la Repubblica, 19 settembre 2023
Biografia di Inge Feltrinelli
Per un biografo è una gran fortuna avere tra le mani il diario del suo personaggio, i taccuini annotati con una formidabile memoria visiva, anche le lettere d’amore. E leggere frasi come queste: «Darling, mio adorato Giangiacomo, vorrei essere la tua fidanza». E lui che le risponde: «Liebe Fräulein Inge, a che cosa servono dieci fantastiche unghie e dieci dita finalmente ben curate se non possono carezzare il tuo viso, le tue labbra?». Amore, sensualità, promessa.
Siamo già all’incontro tra l’impertinente fotoreporter di Göttingen e l’editore rivoluzionario di Zivago, gli anni Cinquanta sfumano sullo sfondo per lasciar posto alla caotica modernità dei Sixties. E sembra quasi paradossale trovare il filo del racconto nelle ultime pagine di Ingemaus, proprio nel momento in cui la protagonista comincia la sua nuova vita da grande dame dell’editoria chiudendo con la sua storia precedente. Può apparire bizzarro perché la biografia di Marco Meier nasce con un’altra intenzione – pienamente realizzata – ossia raccontare la vita di Inge Schönthal prima della sua trasformazione in Inge Feltrinelli, quindi la bambina “ebrea meticcia” nella Germania di Hitler, le difficoltà del dopoguerra, la luminosa carriera da fotoreporter, gli incontri, l’avventura, la “festa mobile”. Eppure è nei capitoli finali che si nasconde lo scarto, il dettaglio rivelatore, la verità umana che proietta nuova luce su una donna nuova che con una fatica enorme ha abbattuto confini geografici, culturali, sociali, anche di genere, e ora invoca protezione e insieme la offre. La costruzione di un nuovo modello femminile ha richiesto impegno, solitudine, sacrificio di sé. Così Inge stanca di guerra chiede al suo “adorato Struwwelpeter” (il personaggio delle fiabe dalle unghia lunghe) di allontanarla da una vita che non le piace più: «Tutti questi maschi che vogliono sempre qualcosa da me, mi vengono a trovare, mi fanno la corte, ci provano. Non è che non mi sappia difendere da sola, lo so fare benissimo – sono brava quasi quanto Madame de Staël che era capacissima di trasformare i suoi innamorati in amici schiavi».
Sa far da sola Inge, finora ha scalato montagne di pregiudizi, combattuto nell’arena maschile di Amburgo, amato uomini come il terribile Melvin Lasky, campione della cultura democratica tedesca che la ingabbia in una relazione segreta umiliante, lui sposato e lei costretta a trattenere il suo coinvolgimento entro il perimetro del gioco e del divertimento. Ha varcato da sola porte inaccessibili come quelle che l’hanno condotta da Hemingway o Picasso, attraversato oceani, dormito in stamberghe cubane alla mercé di predatori. Ma quali vortici emotivi si nascondono dietro quegli occhi ridenti che hanno fotografato le star di Hollywood e la crème de la crème dell’intellighenzia internazionale? Quanta sofferenza è camuffata nei suoi travestimenti colorati, le gonne rigonfie e i gesti spavaldi? Inge sa far da sola ma vuole condividere la sua personale rivoluzione con un uomo. E il suo compagno di viaggio è Giangiacomo, “l’uomo nuovo” che una notte di settembre del 1958, due mesi dopo averla conosciuta a casa Rowohlt, sceglie il francese per scriverle le più belle parole d’amore: «Je te prends par la main et ensemble on part pour un long voyage – le voyage de notre vie».
Sideralmente lontana dal luccichio della mondanità, l’unione di “due sistemi caotici” si nutre di compassione, fragilità, cura reciproca delle ferite. «Mai prima ho sentito il tuo amore e la tua protezione in modo così forte e intenso, e provo già una grande nostalgia di te», le scrive Giangiacomo dopo il primo viaggio di Inge a Milano, sul finire del novembre del 1958. «Ti ringrazio amore mio per l’incredibile tenerezza e felicità che mi doni». Sono stati giorni meravigliosi, «the beginning of a wonderful life». Sembra quasi di sentire la tromba diArmstrong, ma non è tutto favola nella costruzione di un amore, specie quando dalle energie tumultuose di entrambi nasce qualcosa che prima non c’era, non solo nella dimensione privata ma anche in quella pubblica. È questo il loro segreto, o meglio “complotto”, come lo chiama Giangiacomo, l’inteamwork che mescola passione e progetto. «Ma la vera intimità richiede tempo», le scrive lui quando lei sembra sopraffatta dalle resistenze del compagno. «Se tutto combacia troppo in fretta e troppo perfettamente c’è il pericolo che un attimo dopo ciò che appariva meraviglioso diventi una illusione». La vita è continuo cambiamento, due persone che si amano scelgono di cambiare insieme. Inge è pronta per questa trasformazione? Lei gli risponde con una cartolina raffigurante La macchina cinguettante, un’opera del 1922 di Paul Klee. E se fossi troppo ambiziosa? Lui avrebbe dato spazio a tutta la sua energia? Una volta Giangiacomo le aveva attribuito un “sophisticated ego”. Ora lei era disposta a metterlo al servizio di una idea. E di una causa, culturale e politica. Ancora qualche tentennamento e presto l’editore le avrebbe spalancato le porte di via Andegari, consapevole che Ingelein, “my queen”, avrebbe avuto un ruolo centrale in casa editrice. Forse anche più di una semplice spalla, piuttosto un catalizzatore di energie che terrà in vita la Feltrinelli ben oltre la morte del suo fondatore.
Ma qui siamo davvero in un’altra storia. Ingemaus è un romanzo di formazione che certo spiega la vicenda successiva, indagando i primi trent’anni di una donna che ha intrecciato costantemente fortuna e tragedia senza mai lasciarsi sopraffare dalle avversità. E il filo della sua esistenza è proprio in questa rinascita continua, non una ma mille Inge, ciascuna capace di superare il male con una determinazione esemplare. Anche quando raccontava del suo vissuto di figlia di padre ebreo sotto le svastiche naziste – tecnicamente “meticcia di primo grado” – mai indulgeva ad autocommiserazione.
E solo ora scopriamo i viaggi avventurosi della madre Trudl per aiutare il marito nella fuga in Olanda, e la lotta quotidiana con la burocrazia hitleriana per evitare l’espulsione da scuola del suo “topolino”, della sua “Ingemaus” appunto. E se il nuovo matrimonio della madre con l’ufficiale della Wehrmacht Otto Heberling è sempre stato evocato come “l’isola felice” che salva Ingelein dalla persecuzione, ora ne cogliamo tutti i chiaroscuri, tra i silenzi preoccupati di “papi” Otto, la visita a casa del suo diretto superiore per “un’ispezione”, lo sguardo insistito del colonnello venuto da Kassel sulla quattordicenne impaurita. Il tribunale di guerra aveva aperto un procedimento contro Heberling a causa di quella bambina “semiebrea”, ma il documento finirà poi bruciato sotto le bombe. Inge ancora una volta salva, non si sa se per vocazione o destino.
Sono tante le pagine di Ingemaus che portano a propendere per un irresistibile istinto di sopravvivenza. Il rifiuto del padre Siegfried Schönthal è una di queste. L’incontro avviene un pomeriggio del 1952 a New York, Hotel Commodore, 42esima strada. Aveva otto anni, Inge, quando lo salutò per l’ultima volta, ora ne ha 22 e lo abbraccia con tutta la forza del rimpianto. Ma è immediata la percezione di una distanza: nella nuova vita americana di Väti – così lo chiama – non c’è spazio per lei. Chiunque vi avrebbe dedicato decenni di analisi, lei preferì liquidarlo in con una battuta tombale: in fondo è stata la mia fortuna, sarei diventata una noiosissima signora della middle class americana. Era la lezione della madre Traudl, traumi e ferite profonde non devono essere mai esibiti, meglio dare un taglio netto al passato più cupo. Lo stesso vale per la violenza subita da due uomini sul taxi diretto a Key West, in Florida: Inge non ne ha mai parlato, scegliendo di concentrarsi sull’esito di quel viaggio cubano, la celebre fotografia con Hemingway che avrebbe cambiato la sua vita. Sempre guardare in avanti, sempre inseguire l’impossibile. Ma a quale prezzo?
The decisive moment è stata la tecnica fotografica ereditata da Cartier- Bresson, ma anche lo stile di una vita pienamente vissuta in interesting times. Lei stessa tentò di raccontarlo in un libro autobiografico per l’editore Blüchert che non vide mai la luce. «C’è chi crede che io abbia fatto carriera grazie al mio fascino e alla mia impertinenza», annota a proposito del suo successo come fotoreporter nelle principali riviste tedesche. «Ma le cose non sono cosi semplici come a volte appaiono». Sì, le cose sono sempre più complicate. E Ingemaus ristabilisce le giuste proporzioni, raccontando una storia che appassiona e rigenera.