come un Paese aperto, che guarda anche oltre la Ue – come fanno loro – e che è in grado di far emergere soluzioni che non siano quelle pre-confezionate nei corridoi di Bruxelles, ma che abbiano una maggiore legittimità democratica: un punto di riferimento anche per gli altri Paesi europei – come lo era Londra quando stava nell’Unione – che non vogliono sottostare ai diktat franco-tedeschi.
In quest’ottica per i britannici, dopo la Brexit, l’Italia rappresenta il loro punto d’ingresso nella Ue, la leva per far passare posizioni che loro vedono con favore: «Voi capite il nostro punto di vista», dicono, e se pubblicamente il governo di Londra professa amicizia con tutti, dietro le quinte ci sono ministri che ammettono sorridendo che l’Italia è il loro Paese preferito. Particolare attenzione Londra la appunta sulla presidenza italiana del G7, l’anno prossimo: e apprezzano il fatto che Roma voglia fare dell’immigrazione uno dei punti focali.
Un gioco di sponda, insomma, che regala a Roma un ruolo speciale. Ma resta da chiedersi: conviene all’Italia, alle prese con una dialettica non facile con Bruxelles e le altre capitali europee, fare triangolazioni esterne, che se da un lato arricchiscono la dinamica politica, per altri versi potrebbero rivelarsi un boomerang? È un crinale stretto da percorrere con attenzione ma con altrettanta cautela.