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 2023  settembre 21 Giovedì calendario

L’eroe bianc dell’apartheid

Non ci sono strade con il suo nome. E neanche pagine che parlano di lui sui libri di storia. Per i suoi è un traditore. Per tutti gli altri resta sempre solo un bianco di buon cuore. Ma niente di più. «Sailor» Malan aveva scelto la parte più scomoda. Che solo per i coraggiosi è anche l’unica. Adesso il Sudafrica lo ricorda con un docufilm. L’afrikaner discendente degli ugonotti che combatte l’apartheid. Quando dire «no» al razzismo non era un obbligo morale. Figuriamoci per un bianco. Voleva dire tradire la propria comunità, il volk, il popolo dei boeri. Lo fece con la forza della ragione. Senza ricorrere alla violenza. Lui che la guerra l’aveva conosciuta anche nei cieli di Londra. Pilota degli Spitfire che nel 1940 respinsero l’ondata degli aerei nazisti. Sapeva cos’è la tirannia. La prepotenza. L’odio. Tornato in Sudafrica voleva fare solo l’agricoltore. Ma la diseguaglianza era una pianta malata che metteva radici sempre più profonde. Per ironia della sorte a codificare il nuovo regime di segregazione razziale era stato un primo ministro che si chiamava come lui: Daniel Malan. Opporsi a lui significava rinunciare a tutto. Costringere anche la propria famiglia all’emarginazione e al disprezzo. «Sailor» Malan creò il Torch Commando. Illuminavano le notti davanti agli edifici governativi con le loro fiaccole. Erano reduci di guerra. Uomini che avevano combattuto il nazismo. Gente che
poteva restarsene comoda nella propria casa. Magari commuoversi se vedeva un nero che non poteva salire sui tram. Imprecare in silenzio e ringraziare il Cielo di essere nato nella parte fortunata del Sudafrica. Quando la lotta per i diritti degenerò anche nella violenza, Malan sciolse il Torch Commando. Morì di Parkinson. Ai suoi funerali lo Stato impedì gli omaggi a quello che era stato un eroe di guerra. Contava solo la «macchia» di aver scelto di difendere i deboli. Così andava (va) il mondo.