La Lettura, 17 settembre 2023
Sul successo di Kendall
Il suo più recente firmacopie, a Milano, è durato 6 ore, dalle quattro alle dieci di sera («Doveva finire alle sei, ma siamo andati avanti»). Millecinquecento bambini e ragazzi in fila per conoscere dal vivo il loro eroe digitale. Lui è Alessandro (il cognome lo tiene per sé: «Da quando ho aperto il canale preferisco che rimanga privato») ma in tantissimi (1,73 milioni, al momento) lo chiamano Kendal. O Coluicheosserva. Classe 1996. Professione: youtuber, gamer, content creator. Di fatto, ha trasformato una sua passione di bambino – i videogiochi, e in particolare Minecraft, seguitissimo videogame in cui si costruisce e si combatte in un immenso mondo fatto a blocchetti – in un piccolo universo. Un canale YouTube dove carica i video in cui gioca e svela segreti di Minecraft, (pochi) eventi in presenza, collaborazioni con altri youtuber, ora anche il doppiaggio di un film di animazione appena uscito in sala (Tartarughe ninja. Caos mutante, in cui presta la voce allo scienziato Baxter Stockman). E libri: dopo l’esordio nel 2021 e l’anno dopo il bis da oltre 30 mila copie vendute, il terzo titolo, A spasso nel tempo, esce adesso, il 19 settembre, per Electa Junior. Una storia di ritorni al futuro e amicizia, nel mondo di Minecraft.
Quando non è su «Minecratft», nella vita reale la si trova a Bologna.
«Ma sono nato e cresciuto in Sicilia, a Caltanissetta. Verso i vent’anni ho cominciato a sentire l’esigenza di spostarmi dalla mia città, e un po’ anche dai miei genitori, per crearmi una mia vita».
Studi?
«Niente università, solo le superiori».
Da quando è uno youtuber?
«Ho iniziato sul serio nel 2014, a 18 anni. Prima avevo già fatto qualcosa in un canale dove pubblicavo video su un altro videogioco, un po’ per divertirmi e un po’ perché volevo capire meglio il mondo di YouTube: come funzionava, chi erano i creator da seguire, come impostare i video».
Un hobby prima che un mestiere?
«Una passione precoce. A 12 anni guardavo centinaia di video: mi divertivo e volevo imparare, conoscere meglio quell’ambiente per poi un giorno buttarmi e provare a fare da me».
I suoi genitori?
«Inizialmente non lo capivano. Però, e questa ritengo sia stata una grande fortuna, in qualsiasi scelta ho sempre avuto il loro sostegno: non mi sono mai sentito trattenuto».
L’idea di unire le due passioni, i videogiochi e YouTube, quando arriva?
«I videogiochi sono entrati nella mia vita molto prima: ho iniziato da piccolissimo, a due o tre anni, grazie a mia mamma e a un vecchissimo computer Windows 95. Ho cominciato a fare video per il desiderio di far vedere alla gente come giocavo e, al tempo stesso, dimostrare di essere capace di intrattenere».
I numeri sono arrivati subito?
«Ho faticato, decisamente. Il primo anno sono riuscito a fare più di 2 mila iscritti, un buon risultato partendo da zero. Ma per arrivare ai grandi numeri, e quindi all’essere considerato e conosciuto, sono passati tre anni e mezzo».
Pensava di poterne fare un lavoro?
«Ho sempre avuto l’idea che prima o poi lo sarebbe diventato: sono fermamente convinto che se ti metti in testa qualcosa e lo fai con cognizione di causa, studio e anche una certa ossessione, prima o poi riesci. Io ero convintissimo di farcela. Lavoravo giorno e notte anche a Natale: volevo centrare l’obiettivo».
La sua giornata tipo?
«Per i primi sei anni ho fatto tutto da solo: la routine era svegliarsi, pensare ai video da fare e a come farli, registrarli, montarli. In media 8 o 9 ore al computer. E quando staccavo passavo a pensare cosa fare per il giorno dopo, a rispondere ai commenti, curare i social. Un flusso non stop. Adesso è più facile, ho dei collaboratori che mi aiutano».
I suoi firmacopie durano ore.
«Gli eventi sono una parte fondamentale del mio lavoro: sono tra le poche occasioni in cui puoi avere un contatto dal vivo con il pubblico. Per questo è importante accontentare tutti, perché so che magari non ci sarà un’altra occasione o che chi è lì è in fila da tanto. Sono timido: sei anni fa non ci sarei riuscito».
Vedendo i video suoi e di altri youtuber, si capisce che esiste una comunità che va oltre «Minecraft» e la rete.
«Tanti che ora sono miei amici ho avuto la fortuna di conoscerli grazie a YouTube e al mio lavoro. Sono sempre stato un solitario, poi però ti rendi conto che fare le cose da soli è noioso, che potresti divertirti di più condividendo».
È il messaggio del suo nuovo libro.
«Unire le forze, collaborare, funziona sempre: è qualcosa a cui credo molto anche nella vita reale».
Nel libro si moltiplica in più personaggi: ognuno ha qualcosa di lei.
«Sono tutti testardi e forti nei combattimenti. E si completano a vicenda».
Il suo pubblico è fatto di giovanissimi: si sente addosso la responsabilità?
«Fa fa parte del gioco. Non mi pesa, forse perché i miei genitori mi hanno abituato a essere consapevole di quello che dico: lavoro con le parole e so che saranno ascoltate da tantissimi ragazzi, cerco sempre di far passare il messaggio migliore possibile, di non esagerare mai, di curare il linguaggio».
Stare su internet espone anche alle critiche. Episodi spiacevoli?
«Non troppi, e poi tendo a rimuoverli col tempo. Ho incontrato persone che hanno cercato di mettermi i bastoni tra le ruote, ma sono dell’idea che vadano semplicemente ignorate. Quando sei un ragazzino di 18 anni ancora agli inizi, i giudizi ti possono ferire di più. Col tempo ti crei una corazza».
Si aspettava di avere successo in un settore come la narrativa?
«Soprattutto con il primo libro, è stato un salto nel buio. Mi ha sorpreso tantissimo ricevere un feedback così positivo. Anche da parte di genitori felici perché finalmente i loro figli si erano appassionati a un libro. Avvicinare i ragazzi alla lettura è stato l’obiettivo sin dall’inizio: io stesso ho sempre letto poco da bambino ed è stato importante aiutare altri a capire l’importanza della lettura».
Cosa direbbe a un genitore che voglia appassionare il figlio alla lettura?
«Di fare leggere ai bambini quello che vogliono: Minecraft, Formula uno, fumetti, l’importante è che li appassioni. Il resto verrà crescendo».
Kendal: da dove viene questo nome?
«Lo avevo dato a un cavaliere, il personaggio di un videogioco con cui giocavo da bambino. Me lo sono anche tatuato su un braccio: mi ha portato fortuna».