la Repubblica, 16 settembre 2023
Morire sui Navigli
MILANO – Una presa a tenaglia sul collo lunga sette minuti, una scazzottata e infine la morte: così se ne va, dopo il coma irreversibile, Yuri Urizio, a 23 anni. E resta “dentro” chi, nella notte tra martedì e mercoledì, l’ha ucciso per difendere – questa la versione dell’assassino ventottenne, non incredibile – una ragazza. Il fatto che la ragazza, abituata a chiedere l’elemosina, possa avvalorare l’una o l’altra tesi, cambia il piano processuale, ma non quello della realtà.
Alla Darsena di Milano si può morire facile, diventare in una serata ad alto tasso d’alcol un’altra croce del cimitero della violenza metropolitana: inesorabile, sconclusionata, non rara. Il sindaco Beppe Sala parla di «una tragedia». Non può però essere definita una «sorpresa».
La Darsena, negli anni cosiddetti di piombo, quando bastava avere le scarpe a punta per essere sprangati dai comunisti e un eskimo per essere accoltellati o sparati dai fascisti, ospitava la “fiera di Senigallia”. Abiti usati, merce rubata (specie le biciclette), mix di lecito e illecito. Poi quel posto venne “bonificato”, nel senso di recintato e abbandonato a se stesso, per così tanto tempo che crebbero fauna, flora e comitati ecologisti, i quali pretendevano di trasformare il Ticinese in campagna selvaggia. Un’idea follemente bucolica e, infatti, con sindaco l’indipendente di Rifondazione Giuliano Pisapia, il politico del ko milanese alla destra, la Darsena venne massicciamente ristrutturata.
E da lui stesso inaugurata in pompa magna, e con largo seguito di milanesi, poche ore dopo che un agguerrito corteo No-Expo aveva devastato il centro città. Da allora – eravamo nel 2015 – la Darsena s’è trasformata in un allegro e vivibile angolo simil-parigino: negozi, bar, cibo, alcol, passeggio, movida.E anche musica, teatro, arte. Uno sfogo naturale dei Navigli, già inflazionati da tanti locali veri e fasulli e già metafora di relax, sentimenti, sesso e cocktail.
Un posto niente male, ma sino a tre anni fa. Nell’estate del 2020, un segnale preciso: Shahabuddin Chodkar, un venditore di fiori, venne acchiappato e buttato giù nell’acqua quieta. Uno scherzo razzista, ma l’uomo, non anziano, affaticato dalla vita, non sapeva nuotare. Venne salvato per miracolo. In quello stesso periodo, aumentarono di frequenza le risse, e soprattutto le risse con i video, alcuni dei quali «taroccati»: sembrava che polizia e carabinieri pestassero i giovani, spesso immigrati o di seconda generazione, ma veniva «tagliata» la parte in cui le presunte vittime lanciavano sassi e bottiglie contro le forze dell’ordine. Il segnale del cambio di passo diventato di mese in mese più chiaro.
Se uno si prende la briga di contare i “Daspo”, e cioè i provvedimenti del questore contro i violenti, scoprirà che Milano ha ampiamente il record nazionale. E se valutiamo gli arresti autori di reato tra rapper e trapper e presunti artisti (è sufficiente un video cliccato e uno si auto-elegge a “nome”), non ce n’è uno che se la sia scampata. Quindi, la reazione dello Stato c’è. Ma basta? E qual è la contromossa della politica locale? Nell’attesa di capirlo, andrebbero valutati altri due fattori che, proprio girando in Darsena, sono palesi.
Il primo è che c’è un’esibizione di muscoli, di toraci prominenti e spalle larghe che nemmeno nei vecchi film di John Wayne. Ragazzi e ragazze, molto spesso palestrati, e abituati a frequentare palestre di arti marziali, sanno far male. E, osservando i molti giovani che si assembrano sui gradoni e si abbracciano sulle panchine, emerge un altro fattore: sono vittime e carnefici di un devastante capitalismo del marchio. Spesso non hanno soldi per un affitto decente, né per il dentista, o per un pasto come si deve. Ma riescono a spendere 600 euro per l’ultimo modello di sneakers e molto di più per lo smartphone. A chi va in giro per la Darsena, basterebbe guardare le scarpe e i cellulari, più che le facce, per accorgersi come il popolatissimo e ancora più che vivibile pezzo di Milano sia attraversato da tribù, clan, batterie che considerano chiunque un estraneo.
Se a Napoli un giovane musicista viene ammazzato da un minorenne per il posteggio, qui a Milano le non poche Babygang (a proposito, odiano essere chiamati così: si “sentono” gang, altro che baby) al momento tendono a non esagerare troppo. Razzia di scarpe, orologi, telefonini, catenine. Agguati organizzati.
Guardi truci e coltello in tasca. Se serve “tagliare”, no problem. A proposito: un tempo lontano esisteva il cosiddetto “giro di nera degli ospedali”; venisse fatto adesso, si scoprirebbe – credeteci – che arrivano in barella molti più accoltellati di quelli che risultano dalle fonti ufficiali, dalle dichiarazioni dei detective sempre più impensieriti da chi nel weekend cala da ogni periferia del Nord per raggiungere il Ticinese.
Milano tira, ha fama di città del divertimento e del turismo giovane. In fondo, qui ci si picchia “glamour”, e “social”, a due passi dagli Spritz che, nelle sere serene e caraibiche del cambio climatico, hanno gli stessi colori aranciati e carminio di un romantico tramonto sulla Darsena. Romantico, certo: sino a che non si fa l’incontro sbagliato.