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 2023  settembre 17 Domenica calendario

Le Carrè si inabissò con l’Urss


Grande narratore, agente segreto in gioventù, David Cornwell, in arte John le Carré, «prestò servizio in un’epoca di oscuri tradimenti, segnata dallo scandalo della defezione di Guy Burgess, Donald Maclean, George Blake e Kim Philby, che fuggirono oltrecortina dopo aver passato segreti britannici ai russi», scrive Tim Corwell, suo figlio, nella prefazione a Vita privata di una spia. Le lettere di John Le Carrè. «Ricordo nitidamente mia madre a cena mentre afferma, infuriata, che era stato Donald Maclean a far saltare la copertura di mio padre, e non Kim Philby, com’è comunemente noto. Forse lei era più polemica che accurata: dalla sua posizione nel Foreign Office, Maclean non conosceva il personale dell’MI6, diversamente da Philby, che faceva parte del servizio».

In libreria, e negli scaffali di casa, ci sono due le Carré: l’autore dei romanzi sulla guerra fredda, da un Delitto di classe a Casa Russia, e l’autore di tutti i romanzi successivi, dal Direttore di notte a L’ultimo segreto. Mentre il primo le Carré firma romanzi, con poche eccezioni, quasi sempre perfetti, l’ultimo le Carré scrive spy stories moralistiche e spesso imbarazzanti, che ai vecchi estimatori costa fatica attribuirgli. C’è un perché. Ai tempi della Talpa e di Tutti gli uomini di Smiley le Carrè sapeva di che cosa stava parlando. Conosceva il gioco delle spie, e aveva dimestichezza con i giocatori, mentre il le Carrè del Sarto di Panama (una riscrittura del Nostro agente all’Avana di Graham Greene molto inferiore all’originale) e di Single & Single e dei romanzi succcessivi parla di cose che ignora (la crisi di Panama, la mafia russa, Guantanamo, il Sessantotto tedesco, gli orrori dell’imperialismo e del libero mercato, «Big Pharma», il jihad) e popola le sue storie di personaggi improbabili e stereotipati.

David Cornwell, l’uomo dietro ai libri, quelli indimenticabili e gli altri, l’autore delle lettere qui raccolte e commentate dal figlio, era un uomo (oltre che un romanziere) del suo tempo. Era cioè soggetto, come tutti noi, a illusioni e delusioni. Al tempo in cui «i buoni» giravano in trench, come Alan ladd e Robert Mitchum nei vecchi noir hollywoodiani, mentre «tutti i cattivi avevano i baffi», come diceva Walter Matthau in Due sotto il divano, la guerra fredda era stata la passione (e la ragion pratica) della sua giovinezza. Ma ai suoi occhi, col tempo e i casi della vita, il fascino del capitalismo e delle democrazie liberali si era usurato. S’era del tutto dissolto, in particolare, il fascino che i servizi segreti avevano esercitato su di lui e sulla sua opera: erano una perfetta, agghiacciante metafora del Novecento, il più disgraziato e disumanista dei secoli. Schiena diritta, prosatore straordinario, l’occhio smagato, Cornwell rimase un osservatore attento degli eventi, ma la Grande Causa non faceva più per lui.

Diciamolo: nei primi Novanta (crollata l’Unione Sovietica, riunite le due Germanie, giù il Muro, su le insegne di Starbucks, di Versace e dei McDonald’s) quando l’età delle demokrature era ancora lontana e Putin era un semplice passacarte del Kgb, la Grande Causa della libertà e dei diritti umani veniva data per acquisita e non appassionava più nessuno. Abbattute le tirannidi, finita (come si disse) la storia, era tempo di dare un voto anche all’Occidente. Pollice verso, decretò le Carré, sbrigativo.
Per questo nel Visitatore segreto, un romanzo del 1990, congedò George Smiley, il suo cold warrior e cacciatore di talpe, un maestro stratega grassoccio e di mezz’età, «sposato a una donna troppo bella per lui».
Sembrò, sul momento, un congedo definitivo. Smiley e gli altri cavalieri dell’Occidente, segreta Tavola Rotonda delle società aperte, avevano combattuto per oltre sessant’anni e senza risparmiarsi la guerra che i bolscevichi avevano dichiarato al mondo (così si espresse Smiley una volta) nel 1917. Ma qual era il premio per chi aveva vinto questa guerra? E l’Occidente era poi così aperto come si diceva? E le ingiustizie (che i comunisti per quasi un secolo, intanto che praticavano genocidi su scala kolossal e fomentavano guerre e guerriglie in tutto il pianeta, avevano attribuito al capitalismo, alle multinazionali, al libero mercato) erano poi così immaginarie? Uomo e scrittore d’un altro tempo, le Carré cercò una risposta a queste domande. Le trovò, ed erano per lo più sbagliate. Ma chi mai ha trovato, soltanto perché le cerca, le risposte giuste?

Vita privata di una spia, che esce a tre anni dalla morte di David Cornwell/le Carré, è la mappa del labirinto in cui si è mosso l’autore della Spia che venne dal freddo, dell’Onorevole scolaro, della Spia perfetta nel corso d’una vita trascorsa nella nebbia e nelle ombre della grande letteratura e dell’alta politica. Più ancora di Tiro al piccione, la sua autobiografia del 2016, le lettere raccolte in Vita privata di una spia sono la storia fedele, senza un filo di maquillage, delle sue avventure di studente, d’infiltrato nei club di sinistra, di spia a Bonn e a Berlino, di marito fedele e d’adultero, d’autore di best seller, di viaggiatore conradiano, d’eremita in Cornovaglia e alla fine (la più strana delle metamorfosi) anche d’intellettuale engagé. C’è traccia delle sue peggiori sciocchezze, a cominciare dalle dichiarazioni con le quali giustificò la reazione omicida degli ayatollah alla pubblicazione dei Versetti satanici di Salman Rushdie. C’è la presenza ingombrante di suo padre, Ronnie Cornwell, un truffatore e ladro in guanti gialli inseguito per tutta la vita a poliziotti, creditori e vittime spolpate. Ci sono gli amici e le amanti. E c’è soprattutto un punto di vista fermo, solido e inamovibile sulla tirannia e sui suoi tifosi.
«Mi hai definito molte cose che sono, ma altre che non sono», scrisse a un vecchio amico e compagno d’università, che aveva spiato a Eton in un’altra era del mondo. «Cosa avrei potuto tradire? Tu che cosa sapevi o facevi che si potesse tradire? Noi eravamo alla ricerca di comunisti occulti e potenziali traditori, e ritenevamo non dovessero avere accesso a segreti che avrebbero potuto tradire. Segreti che, nel caso d’una guerra, avrebbero contribuito a distruggere la nostra stessa specie. Combattevamo contro persone insidiose e spietate che utilizzavano i comunisti e i simpatizzanti britannici come terreno di caccia. Quindi abbiamo fatto quello che fa ogni paese di buon senso: abbiamo vigilato e lanciato una rete e cercato di proteggere noi stessi. Non vedo nulla di sbagliato in questo».