Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 18 Lunedì calendario

Il pratone processa la premier “Tutto per una foto coi negretti”


PONTIDA – «Meloni? A Lampedusa ce l’abbiamo spedita noi, con il pepe nel didietro. Ma Giorgia ci è andata solo per farsi una foto con von der Leyen e coi negretti: un petardo, per rompere le scatole a Matteo nel giorno sacro della nostra festa». Sammy Varin, voce di Radio Libertà, arringa i militanti e schiera il popolo di Pontida contro i capi dei governi di Roma e Bruxelles. Il sacro prato del Carroccio passa dal mal di pancia contro la «svendita degli ideali indipendentisti di Bossi» all’ultra destra nazionalista di Marine Le Pen, alla rivolta contro «i nuovi poteri forti che fingono di usurpare le nostre storiche battaglie». La contestazione anti- Le Pen cede così il passo, senza che il vicepremier Matteo Salvini accenni a tirare il freno, al processo contro la coppia Giorgia-Ursula: accusate di aver voluto «silurare Pontida sfruttando Lampedusa», per stringere «un patto rossonero» in vista delle Europee di giugno. A senso unico, a piedi del maxi-palco del raduno, anche gli slogan del nuovo conflitto che spacca la destra: “Blocco navale subito”, “Cedere Lampedusa all’Africa”, “Matteo, è un’invasione, facciamoli almeno tribolare”, o “Giorgia adesso basta passerelle, imbarcati”. E l’effetto boomerang della missione Meloni-von der Leyen nel cuore straziato del Mediterraneo: trasformare Le Pen, icona xenofoba delle nazioni centraliste anti-Ue, nella paladina dei secessionisti orfani di Bossi, che sognano una depotenziata Europa in cui «ognuno resta padrone a casa sua».
La base da una parte e i leader dall’altra, con reciproca indifferenza. A spiegare il cortocircuito sovranista è lo storico militante lombardo Livio Ghidelli. «Salvini – dice – ha tutti contro, Meloni compresa. Con lui agli Interni i confini erano sigillati. Comunisti ed ex fascisti saliti al potere vogliono invece continuare a finanziare l’Africa, che sostiene l’invasione dell’Europa, e i centri sociali italiani che fingono di aiutare gli immigrati scaricati in mare. E allora ben venga il pugno duro di Le Pen». Anche sindaci, governatori e ministri che sfilano sul palco annusano l’aria e fanno a gara a chi invoca di più «Matteo super-ministro degli Interni» al posto di un «moscio Piantedosi sotto tutela». «Solo un immigrato su dieci – dice il veneto Luca Zaia – fugge da fame e guerra. Gli altri arrivano per guadagnare meglio e rubano posto ai giovani nostrani: e una volta qui, viene cacciato uno su mille. Volare a Lampedusa va bene: ma von der Leyen poi deve tornare a casa e risolvere i problemi». Ancora più secco Flavio Di Muro, sindaco di Ventimiglia: «Gli stranieri ci invadono – dice – e la prima cosa che fanno è pisciare sulle tombe dei nostri defunti». Gigi Medelago, quando Salvini e Le Pen si presentano sotto braccio alla folla, alza la prima pagina della Padania di aprile 2002. Il titolo è un’invocazione a Bossi: «Aiutaci a fermare i clandestini». «Scriviamo queste cose – dice – da oltre vent’anni. Matteo è sotto processo. E oggi deve essere la Meloni a scoprire il disastro e a raccontarci che la von der Leyen di salverà?». L’effetto- Lampedusa, vissuto come «killeraggio politico di Pontida», sotto i capannoni che distribuiscono birra e salamella non si limita a far digerire l’abbraccio di Salvini con Le Pen: radicalizza la base su tutti i cavalli di battaglia leghisti, a partire dal vocabolario. «Se Giorgia gioca sporco – dice Gianmarco Leva, militante della scuola politica del partito – vediamo chi ce l’ha più duro. Lei per durare deve piegarsi alle lobby Ue, noi siamo liberi».
Quelle che Massimiliano Fedriga definisce «naturali differenze politiche tra Lega e FdI», sono i campi minati della campagna elettorale che Meloni e Salvini lanciano a distanza da Lampedusa e Pontida: autonomia entro il 2024 contro elezione diretta del capo dello Stato, castrazione chimica e famiglia tradizionale, ponte sullo Stretto contro “bretelle e dighe al Nord”, via libera alle centrali atomiche ma no alla green economy, blocco anti-immigrati nel Mediterraneo contro Ursula-bis a Bruxelles. «Giorgia può fare le piroette che vuole – dice Giulio Cesare Vavassori, militante di Palazzolo – ma noi con socialisti e comunisti in Europa non ci finiremo mai. Se avesse davvero voluto stroncare l’attacco alla nostra civiltà, sarebbe qui con Matteo e Marine: e ci avrebbe portato sia Orban che von der Leyen». Dura anche per il Capitano, a fine raduno, placare la folla e tendere la mano alla premier, prendendosela con Richard Gere: «Bacioni Richard: se ti piacciono gli immigrati apri le tue ville e portateli a casa».a