Corriere della Sera, 18 settembre 2023
Intervista ad Antonio Caprarica (che va a Ballando con le stelle)
Giacca e cravatta, nodo Windsor impeccabile. Antonio Caprarica – il giornalista che sembra uscito da una cartolina senza tempo di Londra – è uno dei prossimi concorrenti di Ballando con le stelle (al via su Rai1 il 21 ottobre).
Chi glielo ha fatto fare?
«Fondamentalmente ci sono due motivi. Il primo è che ho 72 anni, sono entrato nell’ottavo decennio della mia vita e comincio a essere un po’ preoccupato da una fisicità di cui non mi sono tanto curato. Questa è anche una sfida con me stesso per cercare di rimettermi in forma».
Il secondo motivo?
«Non sono mai stato un grande ballerino, è un modo per dimostrare che dopo tutto non sono da buttare via».
C’è anche un terzo motivo, dica la verità. I volgarissimi soldi...
«Naturalmente non vado gratis, ma voglio rassicurare che non si parla di cifre fantastiche, di quelle per cui vai ai Caraibi per sei mesi senza far niente. Purtroppo no».
Sua moglie cose le dice?
«All’inizio era fortemente contraria, ha paura che io mi possa fare male... Appartengo a una generazione cresciuta con il sogno del valzer di Alain Delon e Claudia Cardinale nel Gattopardo. La mia ambizione è quella di trascinare mia moglie in un valzer come quello».
È sposato con la pianista russa Iolanta Miroshnikova, galeotto fu un concerto a Mosca all’ambasciata.
«Quella sera mi sono innamorato all’istante, ma non è stato un colpo di fulmine ricambiato immediatamente, ho dovuto faticare».
Ha iniziato all’«Unità», era comunista. Molti se ne pentono, rinnegano il passato, si vergognano...
«Io no, ci mancherebbe altro. Sono stato sessantottino, ho lavorato per periodici ancor più di sinistra dell’Unità. Sono entrato nel Pci, che per me è sempre stato il partito comunista italiano, e sottolineo italiano; non sono mai stato particolarmente filo-sovietico. Ero stato attratto da quegli ideali di riscatto e liberazione, anche se poi la realtà ci ha dato lezioni diverse».
È entrato in Rai nel 1989. Da raccomandato?
«Biagio Agnes diceva che in Rai si doveva prendere un democristiano, un comunista, un socialista e uno bravo. Mi disse che grazie a me ne risparmiava uno: “Con te prendo un comunista che è bravo”».
Lei è un grande esperto di reali, l’amore per Londra come nasce?
«Fin dal mio primo viaggio adolescenziale, a 14 anni: ho capito subito che era la mia seconda casa. Mi colpiva il modo in cui vivono la società, una convivenza basata sul rispetto della diversità».
Viene da lì il suo aspetto da lord?
Ride: «I lord per la verità sono un po’ più sciatti di me, perché sono lord e se lo possono permettere. Non dimentichiamo il calzino bucato di re Carlo III esibito nella moschea di Brick Lane».
Cura molto l’aspetto formale, anche nel modo in cui veste il suo vocabolario. Da dove nasce questa cura?
«Penso venga dall’educazione, un’educazione non rigida, ma solare, mediterranea e affettuosa, eppure in casa c’è sempre stata grande attenzione al modo di presentarsi in pubblico. Ho rovesciato una massima di Lord Chesterfield: per me l’abito è lo stile del pensiero. Non ho mai concepito l’idea di entrare in casa altrui scasciato, come si dice a Roma. È impensabile. Mio padre era un progressista a 100 carati, ma era inappuntabile, sempre in cravatta».
Ha già scelto la scritta per la sua lapide: «Giornalista ma onesto».
«Il nostro mestiere non è circondato da grande fiducia, mi piace ribadire che il primo vincolo di un giornalista è quello dell’onestà, ancor prima della verità: spero che presto si possa eliminare l’avversativo».