la Repubblica, 15 settembre 2023
Intervista a Pino Insegno
Pino Insegno è nel camerino degli studi Rai della Dear, pausa delle prove del Mercante in fiera,il gioco che condurrà su Rai 2 dal 25 settembre; da gennaio lo aspetta L’eredità su Rai 1. Le sarte prendono le misure per la cinta, meno 4 centimetri, ridacchia, trattiene il respiro. Attore, grande doppiatore (Viggo Mortensen, Liev Schreiber, Michael Shannon, Jamie Foxx, Sacha Baron Cohen ma anche Will Smith in Alì, Philip Seymour Hoffman in Onora il padre e la madre, Robert De Niro nel ridoppiaggio de Il padrino – Parte II ),un passato in tv (Zecchino d’oro, Domenica in, Mercante in fiera, Reazione a catena), da mesi si parla solo del ritorno in Rai perché è amico della premier Giorgia Meloni.
Che effetto fa debuttare col bollino di “raccomandato dell’anno”?
«Per me parla la mia storia artistica: credo nella parola meritocrazia, è il motore della vita. Empatia e meritocrazia sono le cose che contano, ora vengo additato come “raccomandato”. Ho 64 anni, nessuno dice che ne ho 40 di carriera alle spalle, ho fatto le prime serate su Rai 1, la domenica pomeriggio, ho girato i teatri e fatto tv con l’Allegra brigata, poi è nata la Premiata ditta, sono un attore comico, faccio il doppiatore da una vita. Queste cose il pubblico le sa. Sento l’affetto e mi fa piacere. Il legame non si è mai spezzato».
È andato due volte a Palazzo Chigi a trovare Giorgia Meloni. Non c’entra col suo ritorno?
«Mi avete massacrato. È vero che sono amico di Giorgia da 20 anni. Ma mi creda, non sono andato a Palazzo Chigi per parlare di Rai, volevo chiederle di sostenere le iniziative per aiutare i malati di Sla. Ho pensato che sarebbe stato bello donare la voce per chi l’ha persa e così è nato Voice for purpose, ci hanno lavorato scienziati, medici, grazie all’intelligenza artificiale si possono fare grandi cose. E a Palazzo Chigi ci tornerò, voglio parlare col ministro della Pubblica istruzione Valditara per insegnare ai professori come usare la voce. Gridano in classe e sono tutti svociati, se parlassero col diaframma non avrebbero problemi».
Torniamo a lei da Meloni.
«All’uscita ho detto ai giornalisti che ero stato a Palazzo Chigi perché il caffè è buono. Ma di che stiamo parlando? Ho fatto tante cose nella vita. Non lo scriva, ma sono commendatore della Repubblica per meriti sociali, onorificenza ricevuta dal presidente Giorgio Napolitano. Certe cose le tengo per me, sono a posto con la coscienza».
Come ha conosciuto la premier?
«Era una ragazza con una grande volontà, determinatissima. Francesco Storace mi aveva permesso di aprire accademie gratuite per i ragazzi, per me non aveva un colore politico, abbiamo sempre parlato di formazione dei giovani. La incrociai a una manifestazione. Giorgia è di Roma e della Roma, sul calcio fronti opposti. Le ricordo sempre: “Viviamo in una società multilaziale”».
L’ha presentata al comizio finale della campagna elettorale.
«Quando mi hanno chiesto: “Ti va di presentare Giorgia in Piazza del Popolo?”, ho detto subito di sì. Scelta di campo difficile perché sapevo che sarei stato giudicato».
Da ragazzo era di destra?
«Ero democristiano. Ho avuto simpatia per i repubblicani, i liberali, come sono stato vicino a Renato Nicolini, che era comunista e ha fatto cose straordinarie. Se una persona di sinistra fa una cosa bella, chi è di destra la dovrebbe abbracciare. E viceversa. Una volta c’erano La Malfa, Moro, Berlinguer, Almirante. Non c’è stato un ricambio generazionale degno. Con FdI mi sono sentito di stare vicino a un cambiamento, con la speranza che sia reale, importante».
Se Meloni non c’entra col suo ritorno in Rai, chi c’entra?
«Sono arrivate ai vertici persone che mi apprezzavano in tempi non sospetti, dall’amministratore delegato Roberto Sergio a Angelo Mellone, a Marcello Ciannamea, che è sempre venuto in teatro. Mi ha detto: “Mi piacerebbe lavorare con te”».
Sembrava che dovesse condurre tutto, anche il Festival di Sanremo.
Nessun imbarazzo? Fiorello ha ironizzato pensandola all’Ariston.
«Ci siamo sentiti. Con Rosario ci conosciamo dai tempi dei villaggi Valtur, mi ha fatto ridere anche Crozza. Va bene tutto, ridiamo».
In questi anni di assenza, le è mancata la tv?
«Sì... Ho condotto Reazione a catena che faceva il 30% di share. Ci fu lo stop dopo una Domenica sfortunata. Da lì silenzio assordante».
Non dica che è stato allontanato
per ragioni politiche.
«Ma no, assolutamente. Fu una scelta non so di chi, qualcuno in Rai disse: “Insegno non va”. La ruota gira, sono abituato ai no. “Non farai il Centro sperimentale”, chiusa una porta si apre un portone. Ora sono uno degli insegnanti. E poi c’è la formazione, la mia passione, mi rendo utile. Chi fa l’attore ha un ego notevole, l’ambizione supera l’umiltà. Io ogni giorno ricomincio da capo, faccio le prove del gioco e domani ho tre turni di doppiaggio. A ottobre debutterò al Quirino con mia moglie Alessia Navarro. Quando diventerò freddo e calcolatore, finirà tutto».
La polemica della Gatta nera, Ainett Stephens troppo vecchia. Poi la modella scelta, via per il fumo e arriva Miss Italia Lavinia Abate. Ha avuto voce in capitolo?
«Con Ainett si è scatenata la polemica perché avevo detto che dopo quindici anni bisognava fare dei cambiamenti. Chiariamo: gatta nera perché porta male quella carta, se fosse stata gialla o verde sarebbe stato uguale. Il giorno della ragazza in barca con le cartine mi avete telefonato tutti, non avevo capito che fosse successo. Mai avuto il potere di cacciare o di scegliere».
Nell’autobiografia “La vita non è un film”, ha scritto anche che ha un solo testicolo.
«L’ho scritto perché chi è nella mia condizione deve sapere che può fare una vita normalissima, ho quattro figli».
I suoi genitori?
«Papà faceva il vetrinista. Mamma morì il giorno prima che succedesse tutto: la nascita di mio figlio, il debutto su Rai 2. Sono nato a Monteverde vecchio e dico sempre: “Morirò sotto un autobus della linea 75”».