Corriere della Sera, 16 settembre 2023
Tutti i guai di Hunter Biden
New York Trump non è soddisfatto che l’incriminazione del figlio di Biden riguardi solo una pistola che acquistò dichiarando il falso (rispose «no» in un documento alla domanda se facesse uso di droghe). Questa non è la «pistola fumante» che vuole contro il suo rivale per la Casa Bianca. «L’accusa per la pistola è il solo crimine che Hunter Biden abbia commesso che non implica il Furfante Joe Biden», ha scritto sui social.
Per cinque anni il dipartimento di Giustizia ha scavato nella vita di Hunter, inclusi il lavoro per l’azienda ucraina Burisma, i rapporti con oligarchi, gli affari in Cina. Alla fine il procuratore David Weiss si è concentrato sulle tasse che Hunter non pagò nel 2017 e 2018 e su questa pistola, tra le proteste di Trump e dei repubblicani che, attraverso le indagini per l’impeachment alla Camera, cercano un legame che conduca il figlio in prigione e il padre fuori dalla Casa Bianca. Ma non sono emerse prove che Joe, da vicepresidente di Obama, abbia partecipato o tratto profitto dagli affari di Hunter o aiutato i suoi soci.
Le accuse
Secondo il suo ex socio vendeva a ucraini o cinesi l’illusione dell’accesso al padre
Se Trump è insoddisfatto, Joe Biden è rimasto sbalordito per il fallimento, a luglio, di un patteggiamento che avrebbe permesso a Hunter di evitare l’incriminazione, secondo il New York Times che ha parlato con fonti vicine al presidente. «Pensava che il calvario giudiziario fosse finito. Ora nel parlare del figlio il suo tono si tinge di una rassegnazione che prima non c’era». È una famiglia che ha sofferto tragedie kennediane. Hunter aveva due anni quando sua madre e la sorella morirono in un incidente d’auto che lasciò lui e suo fratello Beau, di un anno e un giorno più grande, gravemente feriti. Poi, nel 2015, Beau, l’erede politico del padre, è morto per un cancro al cervello. Hunter, avvocato e lobbista, racconta nel memoir Cose belle come precipitò nella dipendenza da alcol e crack. All’inizio quando il padre divenne vicepresidente, smise di fare il lobbista, ma, spiega il Times, il suo stile di vita necessitava di fondi. Nel 2014 si unì al consiglio di amministrazione di Burisma, indagata per corruzione e che cercava di rifarsi la reputazione, mentre suo padre seguiva la politica della Casa Bianca sull’Ucraina. Nel 2019, mentre Joe annunciava la candidatura alla presidenza, la vita di Hunter era a pezzi: tossicodipendente; divorziato dopo 24 anni; fallita la sua relazione con la vedova di Beau; una spogliarellista rivelava che era il padre di sua figlia. Dimenticò in un negozio di riparazioni un portatile pieno di foto porno, email e documenti che finì nelle mani di Giuliani, avvocato di Trump. La «sorpresa di ottobre» non sconfisse Biden alle elezioni del 2020, ma i repubblicani, con il controllo della Camera, hanno continuato la loro inchiesta. Devon Archer, ex socio di Hunter, ha detto al Congresso che usava «l’illusione dell’accesso a suo padre» e che Joe si sarebbe trovato in presenza di partner del figlio che cercavano di esercitare influenza sul governo Usa. Secondo Archer, Joe passava occasionalmente a una cena o in hotel per una stretta di mano o si prestava a cordialità al telefono; ma manca la «pistola fumante». Archer nega che, quando Biden spinse, a nome del governo Usa, per il licenziamento di un procuratore ucraino corrotto, ciò abbia aiutato Burisma.
In questo clima alcuni alleati del presidente vedono nella sua «incapacità di dire di no» al figlio una distrazione politica. Ma Joe Biden non pensa che il caso lo comprometterà con il suo elettorato. I sondaggi gli danno ragione, per ora. Chiama ogni giorno Hunter, che dal 2019 dice di non fare uso di droghe. Lo invita alle cene di Stato. Lo vuole vicino.