Corriere della Sera, 17 settembre 2023
Rosato lascia Renzi ma non sa dve andare
ROMA «Se non sono lì con loro, allora c’è un motivo», dice prima di troncare con cortesia la conversazione. Lì è all’ombra del castello di Santa Severa, litorale Nord del Lazio; loro sono Matteo Renzi e la sua ciurma, che nella località balneare amata dagli inquilini del Quirinale di un tempo (la frequentavano sia Oscar Luigi Scalfaro che Carlo Azeglio Ciampi) hanno celebrato fino a ieri sera la festa nazionale di Italia viva; e lui, l’io parlante, è Ettore Rosato, che involontariamente mostra quanto il vecchio teorema che valse a Riccardo Cocciante la vittoria di un Festival di Sanremo («Se stiamo insieme/ci sarà un perché») possa valere anche se declinato al contrario.
Anche se non si sta insieme c’è un perché. E il perché, nel caso di Rosato, rimanda all’ennesimo mini-divorzio pronto per essere celebrato nel perimetro più inquieto della politica italiana, quello che in un tempo non troppo lontano (le ultime elezioni) andava da Calenda a Renzi e che adesso – in attesa che prenda forma il famoso «Centro» annunciato per le Europee – va da Renzi a se stesso.
Da Italia viva, seguendo le orme dell’ex ministra Elena Bonetti, sta per andarsene anche Rosato, che del partito fino all’anno scorso era il coordinatore nazionale. Che sia verso Calenda ma non da Calenda (tendenza Bonetti), o verso Forza Italia, addirittura verso la Lega di Salvini (tutte opzioni mai confermate ma nemmeno mai smentite dal diretto interessato) forse lo si scoprirà entro settembre, che nel calciomercato come nella politica è il mese degli “svincolati”, di chi se ne va senza rimpianti e senza essere rimpianto. Forse, appunto: perché il deputato triestino dice e non dice, decide ma poi rinvia, pensa e ripensa e forse poi ripensa ai ripensamenti, strappa senza rompere e rompe senza strappare. Alla festa non c’è andato ma la tessera di Iv, per adesso, rimane in tasca.
Rosato e i renziani ortodossi non si parlano più neanche per telefono. Lui lamenta di non essere stato coinvolto nei passaggi che hanno portato all’archiviazione del Terzo Polo, loro lo considerano un «ingrato», di quell’ingratitudine che con l’arrivo delle Seconda Repubblica è entrata a pieno titolo nelle categorie della politica. E la sceneggiatura della mini-scissione continua ad arricchirsi stancamente, con movimenti che sembrano passati alla moviola, com’è stato per Bonetti che un’epoca sembrata eterna dopo i primi spifferi sul suo malumore eterno, alla fine, è andata via.
Forse non è un giallo, perché il finale è scontato; neanche un thriller, perché la suspense latita. Certo, il giro di valzer tra Rosato e i renziani potrebbe offrire la più triste delle risposte al dilemma sull’apparire che Nanni Moretti fece suo in Ecce Bombo, con l’interrogativo sul «mi si nota di più se vado o non vado». Che, secondo i critici di entrambi i litiganti, potrebbe essere, semplicemente, «nessuna delle due».