La Stampa, 17 settembre 2023
Reportage dalla Roma violenta
«Ho bisogno di scarpe ortopediche. Ho i piedi rovinati. Sa dirmi in quanto tempo la Asl può darmele?».
«A me servono 4 maschere nasali. Quelle dell’ossigeno. Sono invalido al 100%. Non le devo comprare, vero?». «Un deambulatore e una carrozzina. Sono urgenti, non possiamo più aspettare». A viale Duilio Cambellotti c’è la ASL Roma 2. L’anno scorso per presentare il Festival della Salute Mentale – Romens – per l’inclusione sociale contro il pregiudizio, è stata realizzata una brochure in cui si legge: «Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Roma 2, il più grande d’Italia con un bacino di utenza di circa 1 milione e 300 mila abitanti». Impressionante. Forse è per questo che quando i giovani di Tor Bella Monaca escono e affrontano il viaggio verso il centro dicono: stasera andiamo a Roma.
Al Poliambulatorio Cambellotti continua ad arrivare gente. Soprattutto anziani. «Devo prendere i cateteri e le traverse per il letto». Per sua moglie? chiedo. «Per la mia nipotina, quattro anni. Non parla, non cammina. Le spetterebbe l’assistenza domiciliare, la fisioterapia a casa. Perché per trasportarla… gli fa male la macchina!». E non gliela danno? «Solo 2 ore a settimana. Poche hanno detto i dottori. Così integriamo noi. A pagamento». Siamo a Tor Bella Monaca, 260 mila anime vivono in questo quadrante est di Roma nei palazzi, le Torri, delle case popolari. «È la storia dei poveri! Perché le interessa?». La verità? Hanno sparato e ucciso un uomo a pochi passi da qui, in pieno giorno e di colpo i riflettori si sono accesi su questo pezzo di terra, una città nella città.
In rete c’è un video di pochi secondi girato da un balcone: si vede una donna a terra, urla, chiede aiuto, accanto il corpo di Daniele Di Giacomo è a terra, senza vita, la Mercedes su cui viaggiavano è crivellata di colpi. Sono le 17. Via Paolo Ferdinando Quaglia è la via dello spaccio, dei bar, della farmacia. A pochi passi dal punto esatto in cui è avvenuta la sparatoria c’è un’area giochi per bambini, con tanto di giostre e gonfiabili. Nel video in rete si sente l’uomo che l’ha girato dire: «Mamma mia, infatti mi sembravano strani ’sti botti». Ai botti qui sono abituati. «Per voi è un circo, per noi la normalità. All’alba hanno fatto le perquisizioni. Cani, elicotteri, volanti. E chi crede hanno arrestato? I boss della malavita? Quattro scemi della manovalanza». Da qualche parte bisogna iniziare. «Hanno fatto pure i controlli nelle case per le irregolarità delle utenze. C’erano i tecnici della società Acea e pure quelli dell’Italgas, credo. Qui è vero che siamo metà e metà, però ’sti ghetti li hanno voluti loro e a non pagare bollette e affitti non sono solo i criminali». Lei? «Eh… Io per esempio sono tra quelli che ha molte bollette arretrate. Non mi vergogno. Non le posso pagare».
Torno all’ASL, è un punto privilegiato per conoscere la popolazione che ogni giorno si mette in fila all’alba per conquistare un numeretto vincente e ottenere la prestazione sanitaria di cui ha bisogno e diritto. È la storia dei poveri, mi ha detto il nonno di quella bimba di quattro anni che non parla e non cammina. E poi dei malati cronici, che non guariranno mai. Sono soprattutto anziani! Molti dei quali vivono incastrati in queste torri di 15 piani. Tor Bella Monaca è così: un quartiere popolare abituato all’immagine di sé stesso. C’è anche un Teatro, l’associazionismo funziona, i volontari che fanno il doposcuola ai bambini. C’è una scuola di atletica. «Io vengo ogni giorno da Ponte di Nona per allenarmi laggiù». Indica un posto dietro le Torri. Quanti anni hai. «Diciotto». Hai sentito della sparatoria? «Anche il mio quartiere non è il paradiso terrestre». Non hai paura quindi. «Sono allenata a guardarmi intorno, cammino sempre in allerta». E poi c’è l‘ospedale. Il policlinico di Tor Vergata è il presidio medico pubblico di riferimento degli abitanti di Roma est. È nato nel 2001 ed è costato 60 milioni di euro. L’ultima volta che ci sono entrata di sera con una microcamera anni fa, dei nove piani della torre numero 6, solo 2, quelli accesi, erano funzionanti. C’è poi il Pronto soccorso, come tutti i presidi d’emergenza ospedalieri, terminale di ogni disservizio.
Vi descrivo la scena ripresa spesso in passato sempre con una microcamera. Anziani ovunque, parcheggiati su sedie, carrozzine e barelle. Corridoi talmente pieni, che infermieri e medici non riescono a muoversi. Anche nelle stanze super affollate, i malati accuditi senza alcuna privacy. Barelle parcheggiate persino davanti ai bagni. Non accade solo in questo ospedale. Non è colpa dei medici o degli infermieri, certamente, che più di una volta hanno subito brutali aggressioni. Ma non è colpa nemmeno dei pazienti. È la fotografia del welfare italiano. «Dello Stato che mostra i muscoli di tanto in tanto non ce ne facciamo niente. Non so più quante volte sono stata svegliata dagli elicotteri di notte. Per fortuna che sono vedova e sola. Pensa a chi ha le creature piccole. Che spavento poveri cuccioli». Che dovrebbero fare: lasciare tutto così? La donna alza le spalle e si infila nel suo portone. C’è una zona grigia tra i 260mila abitanti di questo quartiere. Molti cedono alle proposte della mafia e ai soldi dello spaccio. “Ma tanti no. Io no. Lei no. Lui no. E che cambia? Sempre 800 euro porto a casa. Non mi danno un premio fedeltà”. Sono alla fermata dell’autobus sulla superstrada, sotto il sole cocente. Tutti stranieri tranne tre persone che mi parlano. È l’esercito di chi vive sotto la soglia di povertà. Legalità è anche dignità, poter star sopra quella maledetta linea che divide ricchi e poveri che anima la diseguaglianza. «Qui il reddito più solido è la pensione. Guardati intorno».
Via Paolo Ferdinando Quaglia, dove hanno sparato, è un buon punto di osservazione per guardarmi intorno. Per fotografare la popolazione di Tor Bella Monaca. Anziani ovunque, seduti ai bar o alle panchine. Molti che camminano spingendo un carrello, altri che si poggiano su un bastone, qualcuno spinto in carrozzina da una badante. E poi tanti migranti che qui hanno trovato case a basso prezzo. Non è rimasto tutto fermo in questi anni. Non sarebbe giusto dirlo. La facciata della Torre della Legalità non è più bucherellata come fosse stata presa di mira dalle mitragliatrici, oggi è gialla. La Torre dopo è verde, quella dopo ancora è blu. Via Santa Rita da Cascia: le case Ater sgomberate, comprese quelle in cui abitavano i Moccia, secondo diverse indagini, famiglia punta di diamante dello spaccio di zona, sono state assegnate. Finalmente. Le hanno presidiate notte e giorno però con le guardie giurate per non farle occupare di nuovo.
Tiziana Ronzio abita lì. È un’operatrice sanitaria, vive da due anni sotto protezione proprio per aver subito minacce da Giuseppe Moccia. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza dell’ordine al merito della repubblica italiana. Le chiedo al telefono, mentre è indaffarata a organizzare un evento per i bambini del quartiere, se il giallo delle facciate delle Torri e i lavori di rifacimento della nuova piazza di Tor Bella Monaca, cantiere di rigenerazione educativa, sono il simbolo di un cambiamento effettivo. «Per me si sta sempre peggio – dice – Siamo noi famiglie per bene ad essere ostaggio dei cattivi. Ora scusami ho da fare». Sabato scorso mentre lei e altri volontari realizzavano interventi di pulizia sotto casa e tra i cortili delle Torri, una donna è stata aggredita da un uomo con una bottiglia di vetro. È un appuntamento settimanale per pulire il quartiere perché i marciapiedi e l’area verde sono ricoperti di immondizia. Come in tutte le zone di spaccio le vedette non vogliono essere disturbate, ne va dei guadagni della giornata. Poi c’è stata anche l’aggressione a Don Coluccia, il prete simbolo della lotta allo spaccio e alla criminalità. L’ha raccontato lui stesso in tv. Un ragazzo in moto con casco ha cercato di investirlo. L’ha salvato la scorta. Sia a Tiziana Ronzio che a Don Coluccia è stata rafforzata la protezione. È la storia dei clan, dello spaccio di droga, delle famiglie di mafia, del racket delle case occupate. Ma è anche la storia dei poveri, ci hanno detto all’inizio di questo viaggio. Chissà quanti decreti speciali serviranno a rimuovere il fango.