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 2023  settembre 18 Lunedì calendario

Intervista a Simone Uggetti

«Grazie a Dio adesso è finita, davvero». Simone Uggetti, 50 anni, è per tutti «l’ex sindaco di Lodi che è finito in carcere». Arrestato nel maggio 2016, da primo cittadino del Pd in carica, finì a San Vittore, dove rimase per 11 giorni. L’accusa era di turbativa d’asta per un appalto da 5mila euro sulla gestione delle piscine scoperte. La sua vicenda giudiziaria è durata sette anni. Viene condannato a dieci mesi dal Tribunale di Lodi, poi assolto dalla corte d’Appello di Milano. Ma la Procura generale fa ricorso e la Cassazione annulla l’assoluzione con rinvio. Finché a giugno di quest’anno viene assolto di nuovo nell’Appello bis (con i coimputati Cristiano Marini e Giuseppe Demuro): non punibile per la particolare tenuità del fatto. Le motivazioni, di pochi giorni fa, dicono che ha agito «in beneficio dei cittadini» per fornire «il miglior servizio».
Simone Uggetti, l’accusa non può più presentare ricorso, ormai il reato è prescritto. È finita davvero, come si sente?
«Sollevato, è l’inizio di una nuova fase della mia vita. Questo peso è stato per sette anni una parte di me, ora torno alla normalità».
Che conseguenze le lascia questa esperienza?
«È senza dubbio uno spartiacque nella mia vita. Il fatto clamoroso fu l’enormità dell’arresto. Mi spiego: siamo purtroppo abituati a vedere sindaci indagati, ormai è normale anche se profondamente sbagliato. Perché o i sindaci sono tutti disonesti oppure esiste un problema nel rapporto tra dimensione penale e ruolo dell’amministratore. Vede, se avessi ricevuto un semplice avviso di garanzia, l’avrei affrontato serenamente nella convinzione di aver agito nell’interesse pubblico. Ma per me è stato diverso»
In che misura?
«C’è stata l’enormità drammatica del carcere. È stato incredibile, kafkiano. Tutti o quasi riconoscevano che non avevo perseguito alcun interesse personale, eppure finii in prigione».
La cella l’ha segnata.
«Non tanto per l’esperienza in sé, sapevo che sarebbe stato per poco, che lì ero un turista. Ma sono rimasto profondamente segnato nel rapportarmi con gli altri, per come ormai e per sempre gli altri mi avrebbero visto. Il carcere è il luogo dei reietti e io che avevo una funzione pubblica ci ero finito. Un marchio impresso dal sistema giudiziario, che ti porti dietro. C’è poi un dettaglio che sono convinto non fu casuale...».
Quale?
«Non mi mandarono nel carcere di Lodi o di Pavia, ma a San Vittore. Cioè «il» carcere per tutti i lombardi, simbolico, evocativo».
Un accanimento?
«Insieme a un altro episodio che non ho mai raccontato. Durante i domiciliari (durarono 25 giorni, ndr) ero ancora in carica e dissi ai miei familiari che volevo andare con la fascia alle celebrazioni del 2 Giugno, se mi avessero liberato. Ebbene... la scarcerazione arrivò solo l’8 giugno. Sono convinto che mi hanno intercettato e hanno voluto impedirmi quel gesto pubblico d’orgoglio».
Tornerà in politica?
«Quando mi hanno arrestato avevo 43 anni, politicamente avevo davanti grandi possibilità... Ora lavoro nel privato. Ma la politica resta una mia passione, mi piacerebbe portare in qualche modo il mio vissuto doloroso, quello che ho imparato. Rimango un militante del Pd, anche se so che nella sinistra convivono sensibilità molto diverse sui nodi della giustizia».
Lei è stato un «manettaro»?
«A vent’anni, nel ’92, tifavo per Mani pulite e un po’ mi sento in colpa. Ma appena ho cominciato ad amministrare ho cambiato idea. Ho visto i limiti di un certo sistema. Sono stato anche anti berlusconiano, sbagliando. Credo che la cultura del nemico da abbattere per via giudiziaria abbia creato molti mostri».
È favorevole all’abolizione dell’abuso d’ufficio?
«Sì, la penso come il ministro Nordio. E con me moltissimi sindaci, anche di sinistra».
Torniamo alla sua storia. Nei momenti bui cosa le ha fatto più piacere e cosa più male?
«Da un lato il fatto che a Lodi ho sempre girato a testa alta, con il sostegno della stragrande maggioranza. Dall’altro il modo in cui la politica ha trattato la mia vicenda. Con pavidità, a sinistra, con speculazione, a destra. Che con i 5 Stelle diventò sciacallaggio».
Di Maio e Salvini le chiesero scusa.
«Il primo sì. Il secondo, dopo aver fatto a Lodi il gesto delle manette, aggiustò il tiro ma non chiese mai scusa. Una volta a Roma gliel’ho fatto notare, lui ha un po’ abbozzato...».
Quanto ha speso in avvocati?
«Non conta tanto questo. Con i miei legali, Gabriele Roveda e Adriano Raffaelli ho oggi un rapporto fraterno. Conta che ci si può rovinare per una storia così. Non c’è ambito della tua vita che non ne sia profondamente sconvolto. E il confine tra spuntarla e sprofondare è molto labile».