ItaliaOggi, 20 settembre 2023
Taiwan non è l’Ucraina
Ansa: Ministero della Difesa di Taiwan: «Rilevati 103 jet militari cinesi intorno all’isola». 103 aerei militari, anche ad essere solo caccia, anche ad essere obsoleti, sono una tale massa che chiunque avrebbe il diritto di sentirsi aggredito. Pechino vuol dire: «Ricordatevi che siete una provincia ribelle della Grande Cina, e un giorno o l’altro verremo a riprendervi». Ma ha senso tutto questo? Per cercare di capire bisogna risalire la filiera delle considerazioni fino alla radice di tutto: la dittatura.
Dopo l’anarchia, la tirannia è il peggiore dei regimi. Essa carica un singolo uomo di tali responsabilità che raramente si trova un individuo capace di gestirle. Il massimo esempio positivo, in questo campo, è Ottaviano Augusto. E gli esempi negativi sono innumerevoli. Anche perché spesso il dittatore si crede un ideologo e si intestardisce in politiche demenziali: un buon esempio è Mao Tse Tung. Per non parlare di Pol Pot.
E, quando ci sono problemi in politica interna, il dittatore sogna di rifarsi con una gloria che, mentre lo rivaluterà agli occhi dei suoi sudditi scontenti, gli assegnerà un grande posto nella storia. Ma è nella politica estera che i problemi sono più seri: perché, se il dittatore ha diritto di vita e di morte sui suoi cittadini, non può imporre nulla agli altri Stati se non con la forza. E già questa è la storia di Putin, il cui sogno segreto è stato quello di ricostituire l’Impero Russo più o meno nei confini dell’Impero Sovietico. A questo scopo (forse pensando alla leggenda della rana bollita) ha agito con una pazienza e una gradualità eccezionali, a piccoli passi, in modo da indurre ogni volta l’Occidente a non allarmarsi per così poco.
Prima nel Caucaso, poi, con un colpo di mano, in Crimea. Qui l’Occidente un po’ si è allarmato, non ha riconosciuto lo stato di fatto conseguente, ha parlato di sanzioni, e tuttavia infine, per così poco, ha indotto l’Ucraina a inghiottire il rospo. Putin aveva vinto, ancora una volta. Ma nessuno lo vedeva come il restauratore dell’impero, al massimo come un sostenitore dei movimenti irredentisti. Così, contando sulla connivenza di molti ucraini ex clienti dell’Urss (non dimentichiamo che Khrushchev era ucraino) ha creduto di poter fare il colpo grosso: annettersi l’intero Paese senza molte difficoltà. Ha fatto la sua mossa ed ha così aggiunto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il resto lo conosciamo e possiamo tornare alla Cina.
Xi Jinping è l’attuale dittatore della Cina e si trova in cattive acque. Il grande Paese, forse non del tutto per colpa sua, va male, anche se male soprattutto rispetto ai grandi exploit del passato. Ma questa è la sensazione generale. Probabilmente perché Xi, oltre ad essere un dittatore in politica, è rimasto un marxista in economia, e questo provoca danni. In questi casi si sa che la soluzione più semplice è creare un nemico esterno e fare appello alla solidarietà nazionale per salvare il Paese. Di questo atteggiamento il maestro attuale è Putin, ma anche Xi se la cava. Sapendo di non potere raddrizzare il timone, o temendo che nel tentativo le cose vadano anche peggio, ogni giorno ripete alla Cina: «Siamo forti, anzi fortissimi, e finiremo di vincere la guerra contro i successori di Chiang Kai-shek, riconquistando Taiwan». Ecco perché fa vivere l’isola nella minaccia, facendola circondare continuamente da navi ed aerei da guerra. Come per dire: «Siamo pronti per l’invasione».
Ma ci sono grosse differenze, con l’Ucraina. L’Ucraina è stata attaccata alla sprovvista, Taiwan teme l’attacco cinese da decenni. L’Ucraina era pressoché disarmata, Taiwan è armata fino ai denti, proprio perché l’attacco se lo aspetta. L’Ucraina era circondata da pianure, Taiwan ha il mare intorno. L’Ucraina, almeno all’inizio, non aveva alleati, Taiwan li ha da sempre, e recentemente ai più tradizionali e importanti, gli Stati Uniti, se non ricordo male si sono aggiunti il Giappone e l’Australia. Questi due Paesi entrano nella diatriba non per amore di Taiwan e nemmeno degli Stati Uniti, ma perché a questo punto vedono la conquista di Taiwan come l’estensione della sovranità di Pechino al Mar Cinese Meridionale, una minaccia per la libertà di navigazione, una minaccia ai Paesi circostanti, e infine una prova generale per altre pericolose avventure.
Dunque la Cina non deve chiedersi soltanto quali capacità di difesa ha la piccola Taiwan, ma quanto e quale aiuto militare l’isola potrebbe ricevere da quei tre grandi Paesi i quali appunto con la loro alleanza hanno avvertito la Cina: «Guarda che non staremo a guardare». Un avvertimento che la Russia non ha ricevuto dall’Occidente, quando si è trattato dell’Ucraina, e che invece la Cina riceve da anni. A voce sempre più alta.
Dunque probabilmente in questo momento Xi Jinping è come un pugilatore che flette gli avambracci, saltella sul ring, assume pose gladiatorie, ma non ha fretta di affrontare l’avversario. Meglio fare contenti gli spettatori con lo spettacolo della forza che provare ad usarla, con il pericolo di sbattere contro un nemico (o una coalizione di nemici) ancora più forte. Per così poco. Per un’isola che non tutti troverebbero sulla carta geografica muta.
Ma non si può mai dire. Il destino del mondo si è già trovato più di una volta sull’orlo del burrone per colpa di qualche dittatore. E con Hitler c’era anche caduto dentro.