La Stampa, 18 settembre 2023
Il Consiglio Ue boccia l’intesa con Saied "Firmata senza via libera dei governi"
Il Memorandum d’intesa con la Tunisia è stato firmato «senza rispettare le procedure». A dirlo non sono (soltanto) i gruppi politici che criticano l’accordo, ma un parere giuridico del Consiglio dell’Unione europea. Secondo quanto risulta a La Stampa da più fonti diplomatiche è stata prodotta un’opinione legale nella quale si contesta il fatto che la presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen – accompagnata da Giorgia Meloni e dall’ex premier olandese Mark Rutte – abbia siglato l’intesa con Tunisi senza l’autorizzazione preventiva del Consiglio, vale a dire degli altri governi. Il documento contiene anche un monito: eventuali accordi con altri Paesi non potranno più essere firmati senza prima l’approvazione degli altri Stati dell’Unione. Una zavorra per Meloni e Von der Leyen che invece vorrebbero replicare il modello Tunisia con altri partner nordafricani, a partire dall’Egitto.
Il parere ha spinto molti governi a prendere carta e penna per esporre tutti i dubbi – di metodo e di merito – al commissario per le politiche di vicinato, l’ungherese Oliver Varhelyi. La lettera più critica è firmata di Annalena Baerbock, la ministra degli Esteri tedesca, e sarebbe stata inviata a inizio di agosto. Il parere giuridico del Consiglio era stato oggetto di discussione durante la riunione del Consiglio Affari Esteri quattro giorni dopo la firma del memorandum, il 20 luglio scorso. Alla riunione era presente anche il vicepremier Antonio Tajani. In quella sede – a porte chiuse – Baerbock aveva criticato l’accordo con la Tunisia per il mancato rispetto delle procedure e la mancanza di condizionalità sul rispetto dei diritti umani. Subito dopo i dubbi sono stati formalizzati per iscritto.
In questo contesto si inserisce un’altra lettera che l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell ha scritto al collega Varhelyi il 7 settembre. Nel documento – svelato ieri da Il Giornale – lo spagnolo parte proprio dai dubbi del Consiglio sul fatto che «non sono stati seguiti i passi adeguati per la procedura d’adozione». Borrell sottolinea quindi che «parecchi Stati membri hanno espresso la loro incomprensione riguardo l’azione unilaterale della Commissione», oltre che «preoccupazione per alcuni suoi contenuti».
La vicenda emersa in queste ore spiega la lentezza nell’erogazione dei primi fondi alla Tunisia, in tutto 255 milioni: 105 destinati alla gestione dell’immigrazione illegale, altri 150 di mera assistenza finanziaria. Con il fiato sul collo di molti governi la Commissione non può permettersi di saltare nuovamente le procedure per accelerare i pagamenti a Tunisi, né di chiudere un occhio sul rispetto dei diritti umani. Come se non bastasse – sempre secondo quanto ricostruito – i governi più critici hanno messo in guardia l’esecutivo comunitario: l’ulteriore piano di assistenza da 900 milioni, parte dell’intesa con Saied, dovrà essere vincolato alle stesse condizioni previste dal Fondo monetario internazionale in termini di riforme, il quale sta trattando con Saied un ulteriore piano di aiuti da due miliardi di dollari. La Commissione si stava già muovendo su questa linea, ma il pressing delle altre capitali complica i tentativi di Meloni di aggirare le condizionalità per aiutare Saied.
Secondo le tesi che circolano nella maggioranza i dubbi sull’accordo con la Tunisia sarebbero una manovra architettata dei socialisti europei per bloccare il prossimo accordo in agenda con l’Egitto, uno dei Paesi che nelle ultime settimane conta il più alto numero di immigrati irregolari. Un primo memorandum per la concessione di 80 milioni è stato firmato lo scorso autunno da una delegazione guidata proprio dal commissario Varhelyi. Dice Meloni: «Si spererebbe che tutti avessero la capacità di marciare insieme», invece di «farmi fare la parte di Penelope: il giorno io costruisco e la notte loro provano a smontare». Palazzo Chigi è irritata anche per la lettera apparsa ieri su questo giornale contro il memorandum tunisino firmato da due esponenti del Partito democratico, Laura Boldrini e Giuseppe Provenzano.
La tesi cozza però con alcuni dati di fatto. Il primo: il governo italiano era al corrente sin da luglio dei dubbi che stavano emergendo a tutti i livelli decisionali dell’Unione. Il parere giuridico del Consiglio dice poi una cosa difficilmente contestabile alla luce degli sbarchi di questi giorni: senza un mandato politico qualunque accordo si mostra, oltre che “illegittimo”, inefficace. I due accordi firmati in precedenza con la Turchia furono autorizzati dai governi e permisero di concedere ad Ankara ben altre cifre: il rinnovo del giugno 2021 prevede di versare ad Ankara fino a sei miliardi di euro.
Nel frattempo Giorgia Meloni cerca di tamponare l’enorme flusso di arrivi, soprattutto a Lampedusa. Il video sul modello inglese diffuso venerdì sui social network, e nel quale si avvertono i migranti dei rischi di rimpatrio, è stato tradotto e diffuso dalle ambasciate italiane di tutto il Nordafrica. Oggi il Consiglio dei ministri approverà un pacchetto di norme che permetteranno di allungare fino a diciotto mesi i tempi di permanenza nei Cpr (centri di permanenza per i rimpatri). Il governo ne vorrebbe uno per Regione, al momento ci sono strutture solo in otto. La mossa di Meloni, che ha chiesto aiuto al ministero della Difesa per l’individuazione delle aree, sta alimentando la protesta dei sindaci. Nel pacchetto ci saranno misure anche per contrastare con strumenti diagnostici la falsa certificazione dell’età dei più giovani, che in questo modo eviterebbero di finire nelle nuove strutture. Ad oggi i minori non accompagnati censiti sono ventunomila, per lo più maschi tra i 15 e i 17 anni, per i quali la disponibilità di posti autorizzati è di poco più di seimila. L’obiettivo primario delle misure, che potrebbero entrare come emendamento al decreto Caivano, è contenere l’enorme mole di movimenti secondari, ovvero della fuga dei migranti (la gran parte) verso il nord Europa: è la prima richiesta di Francia e Germania. Non è un caso se la scorsa settimana Berlino ha prima bloccato e poi fatto ripartire le procedure di redistribuzione previste dagli accordi europei.—