Avvenire, 19 settembre 2023
Silvia è viva o morta?
La critica letteraria nostrana oscilla spesso tra due poli opposti, in mezzo ai quali c’è poco o nulla. Da una parte ci sono gli articoli e i saggi accademici, scritti da esperti del ramo ma spesso più per arricchire il proprio curriculum: questo tipo di produzione è scientificamente affidabile, ma spesso arida per l’impostazione iperspecialistica. Dall’altra parte si trovano i volumi di taglio divulgativo, scritti da autori dalla penna brillante che si improvvisano critici o storici della letteratura senza però possedere sempre le necessarie competenze. Guarda caso spesso sono proprio questo genere di libri a scalare le classifiche della saggistica, per esempio in occasione degli anniversari (si vedano quelli di Dante nel 2021, di Pasolini nel 2022; il fenomeno è meno visibile quest’anno con Calvino). Per questo va salutato con favore un libro come l’ultimo di Marco Antonio Bazzocchi, Spalancare gli occhi sul mondo. Dieci lezioni su Leopardi (il Mulino, pagine 240, euro 18,00), scritto da un italianista di vaglia, ma con singolare affabilità e piacevolezza di scrittura. Perché l’autore, che insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Bologna, si pone come normalmente fa a lezione, assumendo la voce di un professore che ha deciso di accompagnare i propri studenti in un viaggio, originale e affascinante, nell’opera del Recanatese. Solo che questa volta a essere intrattenuti non saranno solo gli studenti, ma il più ampio pubblico dei lettori. I quali in molti casi vengono chiamati direttamente in causa, come in questo passo che chiude il capitolo su A Silvia: «Ora l’analisi è finita. Vi lascio di fronte a un’alternativa, che forse rispecchia anche una mia difficile scelta intorno al testo. Decidete voi se preferite una visione malinconica orientata verso la morte di Silvia e della speranza, oppure se preferite pensare che Silvia può rinascere con la forza dell’immaginazione».
C’è, in queste parole, l’idea di una lettura aperta, non ingessata in ciò che si crede di sapere a proposito di un autore, come Leopardi, spesso ridotto ad aride formule manualistiche. «C’è un testo in questa classe?»: se lo chiedeva – era il lontano 1980 – Stanley Fish, in un celebre libro che aveva proprio questo titolo. Lo studioso statunitense vedeva la “classe di letteratura” come una “comunità interpretante”, in cui il ruolo dei lettori era centrale. Da allora sono venuti altri metodi e altre mode, ma l’idea di una centralità dei lettori nel processo di interpretazione oggi sarebbe da recuperare. Soprattutto in reazione all’atteggiamento di coloro che filtrano autori e testi attraverso le prospettive “à la page”: tra le ultime, gli studi culturali, gli studi “gender”, quelli sulla visività, l’ecocritica. Un metodo che Bazzocchi non accetta: «La letteratura messa sempre al servizio di qualche pensatore che in realtà, a guardar bene, aveva poi ricavato dalla letteratura le cose migliori. Continuo a insistere che bisogna difendere il territorio delle opere letterarie.
Non perché io abbia chiaro cosa è realmente la letteratura (come si cercava di capire qualche decennio fa) ma perché mi sembra essenziale partire sempre dai testi, dalla loro costruzione, dalle difficoltà di farli parlare in una lingua comprensibile, dalla volontà di essere razionale anche di fronte a ciò che è nato da esigenze irrazionali, come la poesia». È quello che Bazzocchi fa, in questo libro così avvincente, a proposito di Leopardi, visto come un autore che può essere ancora interrogato, poiché ha ancora molto da dire a noi uomini e donne di questo tempo.
Oltre alla già citata Silvia, c’è l”Infinito” (e come poteva non esserci la lirica più celebre?); la luna, così presente in tante poesie leopardiane (da “Alla luna” a “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”); la sofferenza amorosa a causa della passione (non corrisposta) per la nobildonna fiorentina Fanny Targioni Tozzetti, situazione che darà origine ad alcuni dei versi più struggenti di Giacomo; ma anche il Leopardi “comico” delle Operette morali, di molte pagine dello Zibaldone, nonché del poemetto satirico “Paralipomeni della Batracomiomachia”; fino a quel testamento morale che è “La ginestra”. Un percorso critico capace di convincere le nuove generazioni del fatto che «Leopardi non è un monumento, ma una mente che si allarga, che si muove avanti e indietro, che è così impregnato di letteratura da poterci anche scherzare».