il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2023
I numeri del lavoro nero Italia, Ue e Inghilterra
In Italia la piaga del lavoro nero riguarda poco meno di3 milioni di persone: l’Istat per il 2020 segnalava 2 milioni 926 mila “unità di lavoro irregolari”. Un fenomeno che passa quasi inosservato, vista anche la cronica mancanza di ispettori pubblici, come spiega l’articolo a fianco. Così al fenomeno si collegano spesso sottoinquadramenti, discriminazioni di genere e l’emergenza sicurezza. Ma la situazione non è una esclusiva italiana: nella Ue un lavoratore su sette è “sommerso”. Eppure, pur in assenza di linee guida da parte di Bruxelles, la situazione vede alcuni Paesi Ue ottenere risultati migliori di altri sul fronte delle politiche di contrasto. Tra questi la Germania, che punta molto sulla deterrenza, e la Spagna, che mira invece all’emersione. Va peggio invece in Francia, dove il fenomeno appare in crescita. Quella che segue è una mappa delle diverse ricette nazionali contro l’emergenza.
A livello Ue, dal 2013 al 2019 nel settore privato il lavoro nero è calato dal 14,9% al 14,6% della forza lavoro complessiva. Gli occupati “sommersi” sono diminuiti in 19 Paesi su 26 (il dato 2013 non includeva Malta). Ma in alcuni Paesi, tra i quali i maggiori come Italia, Germania e Francia, nello stesso periodo questo fenomeno si è trasformato. In Italia, Germania, Olanda il numero dei lavoratori in nero è calato, ma gli occupati sommersi hanno lavorato di più. In altri, invece, sono aumentati anche numericamente. Tuttavia proprio Italia, Grecia e Francia sono gli unici Stati membri Ue di lunga data in cui il lavoro non dichiarato rappresenta una quota superiore alla media dell’Unione. Ma vi sono altre differenze: in alcuni Paesi, come l’Italia, il lavoro nero è per il 90% fatto da dipendenti non dichiarati, mentre in altri Stati come l’Olanda la maggior parte dei lavoratori in nero sono autonomi. Bruxelles non individua politiche di contrasto e di controllo valide per tutti, mentre le misure cambiano di Paese in Paese. Berlino, Parigi, Madrid e Londra hanno ognuno politiche proprie, ma tutte sono basate su controlli e sanzioni durissime. Eccone un breve sunto.
Germania
Polizia in campo e controlli porta a porta
Il primo fine settimana di settembre, 2.500 ispettori del lavoro hanno controllato il comparto delle guardie giurate e dei vigilantes di due grandi città tedesche, Bonn e Colonia. I media della Germania hanno dato molto risalto ai 75 lavoratori trovati non in regola. Tanti per gli standard locali, anche se si parla di un settore che impiega dai buttafuori dei locali notturni alla vigilanza nei campi profughi.
In Germania la lotta al lavoro nero si fa con due mezzi: dure sanzioni, amministrative e penali, e ispezioni a tappeto che possono scattare anche per la semplice segnalazione di un privato. Sono quasi quotidiani i casi di due poliziotti che suonano alla porta di un appartamento dove lavora a ore una colf o una badante, denunciata dagli “attenti” vicini di casa. I migranti sorpresi senza un regolare contratto rischiano l’espulsione, nel caso si tratti di richiedenti asilo la pratica per ottenere lo status di rifugiati rischia di venire archiviata. Il privato che fa lavorare in nero rischia una sanzione da 500 mila euro e, nei casi più seri, anche la galera.
Francia
Maxi-buco fiscale, nuovo piano del governo
In Francia il lavoro sommerso rappresenta un buco per le casse dello Stato tra i 5,2 e 6,6 miliardi l’anno, secondo i dati per il 2021 pubblicati a novembre dall’Alto consiglio del finanziamento della previdenza sociale. L’ultimo Piano nazionale di lotta contro il lavoro illegale, per il periodo 2023-27, è stato presentato a maggio dal governo e comprende 34 misure. Una priorità è aumentare i controlli mirati da parte dell’Ursaff, l’organismo pubblico che riscuote le contribuzioni dei datori di lavoro, nei settori più colpiti: edilizia e lavori pubblici, trasporto su ruote, ristorazione/alberghi, agricoltura e spettacolo. Agli ispettori del lavoro è attribuita la facoltà di portare avanti delle cyber-inchieste e di effettuare controlli bancari. Il piano prevede di lottare contro i “falsi statuti”, prendendo di mira le piattaforme digitali e i “falsi volontari”, con una voce specifica per l’organizzazione di grandi eventi sportivi, come le Olimpiadi del 2024. In caso di lavoro irregolare, per il datore di lavoro sono previste sanzioni fino a 45 mila euro di multa e 3 anni di detenzione per le persone e 225 mila euro di multa per le irregolarità commesse da società.
Spagna
Emersione e regolarizzazioni
In Spagna l’ultima arrivata è stata la regolarizzazione delle collaboratrici domestiche, categoria rimasta senza contratto nazionale di lavoro e quindi esposte al lavoro nero. Complice il Covid – e la conseguente mobilitazione contro il lockdown imposto dal governo socialista di Pedro Sanchez che di fatto impediva a colf e badanti di raggiungere il posto di lavoro in quanto quasi nella totalità sprovviste di regolare contratto di lavoro – la ministra del Lavoro ora uscente, Yolanda Diaz, ha promosso e fatto approvare il contratto anche per le collaboratrici domestiche. Le impiegate e gli impiegati non regolarizzati sono passati a settembre 2022 direttamente a tempo indeterminato, mentre ad aprile di quest’anno hanno raggiunto il tanto agognato salario minimo di 7,55 euro all’ora. Inoltre, in caso di licenziamento è il Fondo di garanzia sociale a coprire la quota di contributi non versati eventualmente in caso di insolvenza perché possano comunque accedere all’indennità di disoccupazione. Altra buona notizia derivante dalla pandemia per il Paese iberico è stata il piano per l’emersione del lavoro nero grazie al sostegno del governo contro la crisi: a seguito di misure come la cassa integrazione per i dipendenti lasciati a casa durante i lockdown, infatti, sarebbero venuti alla luce 285 mila contratti di lavoro, tra dipendenti e liberi professionisti. Il che ha portato nelle casse della previdenza sociale spagnola e quindi dello Stato 2 miliardi, pari allo 0,23% del Pil. In Spagna, dove la lotta al lavoro sommerso è affidata agli Ispettori del lavoro e della sicurezza sociale regionali che dipendono dal ministero del Lavoro – attualmente in crisi con il governo per il sottodimensionamento – dal 2011 sono previste multe fino 10 mila euro per la mancata iscrizione alla previdenza sociale e fino a 187 mila euro se si unisce al salario l’indennità di disoccupazione non dovuta.
Regno Unito
Espulsioni per immigrati fuori norma
Il concetto di “lavoro nero” come lo intendiamo in Italia è poco esportabile nel Regno Unito. Ai datori di lavoro spetta l’onere di verificare la regolarità dei documenti di chi intendono assumere e il loro diritto a restare nel Paese, pena sanzioni pecuniarie a partire da 20 mila euro o, in casi gravi, il carcere fino a 5 anni. Ma non hanno interesse ad assumere o pagare in nero: il costo del lavoro è relativamente basso, la flessibilità contrattuale molto ampia, la burocrazia semplificata, forte l’impulso governativo ad agevolare l’uso della moneta digitale e quindi alla tracciabilità dei pagamenti, diverso il ruolo dei sindacati. Per lavorare è indispensabile il Nin, il National Insurance Number, un equivalente del nostro codice fiscale che si ottiene solo con i documenti in regola: quindi i lavoratori “in nero” sono quasi esclusivamente immigrati irregolari o quelli che non hanno sviluppato competenze o conoscenza della lingua sufficienti per immettersi nel mercato regolamentato. Secondo uno studio di luglio 2022 della Nottingham Trent University, i lavoratori in nero sono comunque circa 2,5 milioni di persone, intorno al 9% dei lavoratori attivi nel settore privato, concentrate in aree e settori merceologici specifici.