Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 19 Martedì calendario

ANVEDI COME SPINGE INGE! “DARLING, MIO ADORATO GIANGIACOMO, VORREI ESSERE LA TUA FIDANZATA”. DALL’INCONTRO CON PICASSO IN PANTOFOLE ALLE LETTERE D’AMORE A GIANGIACOMO FELTRINELLI, UN LIBRO RACCONTA LA VITA PRIMA DELL’EDITORIA DI INGE FELTRINELLI, SCOMPARSA 5 ANNI FA – LA RISPOSTA DI GIANGIACOMO: "LIEBE FRÄULEIN INGE, A CHE COSA SERVONO DIECI DITA FINALMENTE BEN CURATE SE NON POSSONO CAREZZARE IL TUO VISO, LE TUE LABBRA?" - MA NON SONO TUTTE ROSE E FIORI NELLA COSTRUZIONE DI UN AMORE: “LA VERA INTIMITÀ RICHIEDE TEMPO” – IL LIBRO -

https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/inge-feltrinelli-giangiacomo-sapeva-gladio-fu-ucciso-come-pasolini-143324.htm



INSIEME A INGE NEL FORTINO DI PICASSO Testo di Marco Meier pubblicato da il “Corriere della Sera”

(...) Inge inizia a farfugliare, cerca di intavolare una conversazione, nella speranza che prima o poi venga pronunciata la parola magica: «Picasso». Tutto inutile. Madame Roque insiste perché Inge accetti le stampe. Ma all’improvviso si palesano sull’uscio due persone che poco prima Inge ha visto passare in corridoio.

Si tratta dell’editore e collezionista spagnolo Gustavo Gili Esteve e di sua moglie. Dicono di avere un appuntamento con Picasso, desiderano consegnargli di persona il volume che hanno appena pubblicato su di lui e le sue opere. Madame Roque li prega di attendere un attimo, deve vedere se è già alzato e vestito, perché a volte dipinge fino a tarda notte.

«E se invece fosse ancora in pigiama, sarebbe un problema per voi?».

Rimasta sola con l’editore spagnolo e sua moglie, prego i due di portarmi con loro da Picasso. Si mettono a ridere e dicono di sì; io in cambio prometto loro una foto bellissima insieme a Picasso. Madame Roque torna, porta via i due e invece lascia me lì. «Un momento, per favore», mi dice. Ci vuole un bel po’ prima che tornino. A quel punto penso, o me ne vado o passo all’attacco. E così, senza tanti giri di parole, chiedo a madame Roque: «Le potrei fare una foto insieme al maestro?». Lì per lì la sua reazione è di leggero spavento, poi però dice: «Vado a chiedere», e scompare. Questa volta torna dopo poco, si infila una bella giacca di pelle celeste e mi conduce da basso nel «sancta sanctorum». Lo spazio è composto da tre grandi stanze tra loro collegate, che danno sul giardino.

Entrando rimango di stucco, non voglio credere ai miei occhi: non è possibile che Picasso viva in queste tre stanze, tra questo indicibile ammasso di cose. Non può essere! Non ci voglio credere! Ma ben presto ne ho la certezza. In questo spazio gigantesco, tinteggiato di bianco e oro, con una quantità esagerata di orribili stucchi il maestro mangia, dorme e crea. Farsi strada attraverso questo caos è un’impresa. Il pavimento è ingombro di casse e cassettoni, vasi, piastrelle, bottiglie, ossa di animali, sculture in bronzo, modelli, cavalletti, giornali, lampade, quadri — alcuni finiti, altri incompiuti —, una vecchia sedia a dondolo e libri. In una grande ciotola ci sono carte, nacchere, banconote scadute, conchiglie, sassi, un accendino da pescatore, maschere. Una roba mai vista!

Di mobili invece non ce ne sono quasi. Solo due armadi antichi, un tavolo, qualche poltrona di midollino rotta, uno strano letto e poco altro. Non ho mai visto un caos così pittoresco in vita mia. E nel bel mezzo di questa confusione siede un signore gracile, con indosso un paio di pantaloni scozzesi, una camicia a righe e pantofole bizzarre: Pablo Picasso. Faccio una sorta di inchino di corte, al che lui, sorridendo amabilmente e mettendosi la mano sul cuore, fa a sua volta un profondo inchino spagnolo.

LA RAGAZZA CHE DIVENTÒ INGE FELTRINELLI Simonetta Fiori per “la Repubblica” - Estratti

Per un biografo è una gran fortuna avere tra le mani il diario del suo personaggio, i taccuini annotati con una formidabile memoria visiva, anche le lettere d’amore. E leggere frasi come queste: «Darling, mio adorato Giangiacomo, vorrei essere la tua fidanzata».

E lui che le risponde: «Liebe Fräulein Inge, a che cosa servono dieci fantastiche unghie e dieci dita finalmente ben curate se non possono carezzare il tuo viso, le tue labbra?». Amore, sensualità, promessa. Siamo già all’incontro tra l’impertinente fotoreporter di Göttingen e l’editore rivoluzionario di Zivago, gli anni Cinquanta sfumano sullo sfondo per lasciar posto alla caotica modernità dei Sixty.

(...) E il suo compagno di viaggio è Giangiacomo, “l’uomo nuovo” che una notte di settembre del 1958, due mesi dopo averla conosciuta a casa Rowohlt, sceglie il francese per scriverle le più belle parole d’amore: «Je te prends par la main et ensemble on part pour un long voyage — le voyage de notre vie».

Sideralmente lontana dal luccichio della mondanità, l’unione di “due sistemi caotici” si nutre di compassione, fragilità, cura reciproca delle ferite. «Mai prima ho sentito il tuo amore e la tua protezione in modo così forte e intenso, e provo già una grande nostalgia di te», le scrive Giangiacomo dopo il primo viaggio di Inge a Milano, sul finire del novembre del 1958. «Ti ringrazio amore mio per l’incredibile tenerezza e felicità che mi doni». Sono stati giorni meravigliosi, « the beginning of a wonderful life ».

Sembra quasi di sentire la tromba di Armstrong, ma non è tutto favola nella costruzione di un amore, specie quando dalle energie tumultuose di entrambi nasce qualcosa che prima non c’era, non solo nella dimensione privata ma anche in quella pubblica.

È questo il loro segreto, o meglio “complotto” come lo chiama Giangiacomo, l’inteamwork che mescola passione e progetto. «Ma la vera intimità richiede tempo», le scrive lui quando lei sembra sopraffatta dalle resistenze del compagno. «Se tutto combacia troppo in fretta e troppo perfettamente c’è il pericolo che un attimo dopo ciò che appariva meraviglioso diventi una illusione». La vita è continuo cambiamento, due persone che si amano scelgono di cambiare insieme. Inge è pronta per questa trasformazione?

Lei gli risponde con una cartolina raffigurante La macchina cinguettante, un’opera del 1922 di Paul Klee. E se fossi troppo ambiziosa? Lui avrebbe dato spazio a tutta la sua energia? Una volta Giangiacomo le aveva attribuito un “sophisticated ego”. Ora lei era disposta a metterlo al servizio di una idea. E di una causa, culturale e politica. Ancora qualche tentennamento e presto l’editore le avrebbe spalancato le porte di via Andegari, consapevole che Ingelein, “my queen”, avrebbe avuto un ruolo centrale in casa editrice. Forse anche più di una semplice “spalla”, piuttosto un catalizzatore di energie che terrà in vita la Feltrinelli ben oltre la morte del suo fondatore.

(...)

Sono tante le pagine di Ingemaus che portano a propendere per un irresistibile istinto di sopravvivenza. Il rifiuto del padre Siegfried Schönthal è una di queste. L’incontro avviene un pomeriggio del 1952 a New York, Hotel Commodore, 42esima strada. Aveva otto anni, Inge, quando lo salutò per l’ultima volta, ora ne ha 22 e lo abbraccia con tutta la forza del rimpianto.

Ma è immediata la percezione di una distanza: nella nuova vita americana di Väti — così lo chiama — non c’è spazio per lei. Chiunque vi avrebbe dedicato decenni di analisi, lei preferì liquidarlo in Inge film con una battuta tombale: in fondo è stata la mia fortuna, sarei diventata una noiosissima signora della middle class americana. Era la lezione della madre Traudl, traumi e ferite profonde non devono essere mai esibiti, meglio dare un taglio netto al passato più cupo. Lo stesso vale per la violenza subita da due uomini sul taxi diretto a Key West, in Florida: Inge non ne ha mai parlato, scegliendo di concentrarsi sull’esito di quel viaggio cubano, la celebre fotografia con Hemingway che avrebbe cambiato la sua vita. Sempre guardare in avanti, sempre inseguire l’impossibile.

(...)