Corriere della Sera, 18 settembre 2023
La tela di Zuppi si tesse in Russia
L’annuncio del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che il presidente della Conferenza episcopale italiana tornerà «presto» a Mosca, può essere un segnale di una qualche importanza. Un segnale per chi spera in una sorpresa positiva nella guerra d’Ucraina (scatenata – ribadiamolo sempre – dalla Russia con l’aggressione di oltre un anno e mezzo fa). Il quotidiano della Cei, Avvenire, si è sbilanciato scrivendo che «la tela di pace che il cardinale Matteo Zuppi sta pazientemente tessendo da più di due mesi a questa parte comincia a dare i propri frutti». Tra i «frutti della tela» si può ipotizzare un incontro di Zuppi con lo stesso Lavrov, anziché – come la volta precedente – con il «consigliere» di Putin Yuri Ushakov e Maria Lvova-Belova.
Di visite nel corso della tessitura della tela, Zuppi ne ha compiute quattro. In quella a Kiev (6 giugno) è stato ricevuto da Volodymyr Zelensky. Negli Stati Uniti (17-19 luglio) da Joe Biden. Invece in Russia (28-29 giugno) dai personaggi minori di cui si è detto. E a Pechino (giovedì scorso) da Li Hui, un settantenne ex ambasciatore cinese a Mosca, oggi «rappresentante» governativo per gli «affari eurasiatici». Il calibro degli interlocutori è stato ad ogni evidenza assai diverso. Ma, sempre secondo Avvenire, non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che Li Hui è apparentemente un diplomatico a riposo che in età di pensione si occupa della lontana guerra d’Ucraina.
A seguito dell’incontro tra Zuppi e Li Hui, scrive il giornale della Cei, «filtra da parte vaticana ampia soddisfazione». Di più: il quotidiano cattolico stabilisce un qualche rapporto tra quella «soddisfazione» e l’annuncio di Lavrov.
Tornato in Italia, l’arcivescovo di Bologna ha rilasciato un’intervista a Tv2000 nella quale ha raccontato di essersi mosso «nella direzione auspicata dal Papa». Per poi aggiungere una notazione a favore di Zelensky (il cui portavoce aveva recentemente alzato i toni proprio contro il Vaticano). La palla, ha detto Zuppi, «non è solo nel campo ucraino». Devono «giocare tutti». L’Ucraina «ha già giocato e ha presentato anche le sue proposte». Sottinteso: adesso tocca alla Russia. Il segnale che Putin dovrebbe offrire per entrare in gioco – Zuppi lo ha chiarito fin dall’inizio della propria missione – deve essere la riconsegna a Kiev dei bambini ucraini rapiti nel corso della guerra. I minori «trasferiti» in Russia dall’Ucraina sarebbero ben settecentomila. Un’entità di proporzioni scandalose resa nota, ai primi di luglio, da un personaggio russo non irrilevante: Grigory Karasin, responsabile del comitato internazionale della Camera alta del Parlamento di Mosca. Karasin ha specificato che i settecentomila piccoli avrebbero «trovato rifugio» in Russia «negli ultimi anni». Probabilmente, cioè, da assai prima del 24 febbraio 2022, giorno d’inizio dell’invasione putiniana. Quasi sicuramente dal 2014, allorché la Russia occupò la Crimea e, per interposte milizie, una parte considerevole del Donbass. Ha sostenuto Karasin che questi bambini, orfani o abbandonati, sarebbero stati portati in Russia al fine di «proteggerli dai bombardamenti». La clamorosa ammissione è stata pubblicata dal Guardian (che l’aveva tratta dal canale Telegram dell’esponente politico moscovita). Per essere poi rilanciata dai media di tutto il mondo. E mai smentita, né rettificata.
In modi più circostanziati, gli Stati Uniti hanno valutato che, dal momento d’inizio di quella che il Cremlino definisce «operazione militare speciale», i bambini «deportati con la forza» dall’Ucraina alla Russia siano 260.000. Di circa ventimila (19.492 per l’esattezza) si sa anche che sono ancora in vita e si conosce il luogo in cui «hanno trovato rifugio». Il rapimento di quei bimbi è una evidente mostruosità. Ed è uno dei crimini che hanno indotto la Corte penale internazionale ad emettere un mandato di arresto nei confronti del presidente russo. Un secondo mandato dello stesso genere è stato spiccato contro Maria Lvova-Belova, commissario della Federazione per i «diritti dei bambini». Quella Lvova-Belova che – come si è detto – il presidente della Cei incontrò nel precedente viaggio a Mosca a fine giugno. Sembra che Zuppi le abbia strappato la promessa di riconsegnare all’Ucraina una parte (non si sa quanto consistente) dei bambini rapiti. Un impegno, beninteso, che dovrebbe essere stato autorizzato da Putin. Ma qui siamo nel campo delle voci.
Non sapremmo dire quanto sia solida la tela fin qui tessuta dal presidente della Cei. Né quanto sia maturo il «frutto» della pace. Ma se Avvenire scrive che la maturazione è in atto, è assai probabile che stavolta Zuppi otterrà il ritorno a casa di quei bambini. O quanto meno di un numero consistente di loro. E l’immagine di quelle migliaia e migliaia di bambini che, per merito di papa Francesco, vengono restituiti alle loro famiglie entrerà – ne siamo certi – nei libri di storia. Se invece l’incontro tra Zuppi e Lavrov si risolvesse in una chiacchierata pur animata da buone intenzioni – quantomeno da parte del cardinale – la delusione sarebbe grande. Davvero molto grande.